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Giurisprudenza Civile

Ritardata assunzione: il calcolo del danno

Un lavoratore, cui era stato riconosciuto il diritto all’assunzione in un ente pubblico, ha agito per ottenere il risarcimento per il ritardo con cui è stato effettivamente assunto. La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado, liquidando il danno patrimoniale in via equitativa al 50% delle retribuzioni nette non percepite. La motivazione si fonda sul fatto che il danno da ritardata assunzione non corrisponde automaticamente all’intero stipendio, ma deve tenere conto dei vantaggi che il lavoratore ha conseguito nel periodo, come la possibilità di svolgere altri incarichi retribuiti. Le domande di danno biologico e relazionale sono state respinte per carenza di prova.

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Annullamento debito: il silenzio vale come assenso

Una sentenza della Corte d’Appello chiarisce il meccanismo di annullamento del debito tramite silenzio assenso. Se l’Agente della Riscossione non trasmette l’istanza di sgravio del contribuente all’ente creditore entro i termini, e quest’ultimo non risponde entro 220 giorni, il debito si considera annullato di diritto. La Corte ha respinto l’appello dell’Agente, confermando che l’intimazione di pagamento è il primo atto impugnabile in assenza di prova della notifica della cartella originaria.

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Colpa grave: No all'esdebitazione per debiti

La richiesta di cancellazione dei debiti (esdebitazione) di un consumatore è stata respinta per colpa grave. La Corte d’Appello ha confermato la decisione, ritenendo che il debitore avesse agito con negligenza grave accumulando sistematicamente debiti sproporzionati rispetto al proprio reddito e, soprattutto, utilizzando parte dei fondi per ristrutturare un immobile di proprietà del padre. Questa condotta è stata considerata un ostacolo al beneficio della cancellazione del debito.

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Indennità sostitutiva: scelta irreversibile dal ricorso

Un lavoratore, illegittimamente licenziato, ha richiesto l’indennità sostitutiva della reintegrazione sin dal ricorso iniziale. Dopo un complesso iter giudiziario, la Cassazione ha stabilito che tale scelta è irreversibile e risolve il rapporto di lavoro dal momento della sua comunicazione al datore. La Corte d’Appello, in sede di rinvio, ha quindi condannato l’azienda al pagamento dell’indennità, oltre a un risarcimento per il periodo tra il licenziamento e l’esercizio dell’opzione, confermando il principio della definitività della scelta del lavoratore.

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Omologa concordato minore: quando va revocata?

La Corte d’Appello ha revocato l’omologa di un concordato minore perché il piano di rientro del debito era stato modificato in modo sostanziale senza essere sottoposto a una nuova votazione da parte dei creditori. La decisione sottolinea che qualsiasi modifica significativa, come l’aumento del debito totale e l’allungamento dei tempi di pagamento, richiede un nuovo consenso, a tutela del principio del contraddittorio e dei diritti del ceto creditorio.

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Sospensione efficacia esecutiva: quando inammissibile

La Corte d’Appello di Lecce ha dichiarato inammissibile un’istanza di sospensione efficacia esecutiva. La decisione si fonda sulla natura dichiarativa della sentenza impugnata, la quale acquisisce efficacia esecutiva solo con il passaggio in giudicato, a differenza delle sentenze di condanna che sono provvisoriamente esecutive.

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Nesso causale: veicolo fermo e incidente mortale

La Corte di Appello ha escluso il nesso causale tra un autocarro parcheggiato e un incidente mortale. La manovra improvvisa del conducente deceduto, avvenuta a 40 metri dall’ostacolo, è stata ritenuta ‘immotivata ed inspiegabile’, non essendo stata causata dalla presenza del veicolo fermo. La domanda di risarcimento degli eredi è stata rigettata.

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Onere della prova: no a costi extra senza documenti

Una società di gestione impianti ha richiesto un pagamento extra a un ente pubblico per maggiori costi di servizio, basandosi su una clausola contrattuale. La Corte d’Appello ha respinto la richiesta, confermando la decisione di primo grado. La motivazione centrale è stata la violazione dell’onere della prova: la società non ha fornito la documentazione necessaria per dimostrare i costi aggiuntivi sostenuti, rendendo la sua pretesa infondata.

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Indebito assistenziale: quando restituire le somme?

La Corte di Appello ha stabilito che un cittadino deve restituire le somme percepite a titolo di indennità di accompagnamento a partire dalla data di comunicazione del verbale medico che ne negava i requisiti. La sentenza chiarisce che il ritardo dell’ente previdenziale nel sospendere l’erogazione non genera un legittimo affidamento nel percipiente. La conoscenza legale del verbale, anche per compiuta giacenza della raccomandata, fa venire meno la buona fede e impone la restituzione dell’indebito assistenziale.

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Liquidazione spese processuali: calcolo in cause riunite

Un gruppo di dipendenti ha impugnato la sentenza di primo grado unicamente sulla quantificazione delle spese legali, ritenuta inferiore ai minimi tariffari. L’appello verteva sulla corretta liquidazione spese processuali in seguito alla riunione di più cause individuali solo nella fase finale del giudizio. La Corte d’Appello ha accolto il ricorso, stabilendo che le fasi antecedenti alla riunione devono essere liquidate autonomamente per ciascuna parte, riformando così l’importo dovuto e affermando un importante principio sul calcolo dei compensi legali.

