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Giurisprudenza Civile

Indebito previdenziale: quando restituire le somme?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 14292/2024, ha stabilito un principio chiave in materia di indebito previdenziale. Anche in assenza di dolo da parte del pensionato, le somme percepite in eccesso devono essere restituite se l'ente previdenziale agisce per il recupero entro i termini di legge, a seguito della comunicazione dei dati reddituali da parte dell'interessato. La tempestività della verifica da parte dell'ente prevale sulla buona fede del percipiente.
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Estinzione del giudizio: la Cassazione chiude il caso
Un contenzioso relativo a un contratto di leasing nautico, giunto in Cassazione dopo il rigetto delle domande di risoluzione e ripetizione dell'indebito, si è concluso con una declaratoria di estinzione del giudizio. La decisione è scaturita dalla presentazione di un atto di rinuncia al ricorso, accettato dalla controparte, che ha reso superflua una pronuncia nel merito e sulle spese legali.
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Trasferimento d’azienda: quando non basta la continuità
Una lavoratrice del settore ristorazione ha agito in giudizio sostenendo l'esistenza di un trasferimento d'azienda tra il suo datore di lavoro originario e una nuova società. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che per configurare un trasferimento d'azienda non è sufficiente la mera continuità del personale e dei locali. È indispensabile dimostrare che l'entità economica organizzata abbia conservato la propria identità nel passaggio, prova che nel caso di specie non è stata fornita.
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Obbligo assunzione appalto: il ricorso inammissibile
Un'azienda subentrante in un appalto di servizi di trasporto pubblico è stata condannata ad assumere un lavoratore della precedente gestione. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell'azienda perché non ha contestato una delle motivazioni alternative della Corte d'Appello, fondata sull'obbligo assunzione appalto previsto dalla clausola sociale del CCNL e del capitolato.
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Pensione di reversibilità: non si eredita due volte
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14287/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di pensione di reversibilità: questo diritto non può essere trasmesso ulteriormente agli eredi del beneficiario. Il caso riguardava la richiesta di una figlia di ottenere la pensione di reversibilità della madre, la quale era a sua volta titolare di una pensione di reversibilità per la morte del marito. La Corte ha accolto il ricorso dell'ente previdenziale, chiarendo che il diritto sorge solo in favore dei superstiti del titolare di una pensione diretta, e non può essere oggetto di un'ulteriore successione.
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Uso aziendale: quando la prassi diventa obbligo
Un'azienda ha interrotto dopo quattro anni il pagamento di un'indennità a un gruppo di dipendenti. La Corte di Cassazione ha confermato che tale comportamento prolungato e generalizzato ha creato un 'uso aziendale', trasformando la prassi in un diritto acquisito per i lavoratori. L'indennità, quindi, non poteva essere unilateralmente revocata e deve essere considerata parte integrante della retribuzione.
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Impugnazione estratto di ruolo: quando si può agire?
Un professionista ha impugnato un estratto di ruolo per contributi previdenziali non versati. La Corte di Cassazione, applicando una nuova normativa (ius superveniens), ha dichiarato l'azione inammissibile. La Corte ha stabilito che l'impugnazione estratto di ruolo è consentita solo se il contribuente dimostra un pregiudizio concreto e specifico, come l'impossibilità di partecipare a gare d'appalto o la perdita di benefici. In assenza di tale prova, manca l'interesse ad agire, condizione essenziale per l'azione legale. La sentenza d'appello è stata quindi annullata senza rinvio.
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Società di fatto: quando la confessione non basta
In un caso tra due fratelli imprenditori, la Corte di Cassazione ha stabilito che l'ammissione di una gestione aziendale congiunta non è sufficiente a provare l'esistenza di una società di fatto. Per intentare un'azione basata su un rapporto sociale, è indispensabile dimostrare anche un accordo sulla ripartizione degli utili, in assenza del quale resta esperibile l'azione per ingiustificato arricchimento.
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Interpretazione transazione: la Cassazione decide
Un ex dipendente ha richiesto il pagamento del TFR, sostenendo che non fosse incluso in un precedente accordo. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che l'interpretazione transazione spetta al giudice di merito, soprattutto in presenza di una 'doppia conforme', ovvero quando due sentenze di grado inferiore giungono alla stessa conclusione sui fatti. La Corte ha stabilito che la somma 'onnicomprensiva' pattuita nell'accordo includeva anche il TFR, confermando la decisione dei giudici di merito.
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Obbligazione retributiva e cessione di ramo d’azienda
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14265/2024, ha stabilito che le somme dovute al lavoratore a seguito di una cessione di ramo d'azienda dichiarata illegittima hanno natura di obbligazione retributiva e non risarcitoria. La Corte ha chiarito che una precedente sentenza tra le stesse parti, che qualificava diversamente le somme per periodi anteriori, non costituisce un giudicato esterno sulla qualificazione giuridica della pretesa per periodi successivi. Di conseguenza, il datore di lavoro cedente è tenuto a corrispondere le retribuzioni anche se non ha ricevuto la prestazione lavorativa, purché questa sia stata offerta dal dipendente.
