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Giurisprudenza Civile

Licenziamento disciplinare: quando scatta il termine?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6136/2025, ha rigettato il ricorso di un dirigente pubblico contro il suo licenziamento disciplinare. La Corte ha stabilito che il termine per avviare l’azione disciplinare (dies a quo) non decorre da una mera segnalazione interna, ma dal momento in cui l’amministrazione ha un quadro completo dei fatti a seguito degli accertamenti necessari. Inoltre, ha confermato che l’archiviazione di un procedimento penale non influisce sulla legittimità del licenziamento disciplinare basato su illeciti amministrativo-contabili.

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Manleva assicurativa: quando scatta la seconda polizza?

La Corte di Cassazione chiarisce le condizioni per l’attivazione di una polizza assicurativa ‘a secondo rischio’. In un caso di responsabilità medica, la Corte ha respinto il ricorso di una dottoressa che chiedeva di essere tenuta indenne dalla propria assicurazione, poiché non era stato dimostrato il superamento del massimale della polizza primaria dell’azienda sanitaria. La decisione sottolinea l’importanza di provare le condizioni contrattuali per ottenere la manleva assicurativa.

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Licenziamento per assenze ingiustificate: la Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la legittimità di un licenziamento per assenze ingiustificate di una dipendente pubblica. La sentenza stabilisce che, ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione, il giudice può considerare l’intera condotta del lavoratore, inclusa la mancata adesione a un piano di recupero per assenze precedenti, anche se non formalmente contestate. Tale comportamento complessivo è stato ritenuto idoneo a ledere in modo irreparabile il vincolo di fiducia con il datore di lavoro.

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Natura demaniale dei suoli: chi decide? La Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di diverse amministrazioni pubbliche in una controversia sulla proprietà di alcuni terreni costieri. È stata confermata la giurisdizione del giudice ordinario civile per accertare la natura demaniale dei suoli, in quanto questione relativa a diritti soggettivi, anche se connessa a una richiesta di risarcimento per occupazione illegittima, potenzialmente di competenza amministrativa. La Corte ha stabilito che la domanda di accertamento della proprietà privata implica necessariamente la contestazione della demanialità, senza costituire una modifica inammissibile della domanda.

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Licenziamento disciplinare: quando inizia il termine?

Una dipendente pubblica impugna il proprio licenziamento disciplinare per falsa attestazione della presenza, sostenendo la tardività della contestazione. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, stabilendo che il termine per l’azione disciplinare decorre non dal mero sospetto, ma dal momento in cui l’amministrazione acquisisce piena conoscenza dei fatti, in questo caso tramite l’accesso al fascicolo penale. La Corte ha ritenuto che solo in quel momento l’ente avesse tutti gli elementi per una contestazione fondata, confermando la legittimità del licenziamento.

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Scorrimento graduatoria: chi decide? La Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha chiarito la questione della giurisdizione in materia di scorrimento graduatoria nel pubblico impiego. Il caso riguardava alcuni candidati risultati idonei in un concorso pubblico che, anziché essere assunti, vedevano l’ente locale indire nuove procedure selettive interne. La Suprema Corte ha stabilito che la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, e non a quello ordinario, quando la pretesa all’assunzione non si basa su un semplice diritto allo scorrimento, ma consegue alla contestazione delle scelte discrezionali e di macro-organizzazione della Pubblica Amministrazione, come l’indizione di nuovi concorsi. Tale contestazione investe l’esercizio del potere pubblico, tutelando una posizione di interesse legittimo.

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Perdita di chance: prova necessaria per il risarcimento

Una dipendente pubblica, a seguito dell’annullamento di una sua valutazione negativa, ha richiesto un risarcimento per la mancata progressione economica. I tribunali di merito hanno respinto la domanda per mancanza di prove concrete sulla perdita di chance. La Corte di Cassazione ha confermato tali decisioni, dichiarando il ricorso inammissibile. La sentenza sottolinea che l’illegittimità di un atto non comporta un risarcimento automatico: è onere del lavoratore dimostrare, con prove concrete, di aver perso una reale e significativa opportunità di avanzamento.

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Progressione economica: valutazione titoli e buona fede

Un dipendente pubblico ha contestato l’esito di una selezione interna per una progressione economica, lamentando la mancata valutazione di alcuni titoli. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che, sebbene il datore di lavoro pubblico debba agire secondo buona fede, il lavoratore ha l’onere di provare in modo specifico le proprie doglianze. La Corte ha inoltre chiarito che un incarico di coordinamento non equivale automaticamente a mansioni di livello superiore.

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Perdita di chance: risarcimento e giurisdizione

Una lavoratrice del settore pubblico ha ottenuto un risarcimento per perdita di chance dopo che un ritardo nell’inquadramento le ha impedito di partecipare a una selezione per una posizione superiore. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, rigettando il ricorso dell’Amministrazione. L’ordinanza chiarisce importanti aspetti sulla giurisdizione del giudice ordinario in materie connesse a precedenti giudizi amministrativi e sulla corretta riproposizione delle domande in appello.

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Sospensione cautelare: quando è illegittima a scuola

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6168/2025, ha stabilito l’illegittimità della sospensione cautelare di un dipendente scolastico se non preceduta dall’avvio di un procedimento disciplinare. Il caso riguardava un provvedimento di sospensione emesso da un dirigente scolastico, annullato in primo e secondo grado. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del Ministero, chiarendo che la sospensione cautelare facoltativa è uno strumento accessorio e non può essere adottata in autonomia, ma deve necessariamente collegarsi a un procedimento disciplinare già esistente, come previsto dalla contrattazione collettiva.

