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Codice Civile
Codice Penale

Consulente tecnico d’ufficio, informazioni da terzi

Il consulente tecnico d’ufficio può assumere, anche in assenza di espressa autorizzazione del giudice, informazioni da terzi e verificare fatti accessori.

Pubblicato il 04 August 2020 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA
SEZIONE PER LE CONTROVERSIE CIVILI

Composta dai seguenti magistrati:

ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 1097/2020 pubblicata il 31/07/2020

nella causa in grado di appello iscritta al n° /2016 del ruolo generale e promossa

DA
XXX, nato in (c.f.) e YYY, nata in, elettivamente domiciliati in, presso lo studio dell’avv., rappresentati e difesi dall’avv., come da mandato a margine dell’atto di citazione in appello;

– appellante-

CONTRO
ZZZ s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f./p.i.), elettivamente domiciliato in presso lo studio dell’avv., che lo rappresenta e difende, come da procura in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore nel giudizio di primo grado;

– appellato-

OGGETTO
Appello avverso la sentenza n.  del 18/1-19/2/2016 pronunciata dal Tribunale di Pescara

CONCLUSIONI DELLE PARTI
Per gli appellanti: Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello adita, disattesa ogni contraria richiesta, deduzione e difesa, in totale accoglimento de presente atto di appello avverso la sentenza indicata in epigrafe e, comunque, in totale riforma della stessa:

in via principale, accertare e dichiarare che nulla è dovuto dai sigg.ri XXX e YYY alla ZZZ s.r.l. e, per l’effetto, rigettare tutte le avverse domande; accertare e dichiarare la esclusiva responsabilità della ZZZ s.r.l. al ristoro dei danni subiti e subendi dai sigg.ri XXX e YYY della somma di € 40.000,00 o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia; in subordine, quantificate e determinate le rispettive poste contabili di dare ed avere, condannare la ZZZ s.r.l. al pagamento del supero in favore degli odierni appellanti;

con vittoria di spese e competenze del doppio grado di giudizio da distrarsi in favore del procuratore che si è dichiarato antistatario.

Per l’appellato: per rigetto dell’appello perché inammissibile ed infondato, con ogni conseguente ed ulteriore statuizione.

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato in data 30 marzo 2009 la ZZZ S.r.l. ha convenuto dinanzi al Tribunale di Pescara gli odierni appellanti richiedendo la condanna degli stessi al pagamento di € 42.886,10 quale corrispettivo dei lavori edili eseguiti in virtù del contratto di appalto del 16.05.2007 sull’immobile sito in di proprietà della sig.ra YYY, rimasti impagati in seguito alle contestazioni insorte tra le parti, nonché la loro condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del comportamento illecito tenuto dai committenti.

XXX e YYY, costituitisi in giudizio hanno chiesto in via principale il rigetto della domanda, in via riconvenzionale la condanna della società appaltatrice al risarcimento dei danni arrecati all’immobile e in via subordinata, previa quantificazione delle rispettive poste contabili di dare e avere, la condanna della ZZZ S.r.l. al pagamento dell’eventuale differenza in loro favore.

Il Tribunale di Pescara in accoglimento della domanda avanzata dalla s.r.l. ZZZ e in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale avanzata dai convenuti ha accertato che il contratto di appalto dedotto in giudizio si era sciolto per il recesso esercitato dai committenti ai sensi dell’art. 1671 c.c. e ha condannato quest’ultimi, in solido tra loro, al pagamento in favore di ZZZ s.r.l. della somma di euro 35.386,10 (oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla domanda al saldo effettivo), compensando le spese del giudizio, ivi comprese quelle di CTU, in misura pari al 20% e, per la residua parte, ponendole a carico dei convenuti medesimi, in solido tra loro.

XXX e YYY hanno proposto appello articolando i seguenti motivi: 1) violazione ed errata applicazione delle norme in materia di inadempimento contrattuale, per non avere il primo giudice considerato che la società appaltatrice non aveva comunicato ad essi committenti l’avvenuto superamento della somma concordata per la rinegoziazione dei prezzi e delle opere da effettuare sino alla presentazione del secondo SAL; 2) errata valutazione delle risultanze istruttorie in ordine alla imputabilità alla società appaltatrice dei danni lamentati da essi appellanti in particolare in ordine alla data di inizio dei lavori di copertura; 3) erronea esclusione da parte dei primo giudice dei vizi accertati autonomamente dal CTU e riconducibili direttamente alle inadempienze dell’appaltatrice, potendo la consulenza costituire fonte oggettiva di prova, nonché dei danni da ritardo. Ha concluso pertanto come in epigrafe.

La s.r.l. ZZZ ha resistito al gravame chiedendone il rigetto.

Il primo motivo di appello non è meritevole di accoglimento.

Gli appellanti affermano la violazione da parte della società appaltatrice degli obblighi di correttezza e buona fede per non avere comunicato l’avvenuto raggiungimento della somma concordata come limite per procedere alla rinegoziazione dei prezzi, circostanza questa che li avrebbe indotti a consentire la prosecuzione dei lavori.

