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Giurisprudenza Civile

Competenza acque pubbliche: il danno da opera idraulica

Un’impresa subisce danni per l’esondazione di un canale di scolo. Sorge un conflitto di giurisdizione tra tribunale ordinario e specializzato. La Cassazione, applicando un nuovo principio delle Sezioni Unite, stabilisce la competenza acque pubbliche del tribunale specializzato, in quanto il danno deriva da un’opera idraulica, a prescindere da altri fattori.

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Competenza acque pubbliche: Cassazione chiarisce

Due cittadini hanno citato in giudizio un consorzio per danni da allagamento causati dalla mancata manutenzione di un canale. La Corte di Cassazione, risolvendo un conflitto di giurisdizione, ha stabilito la competenza acque pubbliche del Tribunale Regionale. Decisivo è il fatto che il danno derivi da un’opera idraulica, indipendentemente dal tipo di condotta (omissiva o attiva) della pubblica amministrazione, seguendo un recente principio delle Sezioni Unite.

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Competenza tribunale acque pubbliche: Cassazione chiarisce

Una cittadina ha citato in giudizio un Comune e una Regione per i danni subiti a causa dell’esondazione di un corso d’acqua. La Corte di Cassazione, risolvendo un regolamento di competenza, ha stabilito che la giurisdizione per le cause di risarcimento danni derivanti da opere idrauliche spetta inderogabilmente al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche. La decisione si fonda su un recente intervento delle Sezioni Unite che semplifica i criteri, affermando che è sufficiente che il danno sia causato da un’opera idraulica, indipendentemente dalla natura pubblica delle acque o dal tipo di condotta (attiva o omissiva) della Pubblica Amministrazione.

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Regolamento di competenza: inammissibile dal GdP

Un avvocato ha impugnato una sentenza del Giudice di Pace con un regolamento di competenza. La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, citando l’art. 46 c.p.c., e ha condannato il ricorrente per abuso del processo, imponendo sanzioni pecuniarie.

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Successione contratto locazione: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società che, dopo aver acquistato un’azienda, aveva erroneamente chiesto di subentrare in un contratto di locazione stipulato dal precedente affittuario dell’azienda, anziché in quello originario del cedente. La Corte ha chiarito che la successione contratto locazione avviene automaticamente nel contratto originario al momento della cessione d’azienda, rendendo infondata la pretesa di subentrare in un contratto diverso e successivo.

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Procura inesistente: appello inammissibile

Una società, già cancellata dal registro imprese e quindi estinta, ottiene un decreto ingiuntivo. La società debitrice si oppone e i tribunali le danno ragione, revocando il decreto per difetto di legittimazione attiva. L’ex socio tenta un ricorso per revocazione, sostenendo che il vero vizio fosse la procura inesistente, un errore di fatto. La Cassazione, confermando la decisione d’appello, dichiara il ricorso inammissibile perché la questione dell’estinzione della società era già stata valutata, rendendo la doglianza una critica su un errore di diritto, non di fatto, e non pertinente alla decisione impugnata.

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Responsabilità curatore fallimentare: quando è lecita?

Una recente ordinanza della Cassazione affronta il tema della responsabilità del curatore fallimentare. Il caso riguarda una richiesta di risarcimento danni da parte di un creditore per un presunto ritardo nell’esecuzione di un piano di riparto e per l’indebita trattenuta di somme. La Corte ha rigettato il ricorso, escludendo la responsabilità del curatore fallimentare in quanto le sue azioni erano giustificate dall’opportunità procedurale, come la pendenza di un concordato, e autorizzate dal giudice delegato.

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Restituzione immobile senza titolo: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto che si rifiutava di restituire un immobile, eccependo il difetto di proprietà in capo all’ente concedente. La Corte ha ribadito che nelle azioni personali di restituzione, derivanti da un contratto, non è necessario per l’attore provare la proprietà del bene, ma è sufficiente dimostrare la fonte del proprio diritto alla riconsegna, come la scadenza del contratto. Questo principio si applica anche quando la controversia riguarda la restituzione immobile senza titolo di proprietà del concedente.

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Presupposizione: la Cassazione sui requisiti

Una società commerciale recede da un contratto preliminare di affitto di ramo d’azienda in un centro commerciale a causa della mancata apertura di un grande supermercato, considerata una presupposizione dell’accordo. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4970/2025, ha cassato con rinvio la sentenza d’appello che aveva dato ragione alla società commerciale. La Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo di ricorso relativo alla carenza del requisito di ‘obiettività’ della presupposizione, specificando che la motivazione della corte di merito era stata insufficiente nello stabilire che l’evento presupposto fosse realmente indipendente dalla volontà delle parti contrattuali.

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Specificità motivi ricorso: il caso dello sfratto IACP

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un inquilino contro un’ingiunzione di sfratto e pagamento emessa da un Istituto Autonomo Case Popolari. La decisione si fonda sulla mancata specificità dei motivi di ricorso, un requisito procedurale fondamentale. L’appellante non ha adeguatamente collegato le presunte violazioni di legge alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, rendendo impossibile per la Corte esaminare il merito delle censure.

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Appello rito locatizio: errore che costa caro

Una società immobiliare propone appello in una causa di locazione utilizzando un atto di citazione invece del ricorso, depositandolo inoltre fuori termine. La Corte di Cassazione conferma la decisione di improcedibilità, stabilendo che le specifiche norme procedurali per l’appello rito locatizio non sono derogate dalle leggi di semplificazione generale. La Corte ha inoltre sanzionato la società per abuso del processo, avendo agito in palese contrasto con principi giurisprudenziali consolidati.

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Assegno vitalizio: legittima la riduzione dell'importo

Ex consiglieri regionali hanno impugnato la riduzione del loro assegno vitalizio, sostenendone l’illegittimità. La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi, stabilendo che l’assegno vitalizio ha natura indennitaria e non pensionistica. Pertanto, il suo importo può essere ridotto in base a parametri di calcolo variabili (‘mobili’), come le indennità dei consiglieri in carica, senza violare diritti acquisiti o norme costituzionali.

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Maggiorazione retribuzione: l'atto aziendale è cruciale

Una dirigente del Servizio Sanitario Nazionale ha richiesto una maggiorazione della retribuzione di posizione per aver diretto più strutture. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che tale maggiorazione retribuzione è subordinata all’esistenza di un formale “atto aziendale” che definisca le strutture come complesse. Lo svolgimento di fatto delle mansioni, in assenza di tale atto, non è sufficiente a far sorgere il diritto.

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Maggiorazione retribuzione dirigente: l'atto aziendale

Un dirigente sanitario ha richiesto un aumento di stipendio per aver gestito una struttura complessa. La Corte di Cassazione ha negato la richiesta, stabilendo che la maggiorazione della retribuzione per un dirigente è dovuta solo se un atto aziendale formale istituisce e classifica le funzioni della struttura. La semplice esecuzione di fatto delle mansioni non è sufficiente per ottenere il beneficio economico.

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Retribuzione dirigente: no all'assegno ad personam

La Corte di Cassazione ha stabilito che un dirigente pubblico non ha diritto a mantenere un assegno ad personam, concesso per conservare una precedente e più alta retribuzione, al momento del rinnovo di un nuovo incarico di valore economico inferiore. Tale assegno, legato al precedente ruolo poi soppresso, non può essere considerato parte integrante della retribuzione del nuovo incarico. La decisione riforma le sentenze dei giudici di merito che avevano dato ragione al dirigente, affermando un principio di coerenza tra incarico e retribuzione dirigente nel pubblico impiego, specialmente nel contesto di riorganizzazioni aziendali.

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Errore rito processuale: conseguenze e fee legali

La Corte di Cassazione chiarisce le conseguenze di un errore rito processuale. Se la procedura sbagliata non viene contestata alla prima udienza, il rito si consolida e non può essere più modificato. La sentenza analizza anche i criteri per la liquidazione del compenso legale in cause di valore indeterminabile, rigettando la richiesta di un professionista che aveva agito contro una ex cliente per il pagamento delle proprie parcelle.

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Lavoro straordinario pubblico impiego: quando va pagato?

Un’agenzia regionale nega il pagamento per lavoro straordinario pubblico impiego a un dipendente per mancanza di autorizzazione formale. La Cassazione chiarisce che l’autorizzazione è un elemento costitutivo del diritto, ma il compenso è dovuto se c’è consenso del datore, anche implicito, e può essere provato con testimoni.

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Compenso lavoro straordinario: basta il consenso implicito

La Corte di Cassazione ha stabilito che un dipendente pubblico ha diritto al compenso per lavoro straordinario anche in assenza di un’autorizzazione formale, a condizione che la prestazione sia stata svolta con il consenso implicito del datore di lavoro. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un’ente pubblico che si opponeva al pagamento, sottolineando che il diritto alla retribuzione per il lavoro effettivamente svolto, basato sull’art. 2126 c.c., prevale sui vizi formali della richiesta.

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Compenso professionale avvocato: come si calcola?

Un avvocato si opponeva alla riduzione del proprio compenso da 92.000 a 24.000 euro in sede di ammissione al passivo fallimentare. La Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che il calcolo del compenso professionale avvocato deve basarsi sul valore effettivo della controversia (il cosiddetto ‘disputatum’) e non sul valore della domanda iniziale, qualora quest’ultimo risulti manifestamente sproporzionato. L’iscrizione della notula nei bilanci della società è stata ritenuta irrilevante ai fini della prova del credito nel fallimento.

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Onere della prova fallimento: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5003/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società contro la propria dichiarazione di fallimento. Il caso verteva sull’onere della prova fallimento, ovvero sulla responsabilità di dimostrare di non possedere i requisiti per essere assoggettati alla procedura concorsuale. La società aveva prodotto bilanci non depositati e altra documentazione contabile ritenuta inattendibile sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello. La Cassazione ha ribadito che l’onere della prova grava sul debitore e che la valutazione sull’attendibilità dei documenti è un giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità, confermando così la decisione dei giudici precedenti.

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