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Giurisprudenza Civile

Ultrattività del mandato: appello valido alla società?
Una società in liquidazione, dopo aver richiesto un rimborso IRAP, veniva cancellata dal registro imprese. L'Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza di primo grado notificando l'atto alla società ormai estinta. La Corte d'Appello dichiarava l'appello inammissibile. La Cassazione ha annullato tale decisione, affermando il principio di ultrattività del mandato: poiché il difensore non aveva dichiarato l'estinzione in udienza con lo scopo di interrompere il processo, la notifica presso di lui era valida e l'appello ammissibile.
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Incaricato di pubblico servizio: la qualifica si prova
La Corte di Cassazione ha stabilito che la qualifica di 'incaricato di pubblico servizio' per un lavoratore, come un operatore ecologico, non può essere presunta ma deve essere rigorosamente provata. Nel caso specifico, un'azienda di servizi pubblici aveva interrotto il rapporto di lavoro durante il periodo di prova di un dipendente a causa di una sua interdizione dai pubblici uffici, sostenendo che le sue mansioni rientrassero in tale qualifica. La Suprema Corte ha cassato la decisione di merito, evidenziando che non era stata fornita alcuna prova concreta, basata su fonti normative o contrattuali, che le mansioni del lavoratore andassero oltre compiti meramente manuali ed esecutivi. Pertanto, la qualifica di incaricato di pubblico servizio richiede un accertamento specifico delle attività svolte.
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Perdita di chance: onere della prova del dipendente
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 15301/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni dipendenti del Ministero della Giustizia. I lavoratori chiedevano un risarcimento per la perdita di chance di progressione di carriera, a causa della mancata attivazione delle procedure selettive previste dal contratto collettivo. La Corte ha ribadito che, per ottenere il risarcimento, non basta dimostrare l'inadempimento dell'amministrazione, ma è necessario che il dipendente provi, anche tramite presunzioni, di avere avuto una concreta e probabile possibilità di successo se la selezione si fosse svolta. In assenza di tale prova, la domanda di risarcimento non può essere accolta.
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Pagamento creditore apparente: quando è liberatorio?
Un ente universitario ha pagato il vecchio fornitore di energia anziché quello nuovo, subentrato nel contratto. La Cassazione ha confermato che il pagamento al creditore apparente è valido e libera il debitore, se l'errore è causato dal comportamento colposo del creditore effettivo, come una comunicazione tardiva del subentro. La nuova società fornitrice, avendo inviato le fatture con notevole ritardo, ha visto respingere la sua richiesta di pagamento.
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COMI sede effettiva: prevale sulla sede legale
Un'azienda creditrice ha richiesto la liquidazione giudiziale di una società debitrice. Il Tribunale di Monza ha affermato la propria competenza, stabilendo che il COMI sede effettiva, ovvero il centro operativo dell'impresa, prevale sulla sede legale fittizia. La decisione si basa su prove concrete come contratti di locazione, presenza di beni e risultanze online, che dimostravano l'attività principale in un luogo diverso da quello registrato. Di conseguenza, il Tribunale ha aperto la procedura di liquidazione.
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Denuncia calunniosa: risarcimento anche senza condanna
La Corte di Cassazione ha stabilito che una denuncia calunniosa può giustificare una condanna al risarcimento dei danni in sede civile, anche se la persona denunciata era stata assolta in sede penale con la formula 'perché il fatto non costituisce reato'. Il giudice civile ha il potere di valutare autonomamente le prove, comprese quelle del processo penale, per accertare la natura calunniosa della denuncia e il dolo di chi l'ha sporta, condannando i responsabili al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
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Ricorso inammissibile: quando l’appello è nullo
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un'azienda sanzionata con oltre 33.000 euro per lavoro irregolare. La decisione si fonda su vizi procedurali, tra cui la richiesta di un riesame dei fatti già confermati da due corti inferiori (principio della "doppia conforme") e l'introduzione di nuove eccezioni non sollevate nei precedenti gradi di giudizio. La sentenza sottolinea che la Corte di Cassazione non è un terzo grado di merito, ma un giudice di legittimità.
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Pensione indiretta: no al diritto senza contributi
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 15294/2024, ha stabilito che il diritto alla pensione indiretta per i superstiti di un lavoratore autonomo è subordinato all'effettivo versamento dei contributi da parte del defunto. A differenza dei lavoratori dipendenti, per gli autonomi non opera il principio di automaticità delle prestazioni. Pertanto, la vedova di un professionista non può ottenere la pensione se la posizione contributiva del coniuge non era regolare al momento del decesso. I superstiti possono comunque sanare l'omissione versando i contributi dovuti, ma solo dopo tale adempimento maturerà il diritto alla prestazione.
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Responsabilità collegio sindacale: doveri di controllo
La Corte di Cassazione ha confermato le sanzioni pecuniarie inflitte a due membri del collegio sindacale di una banca per carenze nei controlli. La sentenza sottolinea che la responsabilità del collegio sindacale deriva non da un controllo sul merito delle scelte gestionali, ma dall'omessa vigilanza sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo e dei sistemi di controllo interno della società, un dovere fondamentale per prevenire irregolarità e rischi.
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Inadempimento Appalto: il Collaudo Positivo Salva?
In un caso di presunto inadempimento appalto per opere di urbanizzazione, la Cassazione conferma le decisioni di merito. Se lo scopo del contratto è ottenere il collaudo positivo del Comune e questo viene raggiunto, l'appaltatore non è inadempiente, anche in presenza di difformità. Il ricorso che mira a una nuova valutazione dei fatti, e non a denunciare vizi di legge, è dichiarato inammissibile.
