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Giurisprudenza Civile

Clausola clienti direzionali: validità e limiti
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15005/2024, ha stabilito la validità di una clausola clienti direzionali in un contratto di agenzia. Il caso riguardava la richiesta di provvigioni da parte di un agente per affari conclusi dal preponente con clienti definiti 'direzionali'. La Corte ha ritenuto la clausola non nulla, poiché le categorie di clienti escluse (es. società di ristorazione collettiva, enti pubblici) erano sufficientemente determinate e non lasciavano la scelta al mero arbitrio del preponente. La decisione si fonda sull'interpretazione del contratto e sul comportamento delle parti, confermando che il diritto di esclusiva dell'agente può essere validamente derogato con pattuizioni chiare.
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Interruzione del processo: la conoscenza legale
Una società citava in giudizio una banca. Durante il processo d'appello, il decesso del legale della società causava l'interruzione del processo. La banca riassumeva la causa, ma la controparte eccepiva l'estinzione per tardività, sostenendo che la banca fosse a conoscenza del decesso da tempo tramite un altro procedimento. La Cassazione ha annullato la decisione d'appello, stabilendo che la conoscenza dell'evento interruttivo acquisita in un giudizio diverso non è idonea a far decorrere il termine per la riassunzione, che richiede una conoscenza formale e specifica legata al processo interrotto.
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Leasing traslativo: la clausola penale è valida?
La Cassazione, con l'ordinanza 15000/2024, chiarisce la validità della clausola penale nel leasing traslativo, ma subordina l'ammissione al passivo fallimentare all'onere del creditore di provare il valore del bene restituito per permettere al giudice di valutarne l'equità e ridurla se eccessiva. L'omissione di tale prova rende la domanda inammissibile.
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Rinuncia al ricorso: estinzione e spese legali
La Corte di Cassazione dichiara l'estinzione di un giudizio a seguito della rinuncia al ricorso da parte di un ex amministratore di una banca sanzionato da un'autorità di vigilanza. L'ordinanza chiarisce che la rinuncia comporta la condanna del rinunciante al pagamento delle spese legali, anche in assenza di accettazione da parte della controparte. Questo caso sottolinea le conseguenze procedurali ed economiche della rinuncia al ricorso.
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Rinuncia al ricorso: spese legali e contributo unificato
Un ex amministratore di una banca cooperativa, sanzionato dall'Autorità di Vigilanza, ha proposto ricorso in Cassazione. Successivamente, ha presentato un atto di rinuncia al ricorso. La Suprema Corte ha dichiarato estinto il giudizio, condannando il ricorrente al pagamento delle spese legali ma escludendo l'obbligo di versare un ulteriore contributo unificato, chiarendo le conseguenze procedurali di tale atto.
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Inammissibilità ricorso cassazione: l’analisi del caso
Una società di gestione idrica ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione contro un Comune per pagamenti relativi alla captazione di acqua, basati su un accordo conciliativo. La Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per cassazione a causa di vizi procedurali, tra cui la genericità dei motivi, la mancata corretta contestazione dell'interpretazione contrattuale dei giudici di merito e il mancato rispetto del principio di autosufficienza. La decisione ha confermato la giurisdizione del giudice ordinario.
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Canone concessorio: quando è dovuto per l’uso di acque?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14995/2024, ha stabilito che una società è tenuta al pagamento di un canone concessorio per l'utilizzo di un corso d'acqua, anche se su di esso ha eseguito opere private. La decisione si fonda sul fatto che il corso d'acqua era stato inserito nel reticolo idrico minore del Comune con una delibera mai impugnata dalla società. Di conseguenza, la natura pubblica del bene è incontestabile e l'uso esclusivo per scarichi industriali giustifica la richiesta del canone. La Corte ha respinto il ricorso della società, confermando le decisioni dei precedenti gradi di giudizio.
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Inammissibilità del ricorso: onere della prova
Una società di gestione idrica ha impugnato in Cassazione una sentenza che la condannava a pagare indennizzi a un Comune per la captazione di acque. La Corte Suprema ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso. La decisione si fonda su due motivi principali: la conferma della competenza del giudice ordinario, in linea con precedenti decisioni della stessa Corte, e il mancato rispetto da parte della ricorrente dell'onere di autosufficienza e specificità dei motivi, non avendo contestato una delle due autonome ragioni giuridiche (ratio decidendi) della sentenza impugnata.
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Onere della prova: chi deve provare le clausole nulle?
Un consorzio ha citato in giudizio la propria banca per l'applicazione di interessi ultralegali, anatocismo e commissioni non pattuite. Dopo decisioni contrastanti nei primi due gradi di giudizio, la Corte di Cassazione ha chiarito il principio dell'onere della prova: spetta al cliente che agisce in giudizio dimostrare la nullità delle clausole per interessi e commissioni, producendo il contratto. Fa eccezione l'anatocismo, la cui illegittima applicazione può essere provata anche solo tramite gli estratti conto. La causa è stata rinviata alla Corte d'Appello per una nuova valutazione.
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Limite di fondiarietà: il contratto è valido?
