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Giurisprudenza Penale

Omessa dichiarazione IVA: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per il reato di omessa dichiarazione IVA, con un’evasione di quasi 100.000 euro. La Corte ha stabilito che le censure relative alla valutazione delle prove non possono essere esaminate in sede di legittimità e ha confermato che l’intenzione di evadere (dolo) può essere desunta dall’entità dell’importo e dalla reiterazione della condotta.

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Dichiarazione mendace: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per dichiarazione mendace finalizzata a ottenere un beneficio statale. L’imputato aveva omesso di comunicare la detenzione del figlio. I motivi di ricorso sono stati ritenuti inconsistenti, poiché la responsabilità era stata motivatamente accertata e le attenuanti generiche già concesse nella massima misura possibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Oblazione ambientale negata: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto condannato per un reato ambientale. La richiesta di oblazione ambientale era stata negata dal tribunale a causa della persistenza delle conseguenze dannose della sua condotta, una motivazione ritenuta congrua e non sindacabile in sede di legittimità. Il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Ricorso inammissibile per motivi non dedotti in appello

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile in un caso di abuso edilizio. I ricorrenti, condannati per la costruzione di un capannone difforme dalla SCIA, hanno presentato motivi in parte nuovi e in parte relativi al merito, non sindacabili in sede di legittimità. La Corte ha ribadito che non si possono introdurre nuove doglianze in Cassazione e che le valutazioni del giudice di merito, se ben motivate, non sono riesaminabili.

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Particolare tenuità del fatto: no se il reato è ripetuto

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per l’omesso versamento di contributi previdenziali. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di non applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, data la presenza di quattro precedenti specifici che dimostrano la natura non occasionale della violazione.

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Inammissibilità ricorso cassazione: motivi generici

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità di un ricorso avverso una condanna per reati fiscali. La decisione si fonda sull’assoluta genericità dei motivi di appello, che non specificavano le ragioni di diritto e di fatto a sostegno della richiesta. Questa carenza procedurale ha comportato non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria. Il caso evidenzia la cruciale importanza della specificità nell’atto di impugnazione.

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Ricorso Inammissibile: avvocato non abilitato

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile avverso una condanna per disturbo della quiete pubblica. La decisione non è entrata nel merito della questione, ma si è basata su un vizio procedurale: il difensore del ricorrente non era abilitato al patrocinio dinanzi alla Suprema Corte. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Revoca prova testimoniale: quando il ricorso è inammissibile

Un soggetto condannato per abuso edilizio ricorre in Cassazione lamentando la revoca di una prova testimoniale precedentemente ammessa. La Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile perché il ricorrente non ha adeguatamente motivato la decisività della prova revocata, confermando la condanna e aggiungendo il pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Trattamento sanzionatorio: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato contro la rideterminazione della pena per reati legati agli stupefacenti. La decisione si fonda sul principio che il trattamento sanzionatorio stabilito dal giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità se supportato da una motivazione logica e priva di vizi giuridici, come nel caso di specie, dove si è tenuto conto di età, condotta e modalità del fatto. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Motivazione per relationem: quando è legittima?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per reati fiscali legati a una società “cartiera”. L’ordinanza conferma la legittimità della motivazione per relationem della Corte d’Appello, specificando le condizioni necessarie: riferimento a un atto legittimo, ponderazione da parte del giudice e conoscibilità dell’atto. Data la solidità delle prove, la Corte ha ritenuto infondate le doglianze del ricorrente.

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Ricorso generico: inammissibilità e condanna spese

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per reati fiscali. Il motivo, basato sulla prescrizione, è stato giudicato troppo vago. La Suprema Corte ha sottolineato come un ricorso generico, privo di specifiche ragioni di fatto e di diritto, violi le norme procedurali, portando all’inammissibilità e alla condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria.

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Omissione dichiarazione IVA: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per omissione della dichiarazione IVA. La Corte ha stabilito che la condanna non si basava su mere presunzioni tributarie, ma su prove concrete raccolte dalla Guardia di Finanza, quali la totale assenza di documentazione contabile e i riscontri incrociati. L’appello è stato giudicato inconsistente, confermando la condanna, le sanzioni accessorie e la confisca.

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Evasione Fiscale: quando il dolo è evidente

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per evasione fiscale. La Corte ha ritenuto che il dolo fosse evidente, non per un singolo superamento della soglia di punibilità, ma per un comportamento reiterato nel tempo, inclusa l’omessa contabilizzazione di fatture e il mancato pagamento di imposte in diversi anni. La mancata prova di una crisi finanziaria incolpevole ha rafforzato la decisione, portando alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione.

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Ricorso in Cassazione: inammissibile se personale

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento per un reato fiscale. La decisione si fonda sul fatto che il ricorso è stato presentato personalmente dall’imputato e non da un avvocato iscritto all’albo speciale, come richiesto dalla riforma del 2017. L’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Crediti inesistenti: ricorso inammissibile

Un imprenditore, condannato per l’indebita compensazione di crediti fiscali inesistenti, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando vizi di motivazione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. La prova della non esistenza dei crediti, basata sull’assenza degli stessi nelle dichiarazioni fiscali, è stata ritenuta decisiva e non validamente contestata dal ricorrente, il quale è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione.

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Reati tributari: ricorso inammissibile e condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imprenditrice condannata per reati tributari, nello specifico omessa dichiarazione e occultamento di scritture contabili. La Corte ha confermato la validità delle prove basate su prelievi bancari non giustificati e ha ribadito che il diniego delle attenuanti generiche è legittimo in assenza di elementi positivi a favore dell’imputato. Di conseguenza, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Recidiva specifica: quando è giustificata la pena?

Un imprenditore, già condannato per omesso versamento di ritenute previdenziali, ha presentato ricorso in Cassazione contestando l’applicazione della recidiva specifica per mancanza di motivazione sulla sua pericolosità sociale. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che sei precedenti condanne per il medesimo reato costituiscono una prova evidente di pervicacia criminale e pericolosità, giustificando pienamente l’aggravamento della pena senza necessità di ulteriori argomentazioni. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione.

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Associazione mafiosa: prova e custodia cautelare

La Corte di Cassazione conferma la misura della custodia cautelare in carcere per un professionista accusato di associazione mafiosa. La sentenza stabilisce che, ai fini della misura, sono sufficienti gravi indizi di ‘intraneità’ al sodalizio, anche in assenza di condotte violente. Viene inoltre chiarito che la presunzione di pericolosità per i reati di mafia non è superata dal semplice decorso del tempo o dall’incensuratezza dell’indagato, se emergono elementi che ne dimostrano il ruolo fiduciario e la partecipazione alle dinamiche del clan.

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Esclusione 131-bis: i limiti per evasione fiscale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un contribuente condannato per omessa dichiarazione fiscale per un importo di oltre 61.000 euro. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, stabilendo che la gravità della condotta giustifica l’esclusione dell’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto). Inoltre, la richiesta di rinnovare l’istruttoria è stata ritenuta troppo generica per essere accolta.

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Ricettazione: quando è reato e non sanzione ridotta

La Corte di Cassazione conferma una condanna per ricettazione a carico di un uomo trovato alla guida di un ciclomotore rubato. La difesa sosteneva si trattasse di un veicolo abbandonato, ma la Corte ha ritenuto che la presenza di targa e segni di scasso (un cacciavite nell’accensione) fossero prove sufficienti della consapevolezza della provenienza illecita, escludendo reati minori. La sentenza è stata annullata solo per ricalcolare una pena sostitutiva non adeguata in appello.

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