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Giurisprudenza Civile

Trattenimento richiedente asilo: termini non perentori
Un cittadino straniero ha presentato ricorso contro l'ordinanza del Tribunale di Torino che confermava il suo trattenimento. Sosteneva che fossero stati superati i termini perentori previsti dalla procedura accelerata per l'esame della sua domanda di protezione internazionale. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che i termini della procedura accelerata non sono perentori ai fini della legittimità del trattenimento. La loro violazione non comporta la decadenza automatica della misura, ma altre conseguenze procedurali, come il ripristino dell'effetto sospensivo in caso di impugnazione. Il trattenimento richiedente asilo resta quindi valido entro i limiti massimi di durata stabiliti dalla legge.
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Azione revocatoria fallimentare: limiti del curatore
La Suprema Corte dichiara inammissibili i ricorsi di un curatore fallimentare e dell'Agenzia delle Entrate in un caso di azione revocatoria fallimentare. La decisione sottolinea che il curatore non può subentrare in un'azione avviata da un creditore contro un debitore diverso dalla società fallita, poiché ciò costituirebbe una domanda nuova e inammissibile, alterando la causa petendi originaria.
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Acquiescenza parziale: effetti su co-appellanti
La Corte di Cassazione chiarisce gli effetti dell'acquiescenza parziale in un processo con più appellanti. Alcuni acquirenti di immobili avevano appellato una sentenza che li condannava a pagare un'integrazione di prezzo per dei parcheggi, contestando solo l'importo dovuto (quantum) e non l'obbligo di pagare (an). Solo un'acquirente contestava anche quest'ultimo. La Corte d'Appello aveva esteso a tutti la decisione favorevole che annullava l'obbligo di pagamento. La Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che la mancata impugnazione dell'obbligo di pagare da parte degli altri acquirenti aveva creato un giudicato parziale su quel punto, limitando il loro appello alla sola discussione sull'importo.
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Unico centro di imputazione: licenziamento e appello
Una lavoratrice, licenziata per giustificato motivo oggettivo a seguito della perdita di un appalto da parte della sua società datrice di lavoro formale, impugna il provvedimento. La Corte d'Appello accoglie il suo reclamo, identificando un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro in un consorzio di cui la società faceva parte. Secondo i giudici, l'obbligo di repechage si estendeva a tutte le società del gruppo. Il consorzio ricorre in Cassazione, ma il ricorso viene dichiarato inammissibile per gravi vizi procedurali, confermando di fatto la decisione d'appello.
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Licenziamento orale: tutela e calcolo del danno
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha confermato la decisione della Corte d'Appello riguardo un caso di licenziamento orale. La Suprema Corte ha ribadito che il licenziamento orale non è nullo, ma inefficace, comportando il diritto del lavoratore al risarcimento del danno pari a tutte le retribuzioni non percepite. Il caso originava dalla conversione di un contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato per mancata formazione. La Corte ha inoltre precisato i criteri per il calcolo del danno e l'applicazione del contratto collettivo indicato nel contratto individuale di lavoro.
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Estinzione del processo: rinuncia e conseguenze
La Corte di Cassazione ha dichiarato l'estinzione del processo in una causa di lavoro a seguito della rinuncia al ricorso da parte della società datrice di lavoro e della relativa accettazione da parte del lavoratore. La decisione chiarisce che, in caso di estinzione, non si applica il raddoppio del contributo unificato.
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Azione revocatoria: quando la cessione d’azienda è nulla
Un'azienda calzaturiera in liquidazione cede il proprio ramo d'azienda a una nuova società. Un ente previdenziale, creditore della prima, agisce con un'azione revocatoria per dichiarare inefficace la cessione. La Cassazione conferma la decisione dei giudici di merito, rigettando i ricorsi delle due società e chiarendo i presupposti dell'azione, come l'anteriorità del credito e il 'consilium fraudis'.
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Licenziamento tardivo: la conoscenza dei fatti
La Corte di Cassazione ha stabilito che un licenziamento non è tardivo se l'azione disciplinare è avviata quando il datore di lavoro acquisisce piena e certa conoscenza dei fatti, anche se ciò avviene anni dopo l'accaduto. Nel caso specifico, un dipendente di banca è stato licenziato per furto dopo una condanna penale. Il licenziamento è stato ritenuto legittimo perché la piena conoscenza dei fatti è stata acquisita solo tramite una notizia di stampa, e non da precedenti segnalazioni parziali.
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Autonomia sindacale: repechage solo a livello locale
Una lavoratrice, licenziata da un sindacato locale, ha contestato il mancato tentativo di ricollocazione (repechage) a livello nazionale. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento, fondando la sua decisione sul principio di autonomia sindacale della sede territoriale. Secondo la Corte, se la struttura locale possiede una distinta soggettività giuridica, patrimoniale e gestionale, l'obbligo di repechage non si estende all'intera organizzazione nazionale.
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Unico centro di imputazione: i limiti secondo la Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un lavoratore licenziato che sosteneva l'esistenza di un unico centro di imputazione tra tre società collegate. La Corte ha ribadito che il mero collegamento economico-funzionale e la coincidenza di alcuni dirigenti non sono sufficienti. Per configurare un unico datore di lavoro, è necessaria la prova rigorosa dell'unicità della struttura organizzativa, dell'integrazione delle attività, di un unico centro direttivo e dell'utilizzo promiscuo della prestazione lavorativa.
