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Giurisprudenza Civile

Accordo transattivo: come libera il co-debitore
La Corte di Cassazione ha stabilito che un direttore dei lavori è liberato da responsabilità grazie a un accordo transattivo stipulato tra i committenti e l'impresa costruttrice. Sebbene il professionista non avesse assunto obblighi diretti, la rinuncia dei committenti a ogni pretesa nei suoi confronti, contenuta nell'accordo, è stata ritenuta decisiva. La Corte ha chiarito che, sottoscrivendo l'atto, il direttore dei lavori ha manifestato la volontà di approfittare della transazione, estinguendo l'obbligazione originaria nei suoi confronti, anche a fronte del successivo inadempimento dell'impresa.
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Provvigione agente: sì alla transazione tra le parti
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 12816/2024, ha stabilito un importante principio in materia di provvigione agente. Se il preponente e il cliente concludono una transazione che comporta la mancata esecuzione di un contratto procurato dall'agente, a quest'ultimo spetta una provvigione ridotta ai sensi dell'art. 1748, co. 5, c.c. sulla parte non eseguita. La Corte ha chiarito che, sebbene la provvigione piena non sia dovuta sulla somma transattiva (in quanto non è corrispettivo per affari conclusi), l'accordo che estingue il rapporto contrattuale rientra nella previsione di legge che tutela l'agente.
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Compenso avvocato: l’attività stragiudiziale connessa
Un avvocato ha richiesto il saldo del suo compenso, distinguendo tra attività stragiudiziale e giudiziale per la nomina di un arbitro. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che il compenso avvocato per l'attività stragiudiziale non è dovuto separatamente se questa è funzionale e connessa a quella giudiziale e priva di autonomia. Inoltre, ha chiarito che il procedimento per la nomina di un arbitro rientra nella volontaria giurisdizione, con tariffe inferiori a quelle dell'arbitrato vero e proprio.
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Contratti di collaborazione: quando non c’è subordinazione
Una lavoratrice con plurimi contratti di collaborazione con un ente pubblico sanitario ha richiesto la conversione del rapporto in lavoro subordinato a tempo indeterminato. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi precedenti. È stato ribadito che, nel pubblico impiego, la conversione del contratto è preclusa dalla legge e l'eventuale risarcimento del danno presuppone la prova rigorosa della subordinazione di fatto, che in questo caso non è stata fornita.
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Contratto di appalto: installazione e garanzia
La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito che qualifica come contratto di appalto, e non vendita, la fornitura e installazione di un sistema di videosorveglianza. La Corte ha stabilito che se l'installatore interviene per riparare i difetti, riconosce la propria responsabilità, superando i termini di decadenza e prescrizione per la garanzia. Di conseguenza, ha confermato la risoluzione del contratto e la condanna dell'installatore alla restituzione del prezzo pagato dal cliente insoddisfatto.
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Riclassificazione INPS: no effetto retroattivo
La Corte di Cassazione ha stabilito che la riclassificazione INPS di un'azienda dal settore agricolo a quello industriale non ha efficacia retroattiva se non deriva da dichiarazioni iniziali false del datore di lavoro. Anche l'omessa comunicazione di un cambiamento nell'attività prevalente non giustifica la retroattività, proteggendo così i diritti previdenziali acquisiti dalla lavoratrice.
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Ingerenza socio accomandante: quando scatta il fallimento
La Corte di Cassazione ha confermato il fallimento in estensione di una socia accomandante per ingerenza nella gestione societaria. La Corte ha stabilito che detenere una procura generale per operare sui conti bancari della società, con facoltà di emettere assegni e spendere il nome sociale, costituisce un atto di amministrazione che viola il divieto imposto dall'art. 2320 c.c. Questa violazione comporta la perdita del beneficio della responsabilità limitata, rendendo la socia illimitatamente responsabile per i debiti sociali, indipendentemente dalle motivazioni familiari o dalla frequenza degli atti compiuti.
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Responsabilità del committente: la Cassazione chiarisce
La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di danni a un immobile a seguito di lavori di ristrutturazione sul fondo vicino. L'ordinanza chiarisce la netta distinzione tra la responsabilità del committente per danni derivanti dalla cosa in custodia (art. 2051 c.c.) e quella per danni causati dall'attività dell'appaltatore (art. 2043 c.c.). La Corte ha annullato la decisione di merito che aveva erroneamente confuso le due fattispecie, stabilendo che il committente risponde per l'operato dell'appaltatore solo in casi specifici, come la "culpa in eligendo" o l'imposizione di direttive vincolanti.
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Risoluzione anticipata: obbligo di motivazione per la PA
Un dirigente pubblico ha subito la risoluzione anticipata del suo contratto biennale a causa del raggiungimento dell'anzianità contributiva massima. La Corte di Cassazione ha stabilito l'illegittimità del provvedimento per mancanza di motivazione. La sentenza sottolinea che, specialmente per i casi antecedenti alla riforma del 2011, la Pubblica Amministrazione ha l'obbligo di spiegare le ragioni organizzative alla base della risoluzione anticipata rapporto di lavoro, a tutela dei principi di buona fede e correttezza.