L’assunto non è condivisibile. Risulta documentalmente provato che la scrittura privata in data 18/5/2007 di integrazione del contratto di appalto fissa il tetto di € 50.000,00 quale limite dei lavori a partire dal quale “il pagamento dovrà essere riconcordato dalle parti di volta in volta, con eventuale revisione dei prezzi e secondo la disponibilità finanziaria del committente e della proprietaria”.

Risulta parimenti documentato in atti che il primo SAL in data 30/8/2007, pacificamente comunicato agli appellati oltre che regolarmente sottoscritto dal direttore dei lavori da loro nominato, indica per un importo complessivo superiore ad € 40.000,00 lavori che, evidentemente, hanno carattere preliminare rispetto all’oggetto principale dell’appalto (per la parte che qui interessa) consistente nella realizzazione della struttura del tetto. Detti lavori sono infatti tutti compresi nel secondo Sal in data 30/9/2007, anche questo pacificamente ricevuto dagli appellanti e regolarmente sottoscritto dal direttore dei lavori da loro nominato. Ebbene esaminando la sola voce “solaio di copertura in legno”, contenuta nel secondo SAL, emerge che il costo totale della stessa è pari ad € 23.342,45, addirittura inferiore rispetto a quella preventivata al momento della conclusione del contratto di appalto (per la determinazione delle quantità effettive in misura inferiore rispetto a quelle presunte).

Orbene, tenuto conto della natura dei lavori da eseguire (realizzazione del tetto) e del fatto che il loro costo era obiettivamente preventivabile, sulla base del computo metrico e dell’elenco dei prezzi già a disposizione dei committenti, mediante l’esecuzione di una semplice operazione matematica (€ 130,20 x 182 mq = 23.696,40), appare evidente come gli appellanti erano perfettamente in grado di rendersi conto che la prosecuzione dei lavori avrebbe necessariamente determinato il superamento del limite oltre il quale avrebbero potuto chiedere la revisione dei prezzi. A ciò si aggiunge la circostanza che essi stessi si avvalevano di un “professionista” nella persona del direttore dei lavori che non solo ha sottoscritto entrambi i Sal di cui è stato chiesto il pagamento, ma era ben in grado di segnalare la circostanza ai committenti.

Non meritevole di accoglimento è anche il secondo motivo di appello, con il quale gli appellanti lamentano la non corretta ricostruzione storica dei fatti operata dal primo giudice, avendo questi affermato che i lavori di impermeabilizzazione sarebbero stati eseguiti dalla società appaltatrice in data successiva al 10/8/2007, riportata nelle fotografie che ritraggono le lamentate infiltrazioni di acqua.

A riguardo gli appellanti rilevano la mancata valutazione da parte del Tribunale del SAL 1 in data 23/6/2007, nel quale è riportata l’esecuzione dell’impermeabilizzazione del sottotetto prima della rimozione della copertura, nonché delle fatture 1/07, 3/07 e 4/07 tutte emesse nel luglio 2007 prodotte in allegato alla memoria istruttoria ex art. 183 c.p.c.

La ricostruzione operata dagli appellanti non è corretta.

Innanzitutto occorre evidenziare che il documento da loro invocato come SAL 1 in data 23/6/2007 (doc. 1 allegato alla memoria ex art. 183 c.p.c.) non risulta sottoscritto dal direttore dei lavori e descrive i lavori in oggetto come “lavori impermeabilizzazione guaina liquida sottotetto”, mentre la guaina pacificamente posta in opera è una guaina bituminosa. In secondo luogo occorre sottolineare che il DL, arch. ***, escusso in qualità di teste, a specifica domanda posta dagli appellanti (cap. 6 della loro memoria ex art. 183 c.p.c.) ha dichiarato che non era vero che la ZZZ aveva provveduto a posare la guaina impermeabilizzante prima dell’intervento di demolizione del tetto eseguito dalla *** s.r.l..

Quanto alle fatture nn. 1, 3, e 4 del 2007 (in allegato sub 4-6 alla memoria ex art. 183 c.p.c. degli appellanti) le stesse non risultano emesse dalla ZZZ in pagamento della guaina bituminosa di copertura dell’immobile, ma a fronte del pagamento dell’anticipo contrattuale di € 17.296,00 che i committenti si sono impegnati a versare ai sensi dell’art. 6, punto 1, del contratto di appalto del 16/5/2007 contestualmente alla sottoscrizione del contratto. Le fatture infatti indicano quale oggetto il pagamento rispettivamente del 1°, del 2° e del 3° acconto.

Le conclusioni raggiunte dal primo giudice, sulla base del fatto che lo smantellamento del tetto è avvenuto pacificamente a cura di un soggetto giuridico terzo nel giugno del 2007 prima addirittura della comunicazione di inizio dei lavori al Comune (vedi anche dichiarazioni del teste ***), che lo smaltimento dell’eternit è avvenuto in data 3/7/2007 (cfr. formulario identificazione rifiuto sub allegato 2 alla memroia ex art. 183 c.p.c. degli appellanti), che la rimozione degli ulteriori rifiuti della demolizione è stata pacificamente curata dalla ZZZ in data 2/7/2007 (vedi autorizzazione nel registro lavori all’esecuzione di tale intervento a firma della sig.ra YYY, nonché dichiarazioni del teste ***) e che i lavori sono rimasti pacificamente sospesi a causa del provvedimento adottato dalla Asl dal 3/7-21/8/2007 e che sono ripresi solo in data 23/8/2007 (vedi dichiarazioni del teste ***), devono pertanto essere integralmente confermate.

Ai fini di completezza è solo il caso di sottolineare che il primo giudice non ha affermato che la società che aveva effettuato i lavori di smantellamento della copertura “aveva anche l’obbligo di provvedere alla impermeabilizzazione”, ma solo che sulla stessa, una volta rimosso il tetto, incombeva l’obbligo di adottare le opportune cautele di copertura al fine di evitare possibili infiltrazioni nei piani sottostanti in caso di pioggia. Ebbene, tale diverso obbligo non è stato neppure messo in discussione dagli odierni appellanti.

Infine non meritevole di accoglimento è anche l’ultimo motivo di appello, con il quale gli appellanti censurano il rigetto della domanda di risarcimento dei danni accertati autonomamente dal CTU e di quelli da ritardo.

Sotto il primo profilo gli appellanti invocano il principio di diritto affermato tra le altre dalla sentenza n. 15157 del 11/9/2012 della Corte di Cassazione per cui “Ancorché, in linea generale, la consulenza tecnica di ufficio non possa essere disposta al fine di esonerare la parte dal relativo onere probatorio, quando non vi sia altro mezzo per giungere all’accertamento richiesto che quello di demandarlo a chi sia dotato di speciali competenze tecniche, il giudice può incaricare il consulente non solo di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulenza deducente), ma anche di accertare i fatti stessi (consulenza percipiente). In tal caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (Cass. nn. 18993/010, 6155/09, 3990/06, 27002/05)”.

Ora, a prescindere dal fatto che il principio invocato non è univoco, avendo in altre occasioni la medesima Corte più condivisibilmente affermato che “il consulente tecnico d’ufficio può, ai sensi dell’art. 194, primo comma, cod. proc. civ., assumere, anche in assenza di espressa autorizzazione del giudice, informazioni da terzi e verificare fatti accessori necessari per rispondere ai quesiti, ma non anche accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, sicché gli accertamenti compiuti dal consulente oltre i predetti limiti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, perciò, privi di qualsiasi valore, probatorio o indiziario” (cfr. Cass. sent. n. 4729 del 10/03/2015), occorre rilevare che nella specie il problema non è tanto quello di ritenere la Ctu autonoma fonte di prova, quanto piuttosto quello di utilizzare la stessa al fine di integrare le allegazioni di fatto contenute nella domanda, con individuazione di danni ulteriori e diversi rispetto a quelli dedotti in giudizio, nonostante il loro rilievo fosse di immediato riscontro visivo (l’unico accertamento strumentale del CTU si è basato su una mera “livella a bolla”) e gli appellanti abbiano allegato a sostegno della propria domanda una perizia di parte.

Le conclusioni raggiunte dal primo giudice devono pertanto essere confermate anche in questa sede.

Quanto al secondo profilo il Tribunale ha rigettato la domanda di risarcimento del danno da ritardo per la sua genericità e perché priva di un preciso criterio di quantificazione economica.

Le ragioni non sono state oggetto di alcuna specifica contestazione da parte degli appellanti, che a pag. 9-10 dell’appello si sono limitati a reiterare la domanda già svolta in primo grado. Il motivo è quindi in parte qua inammissibile.

In ogni caso lo stesso è anche infondato non avendo gli appellanti, neppure in questa sede in radice dedotto e poi provato (anche facendo riferimento a criteri presuntivi) quale pregiudizio in concreto sarebbe loro derivato dal ritardo nella restituzione del cantiere riguardante un sottotetto ad uso deposito (vedi piantine in atti).

In conclusione l’appello deve essere rigettato con integrale conferma della sentenza impugnata.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza sono liquidate in base ai valori medi indicati nelle tabelle allegate al d.m. n. 55 del 2014 per le cause del relativo scaglione di valore.

Stante la soccombenza integrale dell’appellante ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 1, comma 17 L. 228/2012.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di L’Aquila, definitivamente pronunciando sull’appello proposto avverso la sentenza n. del 18/1-19/2/2016 pronunciata dal Tribunale di Pescara, così decide nel contraddittorio delle parti:

rigetta l’appello; condanna gli appellanti al rimborso in favore dell’appellata società delle spese di lite, liquidate nella misura di € 7.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15% IVA e CPA; dichiara appellante parte tenuta al pagamento di un importo pari a quello già versato a titolo di contributo unificato ex art. 1, comma 17, L. 228/2012.

Così deciso nella camera di consiglio in L’Aquila, del 21/7/2020.

Il Presidente

Il Consigliere Est. dr.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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