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Nesso causale malattia professionale: no se lavoro discontinuo

La Corte d’Appello ha respinto la richiesta di un lavoratore per il riconoscimento di una malattia professionale (tendinopatia alla spalla). La decisione si fonda sulla natura discontinua del lavoro svolto (circa 50-60 giorni all’anno come bracciante), ritenuta insufficiente a stabilire il nesso causale tra l’attività lavorativa e la patologia, attribuita invece a fattori degenerativi e costituzionali.

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Valore della causa: come si calcola nelle liti?

Un lavoratore agricolo, dopo aver ottenuto in primo grado la reiscrizione negli elenchi e il favore delle spese, ha impugnato la sentenza lamentando l’inadeguatezza dei compensi legali. Sosteneva che il valore della causa fosse indeterminabile e dovesse rientrare in uno scaglione tariffario più elevato. La Corte d’Appello ha respinto l’appello, stabilendo un principio chiaro: il valore della causa si determina in base al beneficio economico effettivamente richiesto e ottenuto, che nel caso specifico era stato quantificato in € 1.773,18. Poiché le spese liquidate (€ 1.600) erano superiori al minimo tariffario per tale valore, la decisione del primo giudice è stata confermata.

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Ordinanza ingiunzione: come opporsi e quando è valida

Un imprenditore ha impugnato un’ordinanza ingiunzione per oltre 92.000 euro, emessa a seguito dell’accertamento di numerosi lavoratori irregolari. L’appello si basava su vizi procedurali, come la tardività della notifica, e di merito, come la presunta natura occasionale dei rapporti di lavoro. La Corte d’Appello ha respinto tutte le doglianze, confermando la sanzione. La sentenza chiarisce principi fondamentali sulla decorrenza dei termini per la notifica delle violazioni e sulla prova del lavoro subordinato, ribadendo la validità dell’ordinanza ingiunzione.

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Onere della prova appalto: chi paga per i vizi?

Un committente cita in giudizio un’impresa edile per vizi nei lavori di ristrutturazione. La Corte d’Appello respinge la richiesta, stabilendo che in tema di onere della prova in un appalto, spetta al committente dimostrare non solo i difetti, ma anche che le opere contestate rientravano nel contratto originale. La mancanza di un capitolato dettagliato e il rifiuto del committente di accettare lavori più approfonditi (e costosi) sono stati decisivi per la sua soccombenza.

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Ricusazione infondata: quando è abuso del processo

Una parte ha presentato ben 16 istanze di ricusazione, sostenendo l’inimicizia del giudice basandosi su provvedimenti a sé sfavorevoli. La Corte di Appello ha respinto la ricusazione infondata, chiarendo che il dissenso sulle decisioni non prova l’inimicizia. Data la serialità delle istanze, considerate un abuso del processo volto a paralizzare la giustizia, la Corte ha condannato la parte a una pena pecuniaria e ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica per valutare il reato di interruzione di pubblico servizio.

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Ricusazione temeraria: sanzioni e abuso del diritto

La Corte d’Appello rigetta una istanza di ricusazione ritenendola temeraria. La parte ricorrente, autrice di 16 ricusazioni seriali, viene condannata al pagamento di una sanzione pecuniaria di € 250,00. La Corte segnala inoltre il comportamento alla Procura della Repubblica, ipotizzando un’attività delittuosa volta a paralizzare il servizio giustizia tramite una ricusazione temeraria.

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Errore materiale CTU: appello accolto, iscrizione ok

Un professionista si vede negata la conferma d’iscrizione all’albo CTU per un punteggio insufficiente, causato da un errore materiale nella compilazione della scheda di valutazione. La Corte d’Appello accoglie il reclamo, ritenendo irragionevole negare l’iscrizione per un errore facilmente emendabile e confermando che il requisito di competenza speciale è posseduto.

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TAEG errato: nullità del contratto e ricalcolo

Un consumatore ha contestato un contratto di finanziamento a causa di un TAEG errato, risultato superiore a quello dichiarato. La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado, dichiarando la nullità della clausola sugli interessi. È stato quindi confermato il ricalcolo del finanziamento al tasso sostitutivo previsto dalla legge (tasso BOT), in virtù delle norme sulla trasparenza bancaria, rigettando integralmente l’appello dell’istituto di credito.

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Fideiussione omnibus: validità e onere della prova

Una società e i suoi garanti si opponevano a un decreto ingiuntivo per un debito bancario, sollevando questioni sulla validità di un contratto derivato e di una fideiussione omnibus. La Corte d’Appello ha respinto le principali doglianze, chiarendo che la prova della natura anticoncorrenziale della fideiussione spetta a chi la eccepisce e che la banca adempie al suo onere probatorio depositando contratto e estratti conto. La sentenza ha inoltre affermato che la garanzia si estende ai debiti derivanti da operazioni finanziarie se confluiti nel conto corrente garantito, accogliendo parzialmente gli appelli incidentali.

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Licenziamento del lavoratore, impossessamento di beni aziendali

La Corte di Cassazione ha stabilito che la giusta causa di licenziamento può essere determinata dalla grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro, specialmente dell’elemento essenziale della fiducia, indipendentemente dalla qualificazione penale dell’illecito.

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