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Giurisprudenza Civile

Clausola vessatoria: quando è valida se illeggibile?

Una società di telecomunicazioni appella una sentenza che l’aveva condannata per un disservizio, contestando la competenza territoriale del tribunale. La Corte d’Appello accoglie l’appello, basandosi sulla validità di una clausola vessatoria che stabiliva un foro esclusivo. Sebbene la clausola fosse scritta con caratteri poco leggibili, la Corte ha stabilito che, in assenza di una contestazione al momento della firma, la clausola è da ritenersi valida e approvata, ribaltando la decisione di primo grado e trasferendo la causa al tribunale indicato nel contratto.

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Cambiale incompleta: vale come promessa di pagamento?

Un creditore aveva ottenuto un decreto ingiuntivo basato su alcune cambiali. Gli eredi del debitore si erano opposti, sostenendo che i titoli fossero incompleti e quindi nulli. Il Tribunale aveva dato loro ragione, revocando il decreto. La Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, stabilendo che una cambiale incompleta, sebbene non valida come titolo di credito, funge da promessa di pagamento. Questo inverte l’onere della prova: spetta al debitore dimostrare l’inesistenza del debito. Poiché gli eredi non hanno fornito tale prova, il decreto ingiuntivo è stato confermato.

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Compenso avvocato: la prova dell'attività svolta

Un avvocato ha richiesto il pagamento dei compensi per l’assistenza legale, sia penale che stragiudiziale, a due sorelle a seguito di un sinistro mortale. La Corte d’Appello ha respinto la richiesta per la parte penale per mancanza di prova dell’attività svolta, ritenendo non sufficiente la sola nomina a difensore. Per l’attività stragiudiziale, ha confermato che il compenso era già stato coperto dall’acconto ricevuto, applicando il principio di onnicomprensività dell’affare anche se erano coinvolte più controparti.

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Onere probatorio: appello respinto senza prove

La Corte d’Appello respinge un appello in materia di permuta immobiliare per mancato assolvimento dell’onere probatorio. Gli appellanti non hanno fornito i documenti a sostegno della loro domanda di penali per ritardata consegna, portando alla conferma della sentenza di primo grado che li condannava a un pagamento parziale.

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Onere della prova: la contumacia non è ammissione

La Corte d’Appello conferma che la mancata costituzione in giudizio (contumacia) del convenuto non esonera l’attore dal suo onere della prova. In un caso di mancato pagamento per prestazioni professionali, la Corte ha ritenuto sufficiente la copiosa documentazione prodotta dal creditore (cedolini, modelli 770) per dimostrare il proprio diritto, respingendo l’appello. Viene inoltre chiarito che le eccezioni di nullità della CTU per vizi procedurali devono essere sollevate tempestivamente in primo grado e non per la prima volta in appello.

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Rimessione in termini: PC rotto non basta, lo dice la Corte

Una parte ha perso un termine processuale perentorio a causa di un malfunzionamento del computer del proprio legale. La Corte d’Appello ha respinto la richiesta di rimessione in termini, affermando che un guasto tecnico non costituisce una causa di forza maggiore o un’impossibilità assoluta. La sentenza sottolinea che il professionista avrebbe dovuto adottare soluzioni alternative, dimostrando così una mancanza di diligenza che esclude la concessione del beneficio.

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Compenso professionale avvocato: la prova del mandato

La Corte d’Appello di Lecce ha chiarito che il pagamento di acconti da parte di un cliente costituisce una prova implicita del conferimento del mandato difensivo, rendendo infondata la successiva contestazione. In una causa per il recupero di un compenso professionale avvocato, il giudice ha condannato il cliente al pagamento delle somme dovute, calcolate secondo i parametri forensi, oltre al rimborso delle spese legali del nuovo giudizio.

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Onere della prova e fatture: il fornitore deve

Una recente sentenza della Corte d’Appello ha chiarito un principio fondamentale nei contratti di fornitura: in caso di contestazione, il fornitore ha l’onere della prova sull’esatto ammontare del credito. Anche se la manomissione del contatore è provata, il fornitore non può calcolare i consumi in modo arbitrario, ma deve basarsi su criteri oggettivi. Nel caso di specie, avendo il fornitore calcolato il dovuto sulla base della massima potenza teorica, la Corte ha revocato il decreto ingiuntivo per mancato assolvimento dell’onere della prova.

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Conflitto d’interessi nella società a responsabilità limitata

Responsabilità 231, è fondamentale che le società si dotino preventivamente di adeguate previsioni nel modello organizzativo per gestire queste situazioni, al fine di garantire una efficace tutela degli interessi dell’ente nel procedimento penale.

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Ritardata assunzione: il calcolo del danno

Un lavoratore, cui era stato riconosciuto il diritto all’assunzione in un ente pubblico, ha agito per ottenere il risarcimento per il ritardo con cui è stato effettivamente assunto. La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado, liquidando il danno patrimoniale in via equitativa al 50% delle retribuzioni nette non percepite. La motivazione si fonda sul fatto che il danno da ritardata assunzione non corrisponde automaticamente all’intero stipendio, ma deve tenere conto dei vantaggi che il lavoratore ha conseguito nel periodo, come la possibilità di svolgere altri incarichi retribuiti. Le domande di danno biologico e relazionale sono state respinte per carenza di prova.

