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Giurisprudenza Civile

Rapporto di lavoro subordinato: quando è inesistente?
La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito che nega l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a un soggetto che, pur rivendicando tale status, agiva in realtà come amministratore di fatto e gestore esclusivo della società. La Corte ha ritenuto che la mancanza di subordinazione, elemento essenziale del rapporto di lavoro, rendesse infondate tutte le successive pretese, inclusa l'impugnazione di un licenziamento seguito a una cessione d'azienda.
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Canone locazione commerciale: no al blocco unilaterale
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1341/2024, ha chiarito che la sospensione unilaterale del pagamento del canone locazione commerciale durante il lockdown Covid-19 costituisce un grave inadempimento. Se il conduttore non dimostra di aver attivamente cercato una rinegoziazione del contratto con il locatore, la risoluzione del contratto è legittima. Nel caso di specie, il ricorso del conduttore è stato dichiarato inammissibile per motivi procedurali, confermando la decisione della Corte d'Appello che aveva già sancito la gravità della sua condotta.
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Licenziamento orale: la prova spetta al lavoratore
Un'ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce l'onere della prova nel caso di licenziamento orale. Un pizzaiolo, licenziato verbalmente, si è visto riconoscere le sue ragioni. La Corte ha stabilito che, sebbene spetti al lavoratore dimostrare il licenziamento, la prova può essere fornita anche tramite indizi e testimonianze, non essendo sufficiente la mera interruzione del rapporto di lavoro. La Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d'Appello, che aveva accertato la natura subordinata del rapporto e l'illegittimità del licenziamento orale, rigettando il ricorso del datore di lavoro.
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Accettazione tacita eredità: notifica non basta
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1330/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di successioni. La semplice ricezione della notifica di un atto di riassunzione di un processo e la successiva mancata costituzione in giudizio (contumacia) da parte dei chiamati all'eredità non sono sufficienti a configurare un'accettazione tacita eredità. Spetta al creditore che agisce in giudizio l'onere di provare l'effettiva assunzione della qualità di erede da parte del chiamato. La sentenza distingue nettamente tra le esigenze procedurali per la prosecuzione del giudizio interrotto e l'accertamento sostanziale della qualità di erede.
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Incentivo alta sorveglianza: quale norma si applica?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1329/2024, ha stabilito un principio chiave per l'attribuzione di un incentivo per alta sorveglianza. In un caso riguardante dipendenti di una società pubblica, la Corte ha chiarito che la normativa applicabile è quella vigente al momento del conferimento formale dell'incarico specifico, e non quella in vigore all'inizio del progetto generale. La decisione si fonda sul principio del 'tempus regit actum', confermando che l'atto di assegnazione delle responsabilità determina la disciplina retributiva da seguire, respingendo le tesi della società che invocava un regolamento precedente meno favorevole ai lavoratori.
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Incentivo all’esodo: accordo verbale non provato
Una ex dipendente ha richiesto il ricalcolo del suo incentivo all'esodo, sostenendo l'esistenza di un accordo verbale per adeguarlo a una sopravvenuta modifica dell'età pensionabile. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando il principio della 'doppia conforme' e la mancata prova da parte della lavoratrice dell'esistenza e della non contestazione di tale accordo verbale nel giudizio di primo grado.
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Danno irragionevole durata: quando è risarcibile?
Un lavoratore ha richiesto un'equa riparazione per i danni patrimoniali subiti a causa dell'eccessiva lunghezza di un processo volto a convertire il suo contratto a tempo determinato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che il danno da irragionevole durata è distinto dal danno oggetto della causa originaria. La normativa sul lavoro prevede già un'indennità onnicomprensiva per l'illegittima apposizione del termine, che copre le perdite retributive. Pertanto, il danno patrimoniale lamentato non era conseguenza diretta del ritardo processuale, ma della questione lavoristica stessa.
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Rimborso spese legali dipendente: parola alla Cassazione
Un dipendente pubblico, assolto in un giudizio contabile per danno erariale, ha chiesto alla propria Amministrazione il rimborso delle spese legali. La Corte dei Conti aveva disposto la compensazione delle spese, ritenendo la sua condotta 'non immune da censure'. La Corte d'Appello ha negato il diritto al rimborso. La Corte di Cassazione, rilevando un profondo contrasto giurisprudenziale sul tema del rimborso spese legali dipendente pubblico, ha sospeso la decisione e ha rimesso la questione alle Sezioni Unite per dirimere il conflitto e stabilire se il dipendente abbia diritto al rimborso integrale, anche in caso di compensazione delle spese da parte del giudice contabile.
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Divisione ereditaria: rendiconto e crediti tra coeredi
Un coerede ha intentato una causa per la divisione di un immobile, chiedendo una quota maggiore in virtù di pagamenti effettuati per saldare debiti comuni. I tribunali di merito e la Corte di Cassazione hanno respinto la sua richiesta, stabilendo un principio fondamentale: nell'ambito di una divisione ereditaria, le pretese di rimborso o i crediti verso gli altri coeredi devono essere oggetto di una specifica e autonoma domanda di rendiconto. Tale domanda non può essere considerata implicita nella richiesta di divisione e la sua assenza porta al rigetto delle pretese economiche. L'ordinanza chiarisce l'importanza della corretta procedura per far valere i propri diritti in sede di scioglimento della comunione.
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Inammissibilità dell’appello: i requisiti del ricorso
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1320/2024, ha annullato una decisione di merito che dichiarava l'inammissibilità dell'appello per genericità. La Suprema Corte ha ribadito che, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., l'atto di appello non richiede forme sacramentali, ma deve individuare con chiarezza le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata, consentendo al giudice di comprendere le censure mosse. La Corte ha ritenuto che nel caso di specie i motivi fossero sufficientemente specifici, cassando la sentenza e rinviando la causa alla Corte d'Appello.
