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Diritto Fallimentare

Esdebitazione: quando il 4% è sufficiente
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 26303/2024, ha concesso il beneficio dell'esdebitazione a un imprenditore fallito. La Corte ha stabilito che un soddisfacimento dei creditori pari al 4,09% non può essere considerato 'affatto irrisorio' e, pertanto, non osta alla liberazione dai debiti residui. La decisione ribalta i precedenti giudizi di merito che avevano negato il beneficio, chiarendo che l'esdebitazione va concessa a meno che i creditori non siano rimasti totalmente insoddisfatti.
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Sospensione esecuzione: no automatismo con sovraindebito
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha stabilito che l'avvio di una procedura di sovraindebitamento non comporta la sospensione esecuzione automatica delle azioni esecutive individuali. Un debitore, che aveva ricevuto un precetto per oneri condominiali, si era opposto chiedendo la sospensione in virtù della pendenza della procedura di composizione della crisi. La Corte ha rigettato il ricorso, chiarendo che solo il giudice delegato alla procedura di sovraindebitamento può disporre il divieto di iniziare o proseguire le esecuzioni, e non il giudice dell'esecuzione di sua iniziativa. La semplice presentazione della domanda di sovraindebitamento non ha, quindi, alcun effetto sospensivo.
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Contratto di trasporto: quando si applica la prescrizione
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una società ferroviaria contro l'esclusione di un suo credito dal passivo fallimentare di un'azienda cliente. Il caso verteva sulla corretta qualificazione di un accordo per la fornitura di biglietti: la Corte ha confermato la decisione di merito che lo ha inquadrato non come un generico accordo di fornitura, ma come un contratto quadro che dava origine a singoli contratti di trasporto. Di conseguenza, si applica la prescrizione breve di un anno prevista dall'art. 2951 c.c., con la conseguente estinzione del credito, poiché non reclamato in tempo utile.
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Onere della prova prescrizione: la Cassazione decide
Un professionista richiede il pagamento di un credito a una società fallita, ma il curatore eccepisce la prescrizione. La Corte di Cassazione conferma che l'onere della prova prescrizione grava sul creditore per quanto riguarda i fatti interruttivi. Il debitore deve solo allegare l'inerzia del titolare del diritto. Poiché il professionista non ha provato una data successiva di conclusione della prestazione che interrompesse i termini, il suo ricorso è stato respinto.
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Clausola penale leasing: la Cassazione fa chiarezza
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 26258/2024, si è pronunciata sulla validità della clausola penale leasing in un contratto risolto per inadempimento prima dell'entrata in vigore della Legge 124/2017. Il caso riguardava la richiesta di una curatela fallimentare di ridurre la penale. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che se il contratto prevede un meccanismo di 'patto di deduzione', che sconta dal credito del concedente il valore del bene recuperato, non si verifica un ingiustificato arricchimento. Di conseguenza, la clausola è valida e non necessita di riduzione giudiziale, poiché già riequilibra le posizioni delle parti.
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Concessione abusiva di credito e nullità del mutuo
Un istituto di credito ha richiesto l'ammissione al passivo fallimentare di una società per un credito derivante da un mutuo garantito dallo Stato. Il Tribunale ha rigettato la richiesta, dichiarando nullo il contratto per concessione abusiva di credito, ravvisando un concorso della banca nel reato di bancarotta semplice. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, specificando che per dichiarare la nullità non basta ipotizzare il reato, ma è necessaria una motivazione rigorosa che dimostri gli elementi oggettivi e soggettivi del concorso della banca, quale soggetto esterno, nel reato. La causa è stata rinviata alla Corte d'Appello.
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Patto commissorio: quando il lease back è nullo?
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società fallita che chiedeva la nullità di un contratto di 'sale and lease back', sostenendo che violasse il divieto di patto commissorio. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali non avevano riscontrato la prova dei tre indici sintomatici (situazione debitoria preesistente, difficoltà economica del venditore, sproporzione del prezzo) necessari a configurare l'illecito. È stato ribadito che tale accertamento è un'indagine di fatto, non rivalutabile in sede di legittimità, e che la presenza di un 'patto marciano' nel contratto rafforza la sua validità.
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Concessione abusiva di credito: stop alla banca
Una banca si è vista respingere la richiesta di ammissione del proprio credito in un fallimento a causa di una concessione abusiva di credito. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, specificando che il giudice fallimentare può compiere una valutazione incidentale del danno causato dalla banca per 'paralizzare' e quindi respingere la sua pretesa creditoria, senza la necessità di un autonomo giudizio di responsabilità.
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Clausola penale leasing: l’intervento della Cassazione
Una società di leasing risolve un contratto per inadempimento e vende l'immobile. Il fallimento dell'utilizzatore contesta la clausola penale leasing ritenendola eccessiva. La Cassazione stabilisce che il giudice può valutare d'ufficio l'eccessività della penale, anche se non esplicitamente sollevata in appello, cassando la decisione precedente.
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Onere della prova professionista: chi deve dimostrare?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 26166/2024, ha rigettato il ricorso di un advisor finanziario la cui richiesta di compenso era stata esclusa dal passivo di un fallimento. La Corte ha ribadito che l'onere della prova professionista grava su quest'ultimo: in caso di contestazione da parte del curatore fallimentare sull'adempimento, spetta al professionista dimostrare di aver eseguito la prestazione con la dovuta diligenza e in modo completo, non essendo sufficiente la mera allegazione dell'incarico ricevuto.
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Credito prededucibile: quando è valido nel fallimento
Un professionista aveva assistito una società in una procedura di concordato preventivo, poi non omologata. Successivamente, la società è fallita. La Corte di Cassazione ha stabilito che il compenso del professionista può essere considerato un credito prededucibile nel fallimento, anche se c'è stato un intervallo di tempo tra le due procedure. Il fattore decisivo è la "consecuzione tra procedure", ovvero se il fallimento deriva dallo stesso stato di crisi che ha originato il concordato. Il caso è stato rinviato al Tribunale per una nuova valutazione basata su questo principio.
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Azione revocatoria e prova della scientia damni
Una società costruttrice, prima di essere dichiarata fallita, vende due appartamenti al suo ex socio di maggioranza. La curatela fallimentare agisce con azione revocatoria sostenendo che la vendita ha danneggiato i creditori. La Corte di Cassazione conferma la revoca della vendita, ritenendo provata la consapevolezza del danno (scientia damni) da parte dell'acquirente. La prova è stata desunta da una serie di indizi, tra cui il suo precedente ruolo in società, il prezzo di vendita inferiore al valore di mercato e il momento critico in cui è avvenuta la stipula.
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Compenso professionale: data certa e fallimento
Un professionista ha assistito una società in una procedura di concordato preventivo, che si è conclusa con il fallimento. La Corte di Cassazione ha stabilito che l'accordo sul compenso professionale non è opponibile alla curatela fallimentare se privo di data certa anteriore al fallimento. Di conseguenza, il compenso è stato ricalcolato secondo le tariffe professionali specifiche, con una significativa riduzione dell'importo richiesto, confermando la decisione dei giudici di merito.
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Stipendio pignorabile: la motivazione è essenziale
La Corte di Cassazione ha annullato un decreto che determinava la quota di stipendio pignorabile di una socia fallita. Il giudice di merito aveva confermato la decisione basandosi su un parametro ISTAT errato e sulla mancata produzione di prove delle spese familiari da parte della debitrice. La Cassazione ha stabilito che il giudice deve fornire una motivazione concreta e autonoma per la quantificazione dello stipendio pignorabile, non potendo limitarsi a criticare la carenza probatoria della parte, soprattutto quando i dati oggettivi (reddito totale inferiore alla spesa media ISTAT) suggeriscono una valutazione diversa.
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Patteggiamento esdebitazione: la Cassazione fa chiarezza
Un imprenditore, a seguito di un patteggiamento per bancarotta fraudolenta, si è visto negare la richiesta di esdebitazione (liberazione dai debiti) sia in primo grado che in appello. La Corte di Cassazione, con un'ordinanza interlocutoria, non ha ancora deciso il caso nel merito ma ha ritenuto la questione fondamentale. Ha quindi rinviato la causa a una pubblica udienza per approfondire se il patteggiamento esdebitazione sia un binomio possibile, ovvero se una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti possa essere equiparata a una condanna penale che impedisce la concessione del beneficio.
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Imputazione pagamenti fallimento: La Cassazione chiarisce
Un istituto di credito ha impugnato la decisione del giudice fallimentare che aveva imputato un pagamento, ricevuto da una compagnia assicuratrice per conto del debitore poi fallito, prima al capitale e poi agli interessi. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che, nel rapporto tra creditore e debitore fallito, il pagamento dell'indennizzo assicurativo deve essere considerato come un adempimento volontario. Pertanto, si applica la regola legale dell'imputazione pagamenti fallimento, che prevede di coprire prima gli interessi maturati e solo successivamente il capitale residuo.
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Motivazione apparente: Cassazione annulla decreto
Una società creditrice si è vista rigettare l'ammissione del proprio credito nel passivo di un fallimento. Il Tribunale ha confermato il rigetto con un decreto la cui motivazione è stata giudicata dalla Corte di Cassazione come meramente apparente e incomprensibile. La Suprema Corte ha annullato la decisione, stabilendo che la motivazione apparente si verifica quando le argomentazioni sono inidonee a far comprendere il ragionamento del giudice, come nel caso di un mero rinvio ad altri atti senza descriverne il contenuto. Il caso è stato rinviato al Tribunale per un nuovo esame.
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Revoca curatore fallimentare: ricorso inammissibile
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 25943/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un professionista contro la sua rimozione dall'incarico. La decisione chiarisce che la revoca del curatore fallimentare è un atto amministrativo interno alla procedura, non una decisione su un diritto soggettivo, e pertanto non può essere impugnata dinanzi alla Suprema Corte.
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Impugnazione decreto di trasferimento: inammissibilità
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso avverso un decreto di trasferimento immobiliare emesso in una procedura fallimentare. La decisione si fonda sulla formulazione di motivi di ricorso 'misti' e non specifici, che non contestavano puntualmente le ragioni della decisione del tribunale. L'ordinanza ribadisce i rigorosi requisiti formali per una corretta impugnazione del decreto di trasferimento, sottolineando che vizi come la mancanza di un timbro o di pareri non sempre ne determinano la nullità o l'inesistenza.
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Ratio decidendi: appello inammissibile se non si contesta
Una società che gestiva un impianto sportivo ha richiesto l'ammissione al passivo del fallimento della società proprietaria per un ingente credito relativo a lavori di ristrutturazione. La richiesta è stata respinta in primo e secondo grado. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché la società ricorrente non ha contestato una delle ragioni autonome e decisive della sentenza d'appello (la cosiddetta ratio decidendi), ovvero la mancata prova dell'urgenza dei lavori. Tale omissione ha reso irrilevanti tutte le altre censure.
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