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Illecito civile dopo assoluzione penale: la Cassazione
Due fratelli, precedentemente assolti in sede penale per invasione di terreni, sono stati condannati in sede civile a risarcire i danni per gli stessi fatti. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 15290/2024, ha respinto il loro ricorso, confermando che il giudice civile ha piena autonomia nel valutare i fatti come illecito civile, anche utilizzando le prove del processo penale. La Corte ha ribadito che un'assoluzione penale, specie se per insufficienza di prove, non impedisce l'accertamento di una responsabilità civile, che segue regole e standard probatori differenti.
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Prova presuntiva: come si dimostra un contratto?
Una società di servizi di vigilanza ha richiesto il pagamento per prestazioni di piantonamento fisso, contestate da un'impresa edile che sosteneva di non averle mai pattuite. In assenza di un contratto scritto, la controversia si è centrata sulla validità della prova presuntiva. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione d'appello, stabilendo che la prova dell'adempimento può essere raggiunta anche tramite presunzioni, a condizione che queste siano gravi, precise e concordanti. Nel caso specifico, le testimonianze dei vigilanti, che confermavano di aver svolto il servizio in alcuni giorni specifici e l'esistenza di un brogliaccio con i nomi di altri colleghi, sono state ritenute sufficienti a fondare la prova presuntiva dell'esecuzione continuativa del servizio per l'intero periodo contestato.
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Onere della prova appalto: chi dimostra i lavori?
Una controversia sul pagamento di lavori in subappalto arriva in Cassazione. La Corte ribadisce un principio fondamentale sull'onere della prova appalto: non basta produrre il contratto per pretendere il compenso. L'appaltatore che agisce per il pagamento deve sempre dimostrare di aver effettivamente eseguito le opere. La Corte d'Appello aveva erroneamente invertito tale onere, ma la sua sentenza è stata cassata.
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Errore di fatto: la Cassazione revoca la sua decisione
La Corte di Cassazione ha revocato una propria precedente ordinanza a causa di un errore di fatto. La Corte aveva erroneamente creduto che la promissaria acquirente avesse modificato la sua domanda in risoluzione per scadenza di termine essenziale, mentre in realtà aveva chiesto la risoluzione per inadempimento. Riconosciuto l'errore, la Corte ha annullato la sua decisione e, riesaminando il caso, ha rigettato il ricorso originario della promissaria acquirente, condannandola alle spese.
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Ricorso per cassazione: limiti alla prova del lavoro
Un lavoratore si rivolge alla Corte di Cassazione dopo che il tribunale ha respinto la sua richiesta di ammissione al passivo fallimentare per un presunto rapporto di lavoro subordinato. La Corte Suprema respinge l'appello, sottolineando che il ricorso per cassazione non può essere utilizzato per una nuova valutazione delle prove o per contestare le decisioni discrezionali del giudice di merito sulla gestione dei testimoni, a meno che non vengano dedotte specifiche violazioni procedurali. La decisione del tribunale viene quindi confermata.
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Pagamento in corso di causa: nuova prova in appello
In una controversia su un contratto d'appalto, la Cassazione chiarisce le regole per la produzione di nuove prove in appello. Un appaltatore chiedeva il saldo, mentre i committenti lamentavano vizi. Questi ultimi, dopo aver effettuato un pagamento in corso di causa per evitare l'esecuzione forzata di un decreto ingiuntivo, hanno potuto provarlo solo in appello. La Corte ha ritenuto ammissibile la prova, stabilendo che il pagamento è un fatto avvenuto nel corso del primo grado il cui interesse a provarlo documentalmente è sorto solo con la sentenza che lo ignorava.
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Mansioni superiori: diritto alla retribuzione
La Corte di Cassazione ha confermato il diritto di un dipendente pubblico a ricevere una retribuzione adeguata per lo svolgimento di mansioni superiori, anche in assenza di un incarico formale. L'ordinanza stabilisce che l'effettivo espletamento di funzioni dirigenziali prevale sulla mancanza di procedure formali, garantendo al lavoratore il compenso proporzionato al lavoro svolto, in base all'art. 36 della Costituzione.
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Diniego di giurisdizione: rinvio alla CGUE negato
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un Ente Provinciale per diniego di giurisdizione. Il caso riguardava il rifiuto del Consiglio di Stato di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE su una questione di diritto ambientale. La Cassazione ha stabilito che la valutazione del Consiglio di Stato sull'irrilevanza della questione o sulla chiarezza del diritto UE (teoria dell'atto chiaro) costituisce un potenziale errore di giudizio (error in iudicando), non sindacabile in sede di legittimità per motivi di giurisdizione, confermando i limiti del proprio sindacato sulle decisioni dei giudici amministrativi di ultima istanza.
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Lavoro agricolo stagionale: i limiti ai contratti a termine
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 15277/2024, ha chiarito i rigidi confini del lavoro agricolo stagionale per la stipula di contratti a termine. Il caso riguardava un lavoratore impiegato per decenni da un ente pubblico agricolo con contratti a tempo determinato. La Corte ha stabilito che un ente pubblico non è un imprenditore agricolo e che la deroga per stagionalità si applica solo ad attività strettamente legate a una stagione, con l'onere della prova a carico del datore di lavoro.
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Obbligo retributivo cessione illegittima: la Cassazione
Con l'ordinanza n. 15276/2024, la Corte di Cassazione ha confermato l'obbligo retributivo di un'azienda cedente nei confronti dei lavoratori in caso di cessione di ramo d'azienda dichiarata illegittima. Anche se i dipendenti hanno lavorato per la società cessionaria, il rapporto giuridico con il datore di lavoro originario non si è mai interrotto. La Corte ha stabilito che le somme dovute hanno natura di retribuzione e non di risarcimento, rigettando sia il ricorso principale dell'azienda che quello incidentale dei lavoratori.
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