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Revoca dell’assegnazione della casa familiare

Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, in materia di divorzio, l’assegnazione della casa familiare all’ex coniuge affidatario prevista dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 6, comma 6 (come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, articolo 11) risponde all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare.

Pubblicato il 25 April 2022 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, in materia di divorzio, l’assegnazione della casa familiare all’ex coniuge affidatario prevista dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 6, comma 6 (come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, articolo 11) risponde all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare.

Ne consegue che, ove manchi tale presupposto, per essersi i figli già sradicati dal luogo in cui si svolgeva la esistenza della famiglia – indipendentemente dalla possibilità di una ipotetica riunione degli stessi al genitore già affidatario -, viene meno la ragione dell’applicazione dell’istituto in questione, che non può neanche trovare giustificazione nella circostanza che il coniuge già affidatario sia comproprietario dell’immobile in questione, salvo che ricorra un accordo, anche tacito, tra le parti in tal senso, rimanendo, in caso contrario, i rapporti tra gli ex coniugi regolati dalle norme sulla comunione, e, in particolare, dall’articolo 1102 c.c. (Cass., n. 3030/06; n. 13065/02).

E’ stato altresì evidenziato il fatto che colui che agisca per la revoca dell’assegnazione della casa familiare ha l’onere di provare in modo inequivoco il venir meno dell’esigenza abitativa con carattere di stabilità, cioè di irreversibilità, prova che deve essere particolarmente rigorosa in presenza di prole affidata o convivente con l’assegnatario; inoltre il giudice deve comunque verificare che il provvedimento richiesto non contrasti con i preminenti interessi della prole (Cass., n. 11218/13; n. 14348/12).

Nel caso concreto, la Corte d’appello ha esplicitato chiaramente le ragioni del venir meno dell’esigenza abitativa, essendo stato accertato che: il minore aveva frequentato il secondo e terzo anno della scuola elementare, nonché il quarto, sino alle festività natalizie, in un istituto di Udine; la madre lavorava a Udine, già nel giudizio di primo grado, e dal 2018 aveva fatto ritorno solo saltuariamente e per poco tempo a Padova.

Né giova agli argomenti della ricorrente l’addotto trasferimento di scuola del minore dal gennaio 2021, oppure la recente modifica della sede lavorativa della stessa madre, in quanto è evidente che la misura in discorso non può assolvere alla funzione sua propria di preservare la continuità delle abitudini e delle relazioni domestiche dei figli nell’ambiente nel quale durante il matrimonio esse si sviluppavano in ogni caso in cui, a seguito della separazione, la casa familiare abbia cessato di essere tale, con conseguente preclusione della possibilità di reviviscenza del diritto all’assegnazione della casa familiare (v. Cass., n. 3030/06).

Corte di Cassazione, Sezione 1, Ordinanza n. 10453 31 marzo 2022

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