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Giurisprudenza Civile

Danno da usura psicofisica: risarcimento per pausa negata

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento per danno da usura psicofisica a favore di alcuni lavoratori del settore sanitario a cui, per oltre dieci anni, non era stata concessa la pausa lavorativa obbligatoria. Secondo la Corte, una violazione così sistematica e prolungata permette al giudice di presumere l’esistenza di un danno effettivo, anche senza prove mediche dirette, condannando il datore di lavoro. L’appello dell’azienda è stato dichiarato inammissibile.

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Approvazione rendiconto: blocca l'azione del singolo?

Una condomina ha citato in giudizio l’ex amministratrice per presunti prelievi ingiustificati. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo un principio fondamentale: l’approvazione del rendiconto condominiale da parte dell’assemblea, qualora non venga impugnata, ratifica l’operato dell’amministratore e impedisce al singolo proprietario di agire successivamente per contestare la gestione approvata.

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Risarcimento buoni pasto: la Cassazione chiarisce

Un dirigente medico ha citato in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata erogazione del servizio mensa o dei buoni pasto sostitutivi. Dopo il rigetto nei primi due gradi di giudizio, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. La Suprema Corte ha chiarito che, sebbene i buoni pasto non siano monetizzabili, il lavoratore ha diritto a un risarcimento per equivalente se il datore di lavoro non adempie all’obbligo di fornirli. La domanda non va intesa come richiesta di monetizzazione, ma come legittima pretesa di risarcimento buoni pasto per inadempimento contrattuale.

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Annotazione sentenza simulazione: opponibilità al fallimento

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’annotazione di una sentenza che accerta la simulazione assoluta di una vendita immobiliare è opponibile al fallimento del simulato acquirente, anche in assenza di una precedente trascrizione della domanda giudiziale. L’annotazione, se anteriore alla dichiarazione di fallimento, svolge una funzione dichiarativa autonoma che rende la sentenza efficace nei confronti dei terzi, come la curatela fallimentare, dal momento della sua esecuzione. Il caso è stato rinviato al tribunale di merito per verificare la corretta redazione della nota di annotazione.

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Azione revocatoria: il potere del giudice sul credito

Una curatela fallimentare agisce in revocatoria per rendere inefficaci due donazioni che pregiudicavano un credito derivante da una promessa di pagamento. La Cassazione chiarisce che il giudice può qualificare la domanda basandosi sui fatti allegati, anche se inquadra il credito in modo diverso da quanto prospettato dalla parte, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione. Il ricorso è stato quindi rigettato, confermando la piena validità dell’azione revocatoria.

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Diffida accertativa: valore e limiti del potere ispettivo

La Corte di Cassazione conferma la validità di una diffida accertativa emessa dall’Ispettorato del Lavoro per crediti da lavoro straordinario. Viene stabilito che gli ispettori possono effettuare accertamenti di fatto e non solo tecnici. La diffida, pur diventando titolo esecutivo, non equivale a una sentenza passata in giudicato, ma l’onere di contestarne il contenuto nel merito spetta al datore di lavoro, che deve fornire prove contrarie concrete. Il ricorso dell’azienda è stato respinto.

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Improcedibilità ricorso: quando la Cassazione lo boccia

Una madre aveva venduto alcuni immobili al figlio, pregiudicando le ragioni di un suo creditore. Quest’ultimo aveva ottenuto una sentenza favorevole nei primi due gradi di giudizio. In Cassazione, tuttavia, il ricorso della madre e del figlio è stato dichiarato inammissibile. La causa dell’improcedibilità del ricorso è stata un errore formale: il mancato deposito della prova di notifica della sentenza d’appello entro i termini di legge. La Suprema Corte ha ribadito che tale adempimento è un presupposto processuale inderogabile, la cui mancanza non può essere sanata, portando alla definizione immediata del giudizio.

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Estinzione giudizio Cassazione: il caso della rinuncia

Una società di trasporti ha presentato ricorso in Cassazione contro una sentenza della Corte d’Appello. A seguito della proposta di definizione del giudizio formulata dalla Suprema Corte ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la società ricorrente non ha richiesto una decisione entro il termine di quaranta giorni. Tale silenzio è stato interpretato come una rinuncia al ricorso, portando alla dichiarazione di estinzione del giudizio di Cassazione e alla condanna della società al pagamento delle spese legali.

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Compenso CTU dopo sentenza: nullo il decreto del giudice

La Corte di Cassazione ha stabilito che un decreto di liquidazione del compenso CTU, emesso dopo la sentenza che definisce il giudizio, è nullo per carenza di potere del giudice. Una volta conclusa la causa, il giudice non può più emettere provvedimenti di questo tipo. Il consulente, per ottenere il pagamento, deve agire con un decreto ingiuntivo contro le parti. Il ricorso del consulente è stato accolto e il decreto impugnato è stato cassato senza rinvio.

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Estinzione giudizio Cassazione: il silenzio costa caro

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’estinzione del giudizio di Cassazione in un caso in cui il ricorrente, dopo aver ricevuto una proposta di definizione del ricorso, non ha richiesto una decisione entro il termine di 40 giorni. L’inerzia è stata equiparata a una rinuncia all’impugnazione, portando alla chiusura del procedimento.

