La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per concorso in estorsione, aggravata dal metodo mafioso, a carico di una donna che riscuoteva le rate del "pizzo" per conto del figlio detenuto, affiliato a un clan. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso, giudicando inverosimile la tesi difensiva secondo cui la donna credeva di riscuotere un debito di gioco. Secondo i giudici, le circostanze del fatto, come la periodicità mensile e il contesto criminale, dimostravano la sua piena consapevolezza dell'attività estorsiva.
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