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Querela di falso: testamento e testimoni assenti
La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito che ha dichiarato parzialmente falso un testamento pubblico. La controversia riguardava una querela di falso promossa per l'assenza dei testimoni al momento della dichiarazione delle volontà del testatore al notaio. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, chiarendo che l'interesse ad agire nella querela di falso sussiste per la sola necessità di rimuovere l'incertezza sulla veridicità di un atto pubblico, a prescindere dalle conseguenze sulla validità del testamento. Ha inoltre dichiarato inammissibili i motivi relativi alla valutazione delle prove, ribadendo che tale compito spetta esclusivamente ai giudici di merito.
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Clausola sociale: obbligo di assunzione e tutele
Un lavoratore, impiegato nei servizi di assistenza a terra in un aeroporto, non veniva assunto dalla società subentrante in un cambio appalto, nonostante la presenza di una clausola sociale nel contratto collettivo. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1316/2024, ha confermato il diritto del lavoratore all'assunzione e al risarcimento, rigettando le difese dell'azienda. Il caso chiarisce che l'obbligo di assunzione derivante dalla clausola sociale è vincolante e che non si applicano i brevi termini di decadenza previsti per l'impugnazione dei licenziamenti, garantendo così una maggiore tutela occupazionale.
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Prova testamento scomparso: la Cassazione decide
In un caso riguardante la presunta distruzione di un testamento, la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d'Appello. Quest'ultima aveva negato la prova del testamento scomparso basandosi su una valutazione illogica e frammentaria delle testimonianze. La Cassazione ha ribadito che la prova può essere fornita con ogni mezzo e che il giudice deve valutare tutte le risultanze in modo coerente e non congetturale, rinviando il caso per un nuovo esame.
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Indennità di occupazione: quando non è dovuta
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1314/2024, ha stabilito che il comproprietario che cede a terzi il proprio diritto di usufrutto su un immobile rinuncia volontariamente al godimento del bene. Di conseguenza, non può richiedere l'indennità di occupazione all'altro comproprietario che lo utilizza in via esclusiva. La Corte ha inoltre chiarito che la proposizione di una domanda riconvenzionale per la divisione dei frutti civili di altri beni comuni è sufficiente a manifestare il dissenso verso l'uso esclusivo da parte dell'altro contitolare.
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Durata irragionevole processo: indennizzo spetta
La Corte di Cassazione ha stabilito che la durata irragionevole del processo fallimentare, protrattosi per oltre 18 anni, conferisce al creditore il diritto a un equo indennizzo. La Corte ha chiarito che la complessità della procedura può giustificare un'estensione del termine ragionevole da sei a sette anni, ma non può mai determinare la negazione totale del diritto al risarcimento quando tale soglia viene ampiamente superata. La decisione della Corte d'Appello, che aveva negato l'indennizzo, è stata quindi annullata con rinvio.
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Durata irragionevole e risarcimento: il limite massimo
Due creditori hanno chiesto un indennizzo per la durata irragionevole di una procedura fallimentare durata oltre 18 anni. La Corte d'Appello aveva negato il risarcimento a causa della complessità del caso. La Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che la complessità può giustificare un'estensione del termine ragionevole da sei a sette anni, ma non può escludere del tutto il diritto all'indennizzo per ritardi così estesi.
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Durata irragionevole processo: indennizzo quasi dovuto
La Corte di Cassazione ha stabilito che la durata irragionevole del processo fallimentare, se superiore a sette anni, genera il diritto a un equo indennizzo. Un creditore, dopo aver atteso oltre 18 anni per la conclusione di una procedura, si era visto negare il risarcimento dalla Corte d'Appello a causa della complessità del caso. La Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando che la complessità può giustificare un allungamento dei tempi fino a un massimo di sette anni, ma non può escludere del tutto il diritto all'indennizzo per ritardi ulteriori. Superata tale soglia, il danno non patrimoniale si presume, e il cittadino deve essere risarcito per la disfunzione del sistema giudiziario.
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Contratto di prototipo: il compenso è sempre dovuto?
Una società di carpenteria si opponeva al pagamento di un ingegnere per la progettazione di un prototipo di molle, sostenendo l'inadempimento poiché il prodotto finale non era stato adottato dal committente. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, qualificando l'accordo come un contratto di prototipo. In tale contratto, l'oggetto è l'attività di progettazione in sé, che va remunerata indipendentemente dall'utilizzo finale del prototipo, riconoscendo così il diritto al compenso del professionista.
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Nullità contratto pubblico: no assunzione senza concorso
La Corte di Cassazione ha confermato la nullità dei contratti di collaborazione a progetto stipulati con una società a totale partecipazione pubblica, a causa della mancata esecuzione di una procedura di selezione concorsuale. Questa decisione sottolinea che la nullità del contratto pubblico impedisce la sua conversione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, riaffermando il principio fondamentale dell'accesso meritocratico agli impieghi in ambito pubblico.
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Giudicato esterno e interpretazione degli atti
La Corte di Cassazione chiarisce i limiti del giudicato esterno, stabilendo che una precedente sentenza che interpreta un documento non preclude una nuova azione legale se questa si fonda su una parte diversa e autonoma dello stesso documento. Il caso riguardava una richiesta di rimborso per tasse non pagate, in cui la Corte ha ritenuto che una precedente decisione, basata su un'altra clausola dello stesso accordo scritto e respinta per difetto di legittimazione attiva, non costituisse un giudicato sulla questione oggetto del nuovo contenzioso.
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