Un garante si oppone a un decreto ingiuntivo, sostenendo la nullità del contratto di credito fondiario per superamento del limite di finanziabilità e la decadenza della garanzia. Il Tribunale, aderendo a un consolidato orientamento della Cassazione, rigetta l'eccezione di nullità, affermando che il superamento del limite di fondiarietà non invalida il contratto. Dopo aver analizzato la legittimazione attiva dei creditori a seguito di cessioni e accertato dei pagamenti parziali, il giudice revoca il decreto ingiuntivo ma condanna il garante al pagamento del debito residuo.
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Cessata materia del contendere: costi compensati
Un lavoratore ha citato in giudizio un ente previdenziale per ottenere l'assegno di inabilità. Sebbene l'ente abbia pagato durante la causa, il Tribunale ha dichiarato la cessata materia del contendere ma ha compensato le spese legali. La motivazione risiede nel fatto che il lavoratore non aveva inviato la documentazione necessaria al pagamento, contribuendo così al ritardo.
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Compenso direttore lavori: quando non è dovuto
Un geometra si è visto negare dal Tribunale il compenso come direttore lavori a causa di un grave inadempimento dei suoi doveri di supervisione. Nonostante i notevoli ritardi e i difetti lamentati dal condominio committente, il professionista non ha dimostrato di aver vigilato sul cantiere né di aver sollecitato l'impresa esecutrice. La sentenza ha riconosciuto solo i compensi per le attività effettivamente e correttamente completate (come la redazione del capitolato e del piano di sicurezza), negando quelle viziate da negligenza. Questo caso sottolinea l'importanza dell'onere della prova e la responsabilità che deriva dall'incarico di direttore dei lavori.
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Prova del credito: onere e limiti nel giudizio di merito
Una società consortile ricorre in Cassazione dopo il rigetto di una sua ingente pretesa creditoria per contributi consortili nell'ambito di una procedura di amministrazione straordinaria. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo che la valutazione delle prove, come le scritture contabili, spetta esclusivamente al giudice di merito. La sentenza sottolinea i rigidi limiti del giudizio di legittimità e l'importanza di fornire una rigorosa prova del credito.
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Finanziamento soci: il bilancio non basta in fallimento
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un creditore che chiedeva l'ammissione al passivo fallimentare per un ingente finanziamento soci. La decisione conferma che la semplice iscrizione del finanziamento nel bilancio societario non costituisce prova sufficiente nei confronti della curatela, essendo necessario dimostrare l'effettiva erogazione delle somme e la loro causa.
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Leasing traslativo: regole pre-fallimento e clausole
Una società di leasing ha richiesto l'ammissione al passivo fallimentare per canoni insoluti derivanti da un contratto di leasing traslativo risolto prima del fallimento. La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che in tali casi si applica l'art. 1526 c.c. e non la legge fallimentare, e ha sottolineato l'onere del creditore di provare gli elementi per la valutazione delle clausole penali.
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Leasing traslativo e fallimento: le regole applicabili
Una società di leasing ha richiesto l'ammissione al passivo del fallimento di un'azienda sua cliente per canoni non pagati, relativi a un contratto di leasing traslativo risolto prima della dichiarazione di fallimento. Il tribunale aveva respinto la domanda, applicando la disciplina della vendita con riserva di proprietà (art. 1526 c.c.). La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha dichiarato inammissibile il ricorso della società di leasing, confermando che per i contratti risolti prima dell'entrata in vigore della L. 124/2017, si applica l'art. 1526 c.c. e non la nuova normativa, che non è retroattiva. La Corte ha inoltre precisato l'onere della prova a carico del concedente che intende far valere una clausola penale.
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Rinuncia al ricorso: estinzione del giudizio
Una società di leasing, dopo aver presentato ricorso in Cassazione contro un decreto del Tribunale relativo a una società fallita, ha successivamente formalizzato la rinuncia al ricorso. La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia e della mancata attività difensiva della controparte, ha dichiarato l'estinzione del giudizio, senza emettere alcuna pronuncia sulle spese legali.
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Deposito telematico: quando è tempestivo il reclamo?
Una società impugna la sentenza di fallimento. La Corte d'Appello dichiara il reclamo tardivo. La Cassazione ribalta la decisione, chiarendo che il deposito telematico si perfeziona con la seconda PEC di avvenuta consegna, anche se inviato in più buste per superare i limiti di dimensione, purché entro la scadenza. L'atto è quindi tempestivo.
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Medici specializzandi e prescrizione: la Cassazione
Un gruppo di medici specializzandi ha citato in giudizio lo Stato per ottenere una remunerazione adeguata per i corsi seguiti tra il 1980 e il 1992, in base a direttive europee recepite in ritardo. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la sua giurisprudenza consolidata. Il tema centrale è la prescrizione del diritto al risarcimento, che secondo la Corte decorre dal 27 ottobre 1999. Poiché l'azione legale è stata avviata nel 2013, il diritto è stato ritenuto estinto.
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Crediti in prededuzione: continuità tra procedure?
Una società fornitrice ha richiesto il riconoscimento dei crediti in prededuzione per prestazioni eseguite durante l'amministrazione giudiziaria di una società appaltatrice, successivamente ammessa all'amministrazione straordinaria. Il tribunale di merito ha negato la richiesta, escludendo una continuità tra le due procedure. La Corte di Cassazione, ritenendo la questione di particolare importanza per l'uniforme interpretazione della legge, ha rinviato la causa a una pubblica udienza per un approfondimento, senza ancora decidere nel merito.
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