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Responsabilità professionale avvocato: l’analisi di Cass.
Due legali citavano in giudizio un condominio per il mancato pagamento di compensi. Il condominio, in via riconvenzionale, chiedeva il risarcimento del danno per responsabilità professionale avvocato. Sia il Tribunale che la Corte d'Appello accoglievano la domanda del condominio. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso dei legali, confermando la loro condanna e delineando importanti principi in materia di onere della prova, produzione di nuovi documenti in appello e limiti del sindacato di legittimità.
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Buona fede contrattuale: l’appello inammissibile
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un'impresa che contestava il pagamento di un corrispettivo per lo smontaggio di un impianto. L'impresa lamentava la mancata copertura dei macchinari, ma la Corte ha stabilito che tale prestazione non era nel contratto e che il ricorso mirava a un riesame dei fatti, non consentito in sede di legittimità. La decisione riafferma i limiti del principio di buona fede contrattuale e l'onere della prova.
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Contratti a termine agricoltura: stop agli abusi
Un lavoratore agricolo, impiegato per decenni da un ente pubblico con continui contratti a termine, ha visto riconosciuto il proprio diritto. La Cassazione, ribaltando la decisione d'appello, ha stabilito che un ente pubblico non economico non è un imprenditore agricolo e non può abusare delle deroghe sui contratti a termine agricoltura. L'eccezione della stagionalità va interpretata in modo restrittivo e la prova spetta al datore di lavoro.
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Contratti a termine agricoli: limiti e stagionalità
La Corte di Cassazione interviene sulla questione della reiterazione dei contratti a termine agricoli stipulati da un ente pubblico. Con l'ordinanza n. 14251/2024, ha stabilito che un ente pubblico non economico non può essere qualificato come "imprenditore agricolo" e, pertanto, non può beneficiare delle deroghe previste per il settore. La Corte ha inoltre fornito un'interpretazione restrittiva del concetto di "stagionalità", escludendo le attività continuative. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio per un nuovo esame.
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Rinuncia al ricorso: gli effetti sulla causa
Un dipendente pubblico, dopo aver impugnato in Cassazione il proprio licenziamento disciplinare, presenta una rinuncia al ricorso. La Corte Suprema, pur in assenza di notifica e accettazione della controparte, dichiara il ricorso inammissibile. La sentenza chiarisce che la rinuncia, sebbene non estingua formalmente il processo in questo caso, è un chiaro indicatore della sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente, motivando così la decisione e la compensazione delle spese legali.
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Compenso lavoro festivo: la tripla retribuzione
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un'azienda sul calcolo del compenso lavoro festivo. La Corte ha confermato la corretta interpretazione del CCNL, che prevede una tripla retribuzione (paga normale, paga per il lavoro svolto e maggiorazione) per le festività lavorate, sottolineando la formazione di un giudicato interno sulla questione.
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Responsabilità professionale notaio e appello inammissibile
Un acquirente cita in giudizio un notaio per responsabilità professionale a seguito dell'acquisto di un immobile parzialmente non di proprietà dei venditori. La Corte d'Appello respinge la richiesta di risarcimento, ritenendo che l'acquirente avesse implicitamente rinunciato alla sua domanda originaria modificandola in corso di causa. La Corte di Cassazione conferma questa linea, dichiarando il ricorso inammissibile per vizi procedurali. La decisione sottolinea come un caso, pur fondato nel merito sulla responsabilità professionale notaio, possa essere perso a causa di errori nella gestione processuale della domanda e nella formulazione dell'atto di appello.
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Rapporto di lavoro subordinato: ricorso inammissibile
Un lavoratore ha impugnato la decisione della Corte d'Appello che negava l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con una grande società di spedizioni. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, applicando la regola della "doppia conforme" e ribadendo che non è possibile un riesame dei fatti in sede di legittimità.
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Lavoro festivo: diritto alla tripla retribuzione
La Corte di Cassazione ha confermato il diritto di un lavoratore a una tripla retribuzione per il lavoro festivo svolto. L'ordinanza chiarisce l'interpretazione del CCNL di settore, stabilendo che al lavoratore spettano tre componenti: la retribuzione per la prestazione, una maggiorazione specifica e la normale paga per la giornata festiva. Il ricorso dell'azienda, che sosteneva un'interpretazione riduttiva, è stato rigettato.
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Spese legali: onere della prova in Cassazione
Un ex dipendente ha presentato ricorso in Cassazione contro la compensazione di un suo credito con le spese legali dovute all'azienda. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le contestazioni sulla divisione delle spese e sulla prova di un pagamento erano state sollevate per la prima volta in quella sede, violando il principio che vieta di introdurre nuove questioni nel giudizio di legittimità. La decisione sottolinea l'onere del ricorrente di dimostrare di aver già sollevato le medesime eccezioni nei gradi di merito precedenti.
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