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Annullamento debito: il silenzio vale come assenso

Una sentenza della Corte d’Appello chiarisce il meccanismo di annullamento del debito tramite silenzio assenso. Se l’Agente della Riscossione non trasmette l’istanza di sgravio del contribuente all’ente creditore entro i termini, e quest’ultimo non risponde entro 220 giorni, il debito si considera annullato di diritto. La Corte ha respinto l’appello dell’Agente, confermando che l’intimazione di pagamento è il primo atto impugnabile in assenza di prova della notifica della cartella originaria.

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Colpa grave: No all'esdebitazione per debiti

La richiesta di cancellazione dei debiti (esdebitazione) di un consumatore è stata respinta per colpa grave. La Corte d’Appello ha confermato la decisione, ritenendo che il debitore avesse agito con negligenza grave accumulando sistematicamente debiti sproporzionati rispetto al proprio reddito e, soprattutto, utilizzando parte dei fondi per ristrutturare un immobile di proprietà del padre. Questa condotta è stata considerata un ostacolo al beneficio della cancellazione del debito.

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Indennità sostitutiva: scelta irreversibile dal ricorso

Un lavoratore, illegittimamente licenziato, ha richiesto l’indennità sostitutiva della reintegrazione sin dal ricorso iniziale. Dopo un complesso iter giudiziario, la Cassazione ha stabilito che tale scelta è irreversibile e risolve il rapporto di lavoro dal momento della sua comunicazione al datore. La Corte d’Appello, in sede di rinvio, ha quindi condannato l’azienda al pagamento dell’indennità, oltre a un risarcimento per il periodo tra il licenziamento e l’esercizio dell’opzione, confermando il principio della definitività della scelta del lavoratore.

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Omologa concordato minore: quando va revocata?

La Corte d’Appello ha revocato l’omologa di un concordato minore perché il piano di rientro del debito era stato modificato in modo sostanziale senza essere sottoposto a una nuova votazione da parte dei creditori. La decisione sottolinea che qualsiasi modifica significativa, come l’aumento del debito totale e l’allungamento dei tempi di pagamento, richiede un nuovo consenso, a tutela del principio del contraddittorio e dei diritti del ceto creditorio.

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Sospensione efficacia esecutiva: quando inammissibile

La Corte d’Appello di Lecce ha dichiarato inammissibile un’istanza di sospensione efficacia esecutiva. La decisione si fonda sulla natura dichiarativa della sentenza impugnata, la quale acquisisce efficacia esecutiva solo con il passaggio in giudicato, a differenza delle sentenze di condanna che sono provvisoriamente esecutive.

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Nesso causale: veicolo fermo e incidente mortale

La Corte di Appello ha escluso il nesso causale tra un autocarro parcheggiato e un incidente mortale. La manovra improvvisa del conducente deceduto, avvenuta a 40 metri dall’ostacolo, è stata ritenuta ‘immotivata ed inspiegabile’, non essendo stata causata dalla presenza del veicolo fermo. La domanda di risarcimento degli eredi è stata rigettata.

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Onere della prova: no a costi extra senza documenti

Una società di gestione impianti ha richiesto un pagamento extra a un ente pubblico per maggiori costi di servizio, basandosi su una clausola contrattuale. La Corte d’Appello ha respinto la richiesta, confermando la decisione di primo grado. La motivazione centrale è stata la violazione dell’onere della prova: la società non ha fornito la documentazione necessaria per dimostrare i costi aggiuntivi sostenuti, rendendo la sua pretesa infondata.

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Indebito assistenziale: quando restituire le somme?

La Corte di Appello ha stabilito che un cittadino deve restituire le somme percepite a titolo di indennità di accompagnamento a partire dalla data di comunicazione del verbale medico che ne negava i requisiti. La sentenza chiarisce che il ritardo dell’ente previdenziale nel sospendere l’erogazione non genera un legittimo affidamento nel percipiente. La conoscenza legale del verbale, anche per compiuta giacenza della raccomandata, fa venire meno la buona fede e impone la restituzione dell’indebito assistenziale.

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Liquidazione spese processuali: calcolo in cause riunite

Un gruppo di dipendenti ha impugnato la sentenza di primo grado unicamente sulla quantificazione delle spese legali, ritenuta inferiore ai minimi tariffari. L’appello verteva sulla corretta liquidazione spese processuali in seguito alla riunione di più cause individuali solo nella fase finale del giudizio. La Corte d’Appello ha accolto il ricorso, stabilendo che le fasi antecedenti alla riunione devono essere liquidate autonomamente per ciascuna parte, riformando così l’importo dovuto e affermando un importante principio sul calcolo dei compensi legali.

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Nesso causale malattia professionale: no se lavoro discontinuo

La Corte d’Appello ha respinto la richiesta di un lavoratore per il riconoscimento di una malattia professionale (tendinopatia alla spalla). La decisione si fonda sulla natura discontinua del lavoro svolto (circa 50-60 giorni all’anno come bracciante), ritenuta insufficiente a stabilire il nesso causale tra l’attività lavorativa e la patologia, attribuita invece a fattori degenerativi e costituzionali.

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