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Minimale contributivo: appello inammissibile

Un ente previdenziale contesta a una società il mancato versamento del minimale contributivo. La Corte di Cassazione dichiara l’appello inammissibile perché l’ente introduce una questione nuova, diversa da quella discussa nei gradi di merito, violando i principi processuali.

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Sospensione cautelare illegittima: le conseguenze

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’Amministrazione Pubblica, confermando l’illegittimità di una sanzione disciplinare espulsiva. La decisione si fonda sul fatto che una sospensione cautelare illegittima rende nullo il periodo di sospensione, causando la scadenza dei termini per irrogare la sanzione finale e generando il diritto al risarcimento del danno per responsabilità contrattuale.

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Verifica negativa dipendente: la valutazione a 360°

Un ricercatore di un ente pubblico si è visto negare una progressione economica a causa di una verifica negativa dipendente. La valutazione contestava non solo ritardi nella produzione scientifica, ma anche una generale mancanza di collaborazione. L’interessato ha sostenuto che la valutazione dovesse limitarsi ai risultati scientifici documentati. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che la verifica dell’attività lavorativa deve essere ‘a tutto tondo’, includendo quindi la regolarità complessiva della prestazione, la collaborazione e l’adempimento dei doveri d’ufficio, non solo la qualità tecnica della ricerca.

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Sanzione disciplinare tardiva: no a risarcimento danni

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6171/2025, ha stabilito un principio fondamentale: una sanzione disciplinare tardiva, sebbene illegittima dal punto di vista procedurale, non dà automaticamente diritto al risarcimento del danno. Se i fatti contestati al dipendente sono fondati e il datore di lavoro ha agito in adempimento di un dovere, viene esclusa la sua responsabilità. Il caso riguardava un dipendente pubblico che, dopo aver ottenuto l’annullamento di una sospensione per un vizio di forma (la tardività), aveva chiesto i danni all’amministrazione. La sua richiesta è stata respinta in tutti i gradi di giudizio, poiché è stata accertata la veridicità dei fatti che avevano dato origine alla sanzione.

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Cessazione materia contendere: accordo e fine processo

Due dirigenti di un’azienda sanitaria pubblica impugnavano una sanzione disciplinare. Dopo le decisioni negative nei primi due gradi di giudizio, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo durante il ricorso in Cassazione. La Corte Suprema, prendendo atto dell’accordo, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, ponendo fine alla controversia e compensando le spese legali.

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Giudicato interno: la Cassazione chiarisce i limiti

La Corte di Cassazione interviene su una complessa vicenda giudiziaria durata decenni, relativa allo scioglimento di una società di fatto. L’ordinanza chiarisce i limiti del ricorso per revocazione avverso le proprie decisioni, ribadendo la distinzione tra errore percettivo (revocatorio) ed errore di valutazione (non revocatorio). Viene inoltre affermata la forza del giudicato interno, formatosi su sentenze non definitive precedenti, che cristallizza determinati punti della controversia, impedendo che vengano riesaminati nelle fasi successive del giudizio. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione e rigettato sia il ricorso principale che quello incidentale, consolidando le decisioni dei gradi inferiori sulla base del principio di definitività delle statuizioni già passate in giudicato.

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Sospensione cautelare: limite di 5 anni per tutti i casi

Una dipendente pubblica, sospesa in via cautelare in attesa di un processo penale e poi assolta, ha ottenuto un risarcimento per l’eccessiva durata del provvedimento. La Corte di Cassazione ha stabilito che il limite massimo di cinque anni per la sospensione cautelare si applica alla durata complessiva, sommando sia i periodi di sospensione obbligatoria che quelli di sospensione facoltativa, affermando un principio di garanzia fondamentale per il lavoratore.

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Motivazione per relationem: quando è nulla la sentenza?

Un’azienda sanitaria ha impugnato con successo una sentenza della Corte d’Appello che riconosceva differenze retributive a una dipendente. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione perché la sua motivazione si basava su un semplice rinvio a precedenti sentenze, senza spiegare il nesso con il caso specifico. Questo vizio, definito ‘carenza di motivazione’, ha comportato la nullità della sentenza e il rinvio del caso a un nuovo giudice.

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Motivazione per relationem: nullità della sentenza

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d’Appello in una causa di lavoro pubblico relativa a differenze retributive. Il motivo principale è la carenza di motivazione: i giudici d’appello si erano limitati a richiamare precedenti sentenze senza spiegare come si applicassero al caso specifico. Tale pratica, nota come motivazione per relationem, è stata ritenuta insufficiente, portando alla nullità della decisione e al rinvio del caso per un nuovo esame.

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Abuso contratto a termine: la condanna del Comune

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un ente comunale al risarcimento dei danni a favore di alcuni lavoratori, impiegati formalmente come Lavoratori Socialmente Utili (LSU) ma di fatto utilizzati per mansioni stabili e subordinate. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso del Comune, sottolineando che l’abuso contratto a termine è provato dalla natura delle mansioni svolte e non dalla mera esistenza formale di un progetto di utilità collettiva. Anche se nel pubblico impiego non è permessa la conversione in un rapporto a tempo indeterminato, l’abuso deve essere risarcito.

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