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Diritto Fallimentare

Prescrizione crediti soci: stop dalle scritture contabili

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso relativo alla prescrizione crediti soci verso una società in amministrazione straordinaria. Un’erede e creditrice aveva ottenuto il riconoscimento del suo credito, derivante da finanziamenti e utili non distribuiti, dal Tribunale. La società ha impugnato la decisione, eccependo la prescrizione. La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che l’iscrizione del debito nei bilanci della società costituisce un riconoscimento con efficacia interruttiva della prescrizione.

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Onere della prova assegno: chi deve dimostrare l'incasso?

Un creditore ha richiesto un’equa riparazione per l’eccessiva durata di una procedura fallimentare, sostenendo di non aver mai incassato un assegno a lui intestato e consegnato a suo fratello. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che in tema di onere della prova assegno, una volta che il debitore dimostra l’emissione e la consegna del titolo, spetta al creditore provare il mancato incasso.

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Valore della causa: errore di fatto e inammissibilità

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del Ministero contro un indennizzo per eccessiva durata del processo. L’inammissibilità deriva da un errore di fatto: il Ministero ha basato le sue censure su un valore della causa in lire, mentre il credito era in euro, alterando completamente la valutazione del pregiudizio. La Corte chiarisce che un tale errore non può essere corretto in Cassazione.

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Decreto ingiuntivo fallimento: l'inefficacia

La Corte di Cassazione conferma che, in caso di decreto ingiuntivo fallimento, il provvedimento monitorio non munito del decreto di esecutorietà definitiva (ex art. 647 c.p.c.) prima della dichiarazione di fallimento è inopponibile alla massa dei creditori. Di conseguenza, anche l’ipoteca giudiziale iscritta sulla base di tale decreto provvisorio è inefficace. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio consolidato a tutela della par condicio creditorum.

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Concordato preventivo: no estinzione per prescrizione

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’estinzione di un concordato preventivo non può essere dichiarata in base a una presunta prescrizione generale dei crediti. La prescrizione deve essere accertata individualmente per ciascun creditore in un giudizio ordinario. L’erede del debitore, inoltre, non può chiedere la risoluzione della procedura.

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Giudicato endofallimentare: limiti alla richiesta

La Corte di Cassazione chiarisce che il provvedimento di ammissione al passivo fallimentare è definitivo. Una volta formato il cosiddetto giudicato endofallimentare, non è possibile chiedere l’integrazione di oneri accessori (come IVA e contributi) non previsti nel decreto originale. La richiesta successiva di tali somme è stata dichiarata inammissibile, in quanto il decreto di ammissione era ormai incontestabile.

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Garanzia autonoma: quando il garante non può opporsi

Una banca ha richiesto l’ammissione di un credito verso una società fallita, derivante da una garanzia autonoma. I giudici di merito avevano negato parte della richiesta per mancata prova del credito sottostante. La Cassazione ha ribaltato la decisione, chiarendo che in una garanzia autonoma il creditore non deve provare il rapporto principale. L’unico limite è l’eccezione di dolo (exceptio doli), ovvero la prova di una richiesta fraudolenta da parte del creditore, che deve essere fornita dal garante.

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Decreto liquidazione compenso: sì al reclamo in appello

Un consulente tecnico ha impugnato il decreto di liquidazione del proprio compenso emesso dal tribunale a seguito della revoca di un fallimento. La Corte d’Appello ha erroneamente dichiarato il reclamo inammissibile, confondendolo con un secondo grado di giudizio. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del professionista, chiarendo che il decreto liquidazione compenso emesso ai sensi dell’art. 18 l.fall. è un provvedimento di primo grado, pienamente reclamabile in appello come previsto dall’art. 26 l.fall. La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Compenso coadiutore fallimentare: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha stabilito i criteri per il calcolo del compenso del coadiutore fallimentare. Nel caso esaminato, due professionisti avevano richiesto un onorario basato sulle tariffe professionali per una perizia svolta per la curatela. La Corte ha rigettato il ricorso, qualificando l’incarico come attività di ausiliario del curatore e non come prestazione d’opera professionale autonoma. Di conseguenza, ha confermato l’applicazione delle tariffe giudiziali, inferiori a quelle professionali, poiché l’attività era finalizzata al perseguimento degli scopi istituzionali della procedura concorsuale.

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Compenso avvocato: come si calcola in caso di accordo

Un avvocato contesta la liquidazione del suo compenso dopo una transazione. La Cassazione accoglie il ricorso, chiarendo che il compenso avvocato include la fase decisionale più un aumento, anche se non svolta. Il Tribunale aveva errato, omettendo di pronunciarsi sul punto e decidendo su questioni non contestate.

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Estinzione del giudizio: rinuncia e conseguenze

Un imprenditore individuale ha impugnato un decreto emesso dal Tribunale, ma ha successivamente rinunciato al ricorso per cassazione. La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia, ha dichiarato l’estinzione del giudizio. Non è stata emessa alcuna pronuncia sulle spese, data la mancata attività difensiva della società fallita resistente. La decisione sottolinea come la rinuncia comporti la chiusura definitiva del processo.

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Accordo compenso curatore: quando è vincolante?

Un avvocato aveva pattuito un compenso forfettario con il curatore di un fallimento. Il giudice delegato, tuttavia, liquidava una somma inferiore, decisione confermata in sede di reclamo. La Corte di Cassazione ha cassato il provvedimento, chiarendo che l’accordo compenso curatore, se stipulato in forma scritta, è vincolante. La Corte ha precisato che l’accettazione scritta del curatore può essere validamente contenuta anche nella procura difensiva rilasciata all’avvocato, se in essa si fa espresso riferimento al preventivo.

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Compenso avvocato fallimento: quale tabella usare?

Un avvocato ha contestato la liquidazione del suo compenso per un’attività di insinuazione al passivo fallimentare. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che il compenso dell’avvocato nel fallimento deve essere calcolato utilizzando la tabella dei parametri forensi per i ‘giudizi ordinari e sommari di cognizione’ (Tabella 2 D.M. 55/2014) e non quella per i ‘procedimenti per dichiarazione di fallimento’ (Tabella 20). La Corte ha chiarito che la verifica del passivo è un procedimento contenzioso e giurisdizionale, assimilabile a un giudizio di cognizione, e non a un atto di volontaria giurisdizione.

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Compenso avvocato: quando il valore è indeterminabile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso di un legale che contestava la liquidazione del suo compenso. Il professionista chiedeva che il suo onorario fosse calcolato sul valore milionario dei beni oggetto di una causa amministrativa, ma la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito: in assenza di una prova precisa della perdita economica subita dalla curatela fallimentare assistita, il valore della controversia deve considerarsi indeterminabile. La decisione sottolinea il principio dell’onere della prova e le conseguenze della mancata impugnazione di tutte le ‘ratio decidendi’ della sentenza di primo grado, rendendo inammissibile il ricorso e consolidando un importante principio sul calcolo del compenso avvocato.

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Compenso avvocato: limiti del potere del giudice

Un avvocato ha impugnato la liquidazione del suo compenso, ritenuta troppo bassa dalla Corte d’Appello. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, riaffermando che il giudice di merito gode di potere discrezionale nel determinare il compenso avvocato tra i minimi e i massimi tariffari. Tale decisione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata, come nel caso di specie, dove la liquidazione minima era giustificata dall’esito sfavorevole del giudizio per il cliente.

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Compenso professionale avvocato: limiti nel rinvio

La Corte di Cassazione chiarisce i limiti del giudizio di rinvio in materia di compenso professionale avvocato. Se un professionista ha inizialmente richiesto una somma specifica, non può successivamente chiederne una maggiore in sede di rinvio, anche se basata sulle tariffe professionali. La domanda originaria, infatti, costituisce un’autolimitazione che definisce il perimetro della controversia (thema decidendum), che il giudice del rinvio non può superare. La sentenza ribadisce che il giudizio di rinvio è un procedimento “chiuso”, finalizzato a riesaminare la questione solo entro i confini stabiliti dalla sentenza di cassazione e dalle domande iniziali delle parti.

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Liquidazione compenso avvocato: il valore effettivo

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un legale contro la liquidazione del suo compenso professionale. La decisione conferma che, per la liquidazione compenso avvocato, il giudice può discostarsi dal valore iniziale della domanda (petitum) e considerare l’effettivo valore della controversia, la sua complessità e il risultato ottenuto, applicando un principio di proporzionalità. Nel caso specifico, il rigetto della domanda di risarcimento patrocinata dal legale ha giustificato l’uso dei minimi tariffari e la valutazione della causa come di valore indeterminabile.

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Liquidazione compenso: il Giudice non può rinviare

La Corte di Cassazione ha stabilito che, nell’ambito di una procedura fallimentare, il Giudice Delegato non può semplicemente rinviare la decisione sulla liquidazione compenso di un professionista. Deve emettere un provvedimento di accoglimento o di rigetto, contro cui è possibile fare reclamo. La Corte ha cassato la decisione del Tribunale che aveva dichiarato inammissibile il reclamo del professionista contro il rinvio, affermando il suo diritto a una pronuncia definita.

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Compenso avvocato: il calcolo include gli interessi

Un legale ha impugnato la liquidazione del suo compenso professionale, ritenuto troppo basso. La Corte di Cassazione ha accolto uno dei motivi del ricorso, stabilendo un principio fondamentale per il calcolo del compenso avvocato: il valore della controversia, ai fini della determinazione dello scaglione tariffario, deve includere non solo la somma capitale ma anche gli interessi maturati. La Corte ha invece rigettato gli altri motivi relativi alla valutazione discrezionale del giudice sull’adeguatezza del compenso entro i parametri medi.

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Spese fallimento revocato: chi paga? Decide la Cass.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha stabilito un principio fondamentale riguardo alle spese del fallimento revocato. Anche qualora alla revoca segua una nuova dichiarazione di fallimento della stessa impresa, la responsabilità per i compensi dei professionisti della prima procedura resta a carico dello Stato (Erario). La Corte ha chiarito che si tratta di due procedure distinte e autonome, e la responsabilità erariale, derivante dalla natura officiosa della procedura revocata, non può essere trasferita sul patrimonio del secondo fallimento.

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