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Estinzione del giudizio: la mancata richiesta di decisione

Un ente previdenziale ha proposto ricorso in Cassazione contro una cittadina. La Corte ha formulato una proposta di definizione del giudizio, ma l’ente non ha richiesto una decisione entro il termine di 40 giorni. Di conseguenza, la Cassazione ha dichiarato l’estinzione del giudizio, equiparando il silenzio a una rinuncia al ricorso e compensando le spese legali per la novità della questione originaria.

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Onere della prova: quando il ricorso è inammissibile

Un’azienda agricola ha visto il suo ricorso respinto dalla Corte di Cassazione. La decisione si fonda sul mancato assolvimento dell’onere della prova: l’azienda non ha dimostrato di aver sollevato le medesime eccezioni nei precedenti gradi di giudizio. Il caso riguarda la restituzione di sgravi contributivi per i lavoratori agricoli, contestati dall’Istituto Previdenziale perché l’azienda avrebbe corrisposto retribuzioni inferiori a quelle previste dal contratto collettivo provinciale. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che non possono essere introdotte ‘questioni nuove’ in sede di legittimità se queste richiedono accertamenti di fatto non effettuati in precedenza.

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Prova contratto di mutuo: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19047/2025, interviene su una complessa vicenda nata da un contratto preliminare di vendita immobiliare e sfociata in una lite su un presunto contratto di mutuo. La Corte ha stabilito che per la prova del contratto di mutuo non basta una scrittura privata che ne attesti l’esistenza, ma è necessaria la dimostrazione dell’effettiva consegna del denaro (traditio). Di conseguenza, ha cassato la decisione di merito che aveva condannato il presunto mutuatario alla restituzione della somma, rinviando il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione basata su questo principio.

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Scatti di anzianità in appalto: la Cassazione decide

Un lavoratore si è visto negare gli scatti di anzianità dalla nuova società subentrata in un appalto di servizi. I giudici di merito avevano respinto la domanda, ma la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione. Con l’ordinanza n. 20746/2025, ha stabilito che i contratti collettivi possono imporre al nuovo datore di lavoro il riconoscimento di tutta l’anzianità maturata in precedenza, inclusa quella accertata da una sentenza, a prescindere dalla sussistenza di un trasferimento d’azienda.

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Rinuncia al ricorso: come si estingue il processo

Una società fallita, dopo aver impugnato un decreto del Tribunale, ha presentato rinuncia al ricorso. La Corte di Cassazione, verificata la conformità della rinuncia ai requisiti di legge, ha dichiarato l’estinzione del processo, senza disporre sulle spese a causa della mancata costituzione della controparte.

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Estinzione del giudizio: il silenzio che costa caro

La Corte di Cassazione dichiara l’estinzione del giudizio in un caso civile. Un Comune, dopo aver ricevuto una proposta di decisione accelerata, non ha chiesto la prosecuzione del processo entro 40 giorni, portando alla presunzione di rinuncia al ricorso e alla condanna alle spese legali. Questo evidenzia l’importanza dei termini processuali per l’estinzione del giudizio.

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Inammissibilità ricorso Cassazione: limiti esame fatti

Una società edile ha contestato addebiti bancari per capitalizzazione e commissioni. Dopo una vittoria parziale in appello, ha presentato ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso Cassazione, sottolineando che il suo ruolo non è riesaminare i fatti o i documenti come un tribunale di merito, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.

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Progressione di carriera: diritto alla promozione

Un avvocato dipendente di un ente pubblico previdenziale, pur essendosi classificato utilmente in una selezione interna, si è visto negare la promozione a causa della mancata approvazione formale della graduatoria. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’ente non può interrompere arbitrariamente una procedura legittimamente avviata, confermando il diritto del lavoratore alla progressione di carriera. La sentenza chiarisce che il ‘blocco’ normativo degli stipendi ha inciso solo sugli effetti economici, non sul diritto giuridico alla promozione. Di conseguenza, al lavoratore è stato riconosciuto l’inquadramento superiore con decorrenza giuridica retroattiva, il risarcimento del danno per il periodo intermedio e gli effetti economici a partire dalla fine del blocco.

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Danno da usura psicofisica: la pausa negata si paga

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un’azienda sanitaria a risarcire i propri dipendenti per il danno da usura psicofisica causato dalla sistematica mancata concessione della pausa di lavoro per oltre un decennio. La Corte ha stabilito che, sebbene il danno non sia automatico (in re ipsa), la sua esistenza può essere provata dal giudice tramite presunzioni, basandosi sulla gravità e sulla durata della violazione.

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Mediazione obbligatoria: basta il primo incontro?

Una società immobiliare impugnava una delibera condominiale. Durante la causa, il condominio approvava una nuova delibera sanando i vizi, portando alla cessazione della materia del contendere. I giudici di merito compensavano le spese legali, ritenendo che la società, pur avendo avviato la mediazione obbligatoria, non l’avesse effettivamente esperita. La Cassazione ha ribaltato la decisione, chiarendo che per soddisfare la condizione di procedibilità è sufficiente partecipare al primo incontro di mediazione, anche se si conclude senza accordo. La semplice presenza e informativa del mediatore bastano, non essendo necessario proseguire se non vi è volontà.

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