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Qualifica superiore: quando le mansioni contano
Un ex dipendente di un istituto bancario, inquadrato come Vice Direttore, ha ottenuto il riconoscimento della qualifica superiore di Direttore. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, basandosi sull'analisi delle mansioni ispettive effettivamente svolte, considerate prevalenti e riconducibili al livello superiore. L'ordinanza rigetta il ricorso della banca, condannandola al pagamento delle differenze retributive e pensionistiche maturate, e chiarisce importanti aspetti processuali sul giudizio di rinvio e sulla legittimazione passiva.
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Usucapione beni statali: la notifica è obbligatoria
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34572/2024, ha stabilito che la legge 296/2006, che impone la notifica all'Agenzia del Demanio per l'usucapione di beni pervenuti allo Stato da eredità giacenti, si applica anche ai possessi iniziati prima della sua entrata in vigore ma non ancora completati. La mancata notifica rende il possesso clandestino, interrompendo di fatto il termine per l'usucapione beni statali. La Corte ha rigettato il ricorso di un privato che rivendicava la proprietà di un immobile, confermando che la nuova norma ha introdotto un requisito essenziale per la validità del possesso.
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Società in house: impossibile conversione contratto
Un lavoratore, impiegato come socialmente utile presso una società in house, ha richiesto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi precedenti. Il motivo principale risiede nel fatto che le società in house sono soggette alle rigide normative del pubblico impiego per le assunzioni, che prevedono concorsi pubblici e impediscono la conversione automatica di contratti atipici in rapporti di lavoro stabili.
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Giustificato motivo oggettivo: licenziamento nullo
La Corte di Cassazione conferma la nullità del licenziamento di due lavoratori per giustificato motivo oggettivo, poiché la riorganizzazione aziendale addotta dalla società datrice di lavoro è risultata meramente apparente e nominalistica. L'ordinanza ribadisce che spetta al datore di lavoro l'onere di provare l'effettiva esistenza delle ragioni produttive che rendono necessaria la soppressione del posto, non essendo sufficiente un semplice cambio di denominazione delle funzioni.
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Estinzione del processo: cosa succede dopo l’accordo
Una società aveva impugnato in Cassazione la sentenza della Corte d'Appello che confermava l'illegittimità del licenziamento di un dipendente. Tuttavia, prima della decisione, le parti hanno raggiunto un accordo. Di conseguenza, la società ha rinunciato al ricorso, portando la Corte di Cassazione a dichiarare l'estinzione del processo, chiudendo così la vicenda legale senza una pronuncia nel merito.
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Trasferimento d’azienda: retribuzione e contratti
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di alcuni lavoratori che si erano opposti alla cessazione di un emolumento retributivo, definito "superminimo non assorbibile", a seguito di un trasferimento d'azienda. La Corte ha stabilito che, in caso di cessione, si applica il contratto collettivo dell'azienda cessionaria, anche se meno favorevole. La tutela prevista dalla normativa, anche europea, mira a evitare un peggioramento delle condizioni lavorative al momento del trasferimento, ma non impedisce successive modifiche derivanti dall'applicazione di nuovi accordi collettivi.
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Usucapione beni dello Stato: la legge cambia le regole
La Corte di Cassazione ha stabilito che la legge 296/2006, pur non essendo retroattiva, si applica ai periodi di usucapione non ancora conclusi alla sua entrata in vigore. In tema di usucapione beni dello Stato, la mancata notifica del possesso all'Agenzia del Demanio, richiesta dalla nuova norma, rende il possesso stesso "clandestino" e quindi inefficace ai fini dell'acquisto della proprietà. La sentenza chiarisce che questa norma crea un vizio sopravvenuto nel possesso, interrompendone l'utilità fino all'adempimento della comunicazione.
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Ratifica contratto: la Cassazione sulla clausola arbitrale
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 34565/2024, ha stabilito che la ratifica di un contratto d'appalto, stipulato da un rappresentante senza poteri (falsus procurator), non si estende automaticamente alla clausola compromissoria in esso contenuta. La Corte ha chiarito che, data la necessità della forma scritta per tale clausola, anche la ratifica deve manifestare in modo inequivoco e per iscritto la volontà di accettare specificamente la devoluzione della controversia ad arbitri. L'esecuzione dei lavori o l'emissione di fatture non sono sufficienti a integrare tale requisito. Di conseguenza, il ricorso della società committente è stato rigettato, confermando la competenza del giudice ordinario.
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Licenziamento lavoratore detenuto: la Cassazione decide
Un lavoratore in stato di detenzione cautelare è stato licenziato per la sua prolungata assenza. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento, respingendo il ricorso del dipendente che lamentava irregolarità nella procedura di conciliazione. La Suprema Corte ha stabilito che la notifica dell'invito alla conciliazione presso l'istituto di pena era valida e che l'assenza per detenzione costituiva un impedimento assoluto alla prestazione lavorativa, giustificando il recesso. Questo caso chiarisce i contorni del licenziamento lavoratore detenuto.
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Vizi della cosa venduta: quando è aliud pro alio?
Un acquirente cita in giudizio un'azienda di arredamento per la difformità di una camera da letto. La Cassazione chiarisce la distinzione tra 'aliud pro alio' e semplice mancanza di qualità, ritenendo che se il bene assolve alla sua funzione principale, non si tratta di 'aliud pro alio'. Di conseguenza, si applicano i termini di prescrizione più brevi per i vizi della cosa venduta, e nel caso di specie, l'azione dell'acquirente è stata dichiarata prescritta.
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