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Giurisprudenza Civile

Assegno ad personam: bonus produttività escluso
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 9368/2024, ha stabilito che il compenso per la produttività collettiva non rientra nel calcolo dell'assegno ad personam per i dipendenti pubblici trasferiti. Tale compenso, essendo di natura eventuale e legato al raggiungimento di obiettivi, non possiede il carattere di fissità e continuità necessario per essere considerato parte del trattamento retributivo stabile da salvaguardare.
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Retroattività sanzioni amministrative: la Cassazione
Una società radiofonica, sanzionata per non aver richiesto il certificato di agibilità per i suoi lavoratori dello spettacolo in un periodo precedente al 2001, ha invocato l'applicazione di una legge successiva più favorevole che ha abolito tale obbligo. La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria, ha ritenuto la questione sulla retroattività delle sanzioni amministrative di tale importanza da rimettere la decisione alle Sezioni Unite. La Corte ha sollevato dubbi sulla ragionevolezza di continuare a sanzionare una condotta che non è più considerata illecita, data la natura punitiva e l'afflittività della sanzione originale.
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Deposito ricorso Cassazione: errore corriere privato
Una lavoratrice, licenziata per gravi motivi disciplinari, ha visto il suo ricorso in Cassazione dichiarato inammissibile. La Corte Suprema ha stabilito che il deposito ricorso Cassazione, effettuato tramite un corriere privato e giunto in cancelleria un giorno oltre il termine, era tardivo. La decisione ribadisce che solo per il servizio postale universale vale la data di spedizione, non per i corrieri privati, il cui utilizzo comporta l'assunzione del rischio di ritardi.
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Estinzione del processo: rinuncia e accettazione
Una lavoratrice aveva promosso un'azione legale per ottenere la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in seguito a un trasferimento d'azienda. Dopo un lungo iter giudiziario, giunta in Cassazione, ha rinunciato al ricorso con l'accettazione della controparte. La Corte Suprema ha quindi dichiarato l'estinzione del processo, senza decidere nel merito della questione, ponendo fine alla controversia per accordo tra le parti.
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Indennità rischio radiologico: la prova per il personale
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 9382/2024, ha chiarito i presupposti per il riconoscimento dell'indennità rischio radiologico al personale sanitario non appartenente ai reparti di radiologia. L'ordinanza stabilisce che non è sufficiente provare lo svolgimento abituale dell'attività in 'zona controllata', ma è necessario dimostrare un'esposizione al rischio effettiva, continua e non occasionale, analoga a quella dei tecnici di radiologia. La Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d'Appello, che aveva respinto la domanda di una lavoratrice in assenza di prove concrete sul superamento delle soglie di rischio, sottolineando che l'onere della prova grava interamente sul lavoratore.
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Progressione di carriera: no al risarcimento automatico
Un dipendente comunale, dopo aver ottenuto il riconoscimento di un inquadramento superiore retroattivo, ha chiesto un'ulteriore progressione di carriera e il risarcimento per perdita di chance. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione d'Appello. È stato stabilito che il superamento di selezioni per categorie inferiori non prova automaticamente l'idoneità per quelle superiori e che spetta al lavoratore dimostrare la concreta probabilità di successo.
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Indennità rischio radiologico: prova e presupposti
Una lavoratrice del settore sanitario, non inquadrata come tecnico di radiologia, ha richiesto il pagamento dell'indennità di rischio radiologico. La Corte di Cassazione, confermando la decisione d'appello, ha rigettato il ricorso. La Corte ha stabilito che, a differenza del personale medico e tecnico di radiologia per cui il rischio è presunto per legge, gli altri lavoratori devono fornire la prova oggettiva di un'esposizione abituale, continua e non occasionale in una 'zona controllata', con un assorbimento di dosi radioattive superiore ai limiti normativamente stabiliti. L'onere della prova grava interamente sul lavoratore che richiede l'indennità.
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Foro del lavoro: competenza e domicilio del lavoratore
Un lavoratore, che si presumeva dipendente di un'azienda farmaceutica, ha avviato una causa presso il tribunale della sua provincia. L'azienda ha contestato la competenza territoriale, ottenendo una prima decisione favorevole che spostava la causa presso la sede legale della società. Il lavoratore ha impugnato tale decisione davanti alla Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, chiarendo che ai fini della determinazione del foro del lavoro, anche l'abitazione del dipendente, se utilizzata stabilmente per l'attività lavorativa (come nel caso di un informatore scientifico), costituisce 'dipendenza aziendale'. Di conseguenza, ha dichiarato la competenza del tribunale originariamente adito dal lavoratore.
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Indennità rischio radiologico: la prova del rischio
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 9383/2024, ha rigettato il ricorso di una lavoratrice del settore sanitario che richiedeva l'indennità di rischio radiologico. La Corte ha ribadito la distinzione fondamentale tra il personale tecnico di radiologia, per cui il rischio è presunto in modo assoluto, e il restante personale. Quest'ultimo, per ottenere l'indennità, deve fornire la prova rigorosa di un'esposizione effettiva, abituale e non occasionale a radiazioni, dimostrando il superamento delle soglie di rischio normativamente previste. Il semplice svolgimento dell'attività in prossimità di una 'zona controllata' non è sufficiente.
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Interpretazione accordi collettivi: ticket restaurant
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 9361/2024, ha chiarito i criteri per l'interpretazione degli accordi collettivi aziendali in materia di ticket restaurant. Nel caso esaminato, alcuni dipendenti chiedevano il pagamento dei buoni pasto anche per i giorni di ferie e festività, equiparandoli alla precedente indennità di mensa. La Suprema Corte ha ribaltato le decisioni di merito, stabilendo che se un accordo aziendale sostituisce integralmente un beneficio (indennità di mensa) con un altro (ticket restaurant), legando quest'ultimo alla "effettiva prestazione", decadono le precedenti equiparazioni previste dal CCNL per ferie e festività. La corretta interpretazione degli accordi collettivi non può essere meramente letterale o frammentaria, ma deve essere sistematica, considerando la volontà delle parti e il loro comportamento successivo.
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Progressioni economiche: il ricorso inammissibile
Un dipendente pubblico, dopo aver ottenuto la retrodatazione degli effetti economici del suo inquadramento, ha richiesto il riconoscimento delle conseguenti progressioni economiche. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che le progressioni non sono automatiche ma richiedono il superamento di procedure selettive. Il ricorso è stato giudicato carente di interesse e basato su domande formulate in modo vago.
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Assegno ad personam: sì alla conservazione stipendio
La Corte di Cassazione ha stabilito che un dipendente pubblico, che aveva optato per il trasferimento ad un'altra amministrazione prima dell'entrata in vigore di una legge meno favorevole, ha diritto a un assegno ad personam per conservare il precedente trattamento retributivo. La Corte ha chiarito che il momento determinante è quello della scelta (opzione) e non quello del successivo effettivo trasferimento. Pertanto, il lavoratore ha diritto a un assegno riassorbibile per colmare la differenza di stipendio, in applicazione del principio del divieto di peggioramento del trattamento economico (reformatio in peius).
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Compensi procedure esecutive riunite: la Cassazione
Un avvocato avvia tre distinte procedure esecutive contro un'amministrazione comunale. Le procedure vengono riunite e il giudice liquida un compenso unico. La Cassazione, accogliendo il ricorso del legale, stabilisce che per l'attività svolta prima della riunione, i compensi devono essere liquidati separatamente per ogni singola procedura. Viene invece rigettata la censura sul valore della controversia, confermando che nelle esecuzioni si fa riferimento al valore effettivo del precetto (`decisum`). Il calcolo dei compensi per procedure esecutive riunite deve quindi seguire questo doppio binario.
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Riduzione trattamento accessorio: illegittimo il taglio
La Corte di Cassazione ha dichiarato illegittima la riduzione del trattamento accessorio operata da un'azienda sanitaria tramite un taglio forfettario del 30%. La sentenza stabilisce che le norme sul contenimento della spesa pubblica impongono di "cristallizzare" i fondi al livello del 2010 e di ridurli solo in misura proporzionale alla diminuzione del personale, non attraverso tagli lineari e indifferenziati. La causa è stata rinviata alla Corte d'Appello per una nuova valutazione basata su questi principi.
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Commissione Riscossione Tributi: Obbligo di pagamento
La Corte di Cassazione conferma la legittimità della commissione riscossione tributi richiesta da un fornitore di servizi postali a un agente della riscossione. La Corte ha rigettato il ricorso dell'agente, stabilendo che la posizione di monopolio del fornitore non implica la gratuità del servizio in assenza di una legge specifica. I motivi di ricorso, basati su presunte violazioni di norme nazionali e comunitarie, sono stati dichiarati inammissibili in quanto proceduralmente errati o basati su questioni già decise in precedenti sentenze.
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Riduzione trattamento economico: illegittimo il taglio 30%
Una Azienda Sanitaria Locale ha applicato un taglio forfettario del 30% sul trattamento economico accessorio di un dirigente medico. La Corte di Cassazione ha stabilito che, sebbene la legge preveda una riduzione dei fondi per il contenimento della spesa pubblica, un taglio forfettario è illegittimo. La corretta procedura richiede di cristallizzare i fondi al livello del 2010 e ridurli in misura proporzionale alla diminuzione del personale. La causa è stata rinviata alla Corte d'Appello per ricalcolare correttamente le somme dovute.
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Estinzione del processo: cosa accade se si rinuncia?
Una società a controllo pubblico ha impugnato in Cassazione una sentenza che riconosceva un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con una dipendente. Prima dell'udienza, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo, portando alla rinuncia al ricorso. La Corte di Cassazione ha quindi dichiarato l'estinzione del processo, specificando che in tale circostanza non è dovuta la sanzione per l'impugnazione infondata, nota come 'doppio contributo'.
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Contratto quadro cointestato: nullo se manca una firma
La Corte di Cassazione ha stabilito che un contratto quadro cointestato per servizi di investimento è totalmente nullo se manca la firma di uno dei cointestatari, anche se l'altro ha firmato e impartito gli ordini. La nullità, dovuta a un vizio di forma, travolge l'intero accordo e i conseguenti ordini di acquisto. Il caso riguardava due coniugi, dove la firma della moglie sul contratto era risultata apocrifa. La Corte ha chiarito che non si tratta di nullità parziale, ma di un vizio che invalida il rapporto per entrambi gli investitori.
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Estinzione del giudizio: la Cassazione e l’accordo
Un lavoratore, dopo aver visto il suo appello dichiarato inammissibile, ricorre in Cassazione. Tuttavia, prima della decisione, le parti raggiungono un accordo stragiudiziale. Di conseguenza, il lavoratore rinuncia al ricorso e le controparti accettano la rinuncia. La Corte di Cassazione, preso atto dell'accordo, dichiara l'estinzione del giudizio, ponendo fine alla controversia e compensando le spese legali tra le parti coinvolte.
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Opponibilità all’assicuratore: prova e distrazione
Un cliente ha versato premi aggiuntivi a un intermediario, che però non li ha trasmessi alla compagnia. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna contro la compagnia assicurativa, ritenendo insufficiente come prova la sola quietanza dell'intermediario. La decisione sottolinea che l'opponibilità all'assicuratore delle azioni dell'intermediario richiede prove multiple, gravi e concordanti, e che la motivazione del giudice non può essere meramente ipotetica, specialmente di fronte a incongruenze come la sproporzione tra redditi e investimenti del cliente.
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