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Giurisprudenza Penale

Obbligo di firma: la motivazione del Questore
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un tifoso contro un DASPO decennale con obbligo di firma. Il provvedimento era stato emesso per un'aggressione avvenuta al di fuori di un evento sportivo ('DASPO fuori contesto'). La Corte ha chiarito che, per chi ha già ricevuto un DASPO in passato, l'applicazione dell'obbligo di firma è mandatoria e non discrezionale, rendendo sufficiente la motivazione basata sulla pericolosità del soggetto e sulla recidiva, con un'interpretazione restrittiva del requisito dell'urgenza.
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Diritto di difesa: nuovi atti e riesame cautelare
La Corte di Cassazione ha annullato un'ordinanza di custodia cautelare in carcere perché nuovi atti di accusa, decisivi per la decisione, sono stati trasmessi al Tribunale del riesame senza che vi fosse prova della loro comunicazione alla difesa. Tale omissione ha violato il diritto di difesa dell'indagato, impedendo un effettivo contraddittorio. Il caso è stato rinviato per un nuovo giudizio che garantisca il rispetto delle garanzie processuali.
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Conversione appello: Cassazione corregge l’errore
Un soggetto, condannato in primo grado per reati contro la persona e la pubblica amministrazione, ha erroneamente proposto ricorso in Cassazione. La Suprema Corte, riconoscendo l'errore in buona fede, ha applicato il principio della conversione appello, trasformando il ricorso nel corretto mezzo di impugnazione e trasmettendo gli atti alla Corte d'Appello competente per il giudizio di merito.
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Prove da chat criptate: la Cassazione fa chiarezza
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato per narcotraffico, la cui misura cautelare si basava su prove da chat criptate ottenute dalla Francia tramite Ordine di Indagine Europeo (O.E.I.). La Corte ha stabilito la piena utilizzabilità di tali prove, conformandosi ai recenti principi espressi dalle Sezioni Unite e dalla Corte di Giustizia UE. È stato chiarito che si tratta di acquisizione di prove preesistenti, non di intercettazioni, e che la legalità della raccolta originaria è presunta, con l'onere per la difesa di dimostrare specifiche violazioni dei diritti fondamentali.
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Intestazione fittizia: prova e onere della Procura
La Corte di Cassazione ha annullato un sequestro preventivo, stabilendo che per provare l'intestazione fittizia di beni a un terzo, l'accusa deve fornire prove concrete della discordanza tra titolarità formale e disponibilità effettiva. La sola sproporzione reddituale del terzo e il rapporto di parentela con l'indagato non sono sufficienti a giustificare la confisca ex art. 240-bis c.p.
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Intestazione fittizia: onere della prova e confisca
La Corte di Cassazione ha annullato un sequestro di quote societarie ritenute oggetto di intestazione fittizia. La sentenza chiarisce che per procedere a confisca non è sufficiente la sproporzione tra il reddito del titolare formale e il valore del bene, né il solo rapporto di parentela con l'indagato. Spetta all'accusa fornire prove concrete, precise e concordanti della discrasia tra titolarità formale e disponibilità effettiva del bene, dimostrando che l'intestazione è un mero schermo.
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Intestazione fittizia: onere della prova e confisca
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30029/2024, ha annullato un sequestro preventivo, stabilendo un principio fondamentale in materia di intestazione fittizia. La sola sproporzione tra il reddito dell'intestatario formale e il valore del bene non è sufficiente a dimostrare che la proprietà sia in realtà di un'altra persona. Secondo la Corte, l'accusa ha l'onere di fornire prove concrete della discordanza tra titolarità formale e disponibilità effettiva, non potendo basare l'accusa su una mera presunzione.
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Presunzione esigenze cautelari: la Cassazione decide
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un'ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa. La Corte ha ribadito che la presunzione esigenze cautelari per i reati di mafia non viene meno con il solo trascorrere del tempo, essendo necessaria la prova del recesso dall'associazione criminale. Elementi da altri procedimenti e dichiarazioni di collaboratori sono stati ritenuti validi a dimostrare la continuità del vincolo associativo.
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Pene sostitutive: il consenso dell’imputato è decisivo
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30027/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato avverso il diniego di applicazione delle pene sostitutive. La Corte ha stabilito che la richiesta, presentata in appello dal solo difensore, è inefficace senza il consenso personale dell'imputato o una procura speciale, come previsto dall'art. 545-bis c.p.p., in quanto la scelta della sanzione richiede la diretta partecipazione del condannato.
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Rivelazione segreto d’ufficio: la Cassazione decide
Un pubblico ufficiale ha avvertito un amico tramite WhatsApp di un'intercettazione in corso. La Corte di Cassazione ha confermato la sua condanna per rivelazione di segreto d'ufficio, specificando che anche messaggi allusivi sono sufficienti se svelano informazioni segrete. Tuttavia, la Corte ha annullato la pena a causa di un errore nella valutazione dei precedenti penali dell'imputato, disponendo un nuovo giudizio limitatamente alla sanzione.
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Prescrizione reato: annullamento per omessa motivazione
La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per evasione. Sebbene il ricorso fosse fondato per la mancata motivazione sulle attenuanti generiche, la Corte ha dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione, intervenuta dopo la sentenza di secondo grado. Di conseguenza, la sentenza è stata annullata senza rinvio agli effetti penali, poiché non emergevano elementi per un'assoluzione nel merito.
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Falso giuramento: la motivazione rafforzata in appello
La Corte di Cassazione ha annullato, ai soli fini civili, una sentenza di assoluzione per il reato di falso giuramento. La Corte ha ritenuto che il giudice d'appello avesse fornito una motivazione insufficiente, ignorando prove convergenti e non rispettando l'obbligo di 'motivazione rafforzata' necessario per ribaltare una condanna di primo grado.
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Pene accessorie fisse: la Cassazione e l’art. 317-bis
La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso di corruzione, affrontando la questione delle pene accessorie fisse. Un ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la sollevata questione di incostituzionalità della pena accessoria perpetua è stata ritenuta irrilevante nel caso specifico. Per un altro imputato, la Corte ha annullato la condanna per intervenuta prescrizione. La sentenza chiarisce i requisiti di ammissibilità per contestare la costituzionalità delle sanzioni.
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Particolare tenuità del fatto: no se il reato è abituale
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30021/2024, ha stabilito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere applicata ai reati caratterizzati da condotte reiterate o abituali. Nel caso specifico, l'esercizio abusivo della professione infermieristica per dieci mesi è stato ritenuto un comportamento abituale, strutturalmente incompatibile con il beneficio previsto dall'art. 131-bis c.p., portando all'annullamento con rinvio della sentenza di assoluzione.
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Omessa notifica difensore: Cassazione annulla condanna
Un imputato, condannato per evasione, ha ottenuto l'annullamento della sentenza d'appello. La Cassazione ha accolto il suo ricorso basato sulla omessa notifica difensore di fiducia del decreto di citazione a giudizio. L'errore ha determinato una nullità insanabile del procedimento, portando alla necessità di celebrare un nuovo processo d'appello nel rispetto delle garanzie difensive.
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Concordato in appello: si può revocare il consenso?
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in secondo grado, aveva tentato di revocarlo. La decisione si fonda sulla genericità del ricorso, che non ha permesso alla Corte di valutare la rilevanza della questione di costituzionalità sollevata riguardo al concordato in appello. La sentenza evidenzia un contrasto giurisprudenziale sul tema della revocabilità del consenso.
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Perdita di chance e estorsione: la Cassazione decide
Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione stabiliscono due principi fondamentali: la perdita di una seria e consistente possibilità di ottenere un bene (perdita di chance) costituisce danno patrimoniale ai fini del reato di estorsione. Inoltre, la condotta di chi allontana con minacce un offerente da un'asta pubblica può integrare sia il reato di turbativa d'asta (art. 353 c.p.) sia quello di estorsione (art. 629 c.p.) in concorso formale, qualora sia provato il danno patrimoniale e l'ingiusto profitto. La decisione scaturisce da un caso di interferenza di stampo mafioso in un'asta immobiliare.
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Ricorso personale in Cassazione: la regola del difensore
La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi presentati personalmente da due imputati avverso una sentenza della Corte d'Appello. La decisione si fonda sulla violazione dell'art. 613 c.p.p., che, a seguito della riforma del 2017, impone l'obbligatoria assistenza di un difensore iscritto all'albo speciale per il ricorso personale in Cassazione. Gli imputati sono stati condannati al pagamento delle spese e di un'ammenda.
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Ricorso patteggiamento: quando è inammissibile?
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza di patteggiamento per rapina aggravata. L'ordinanza chiarisce che il ricorso patteggiamento è consentito solo in casi tassativamente previsti dalla legge, come un errore manifesto nella qualificazione giuridica del reato, e non per una generica contestazione sulla valutazione delle prove o sulla mancata applicazione di cause di proscioglimento. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
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Esigenze cautelari: il tempo trascorso va valutato
La Corte di Cassazione ha annullato un'ordinanza che confermava la custodia cautelare in carcere per un indagato. Il motivo è che il Tribunale del riesame non aveva adeguatamente valutato l'affievolimento delle esigenze cautelari dovuto al notevole tempo trascorso sia dai fatti contestati (risalenti al 2018) sia dall'inizio della detenzione (dal 2022). La Corte ha stabilito che il giudice deve sempre motivare sulla persistenza attuale di tali esigenze, non potendo ignorare il fattore tempo.
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