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Revoca contributo pubblico: l’onere della prova
Un'imprenditrice si è vista revocare un contributo pubblico per non aver avviato un'attività ricettiva a seguito di un evento sismico che ha danneggiato l'immobile. Nonostante le proroghe, non è riuscita a rispettare la scadenza finale. I tribunali di merito hanno confermato la revoca del contributo pubblico, sostenendo che l'imprenditrice non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare che la causa di forza maggiore persistesse alla data della scadenza. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che l'onere di provare la persistenza dell'impedimento spetta al beneficiario e ribadendo i limiti procedurali del ricorso in caso di doppia decisione conforme.
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Nullità contratto preliminare: la Cassazione decide
Un promissario acquirente, condannato in primo grado al trasferimento di un immobile tramite sentenza ex art. 2932 c.c., propone appello lamentando la nullità del contratto preliminare e della sentenza per la mancata menzione dei titoli edilizi. La Corte d'Appello dichiara il motivo inammissibile perché nuovo. La Cassazione cassa la decisione, affermando che tale nullità, essendo rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado, doveva essere esaminata dal giudice d'appello, anche se sollevata per la prima volta in quella sede.
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Inammissibilità appello: la specificità dei motivi
Un'azienda e i suoi garanti hanno citato in giudizio un istituto di credito per usura e anatocismo su un contratto di mutuo. Il Tribunale ha respinto le domande e la Corte d'Appello ha dichiarato il gravame inammissibile per mancanza di critiche specifiche alle motivazioni della prima sentenza. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, ribadendo che l'inammissibilità dell'appello deriva dalla mancata contestazione della ratio decidendi del giudice precedente, un errore procedurale fatale.
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Clausola risolutiva espressa: legittimo il recesso?
La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del recesso immediato da un contratto di agenzia a causa del mancato raggiungimento degli obiettivi di vendita (budget) da parte dell'agente. La decisione si fonda sulla validità della clausola risolutiva espressa inserita nel contratto, che trasforma l'obbligazione dell'agente da obbligazione di mezzi a obbligazione di risultato. Di conseguenza, spetta all'agente dimostrare che l'inadempimento non è a lui imputabile.
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Bonifico domiciliato: responsabilità per pagamento errato
La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di pagamento di un bonifico domiciliato a un soggetto non legittimato che ha presentato un documento di identità falso. La società ordinante aveva citato in giudizio l'istituto pagatore per inadempimento. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che la responsabilità dell'istituto pagatore è di natura contrattuale e va valutata secondo il criterio della diligenza professionale (art. 1176 c.c.). L'istituto non è responsabile se dimostra di aver agito con la dovuta diligenza nell'identificare il beneficiario, verificando la corrispondenza dei dati, il codice fiscale e la password, anche se il documento si è poi rivelato falso. Non è stato ritenuto necessario, in assenza di previsione contrattuale, richiedere un secondo documento di identità.
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Recesso anticipato incarico dirigenziale: stop della PA
La Corte di Cassazione ha stabilito che la Pubblica Amministrazione non può applicare il recesso anticipato per raggiungimento dell'anzianità contributiva massima a un incarico dirigenziale a tempo determinato. La sentenza chiarisce che tale facoltà, prevista dall'art. 72 del D.L. 112/2008, è riservata ai soli rapporti di lavoro a tempo indeterminato, data la diversa natura e finalità degli incarichi a termine, che si fondano su una durata e su valutazioni fiduciarie specifiche che devono essere rispettate fino alla scadenza.
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Foro convenzionale: estensione a contratti collegati
La Corte di Cassazione ha stabilito che la clausola di foro convenzionale inserita in un contratto di locazione si estende a tutte le controversie relative a un'operazione economica complessa, anche se articolata in più contratti collegati (come compravendita e convenzioni integrative). La Corte ha chiarito che, se la clausola è formulata in modo ampio (es. "qualsiasi controversia"), essa include non solo le pretese contrattuali ma anche quelle extracontrattuali (aquiliane) nate nell'ambito della stessa operazione. Pertanto, il foro scelto dalle parti ha competenza esclusiva, prevalendo sui criteri legali. Il ricorso è stato rigettato, confermando la competenza del tribunale indicato nel contratto.
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Revoca del contributo: il sisma non basta a provare
Un imprenditore, beneficiario di un finanziamento regionale per un'attività ricettiva, subiva la revoca del contributo per non aver avviato l'impresa entro i termini. L'immobile era stato danneggiato da un sisma, ma l'imprenditore non è riuscito a dimostrare che tale evento costituisse una causa di forza maggiore che gli ha impedito di adempiere per tutto il periodo richiesto. La Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito, dichiarando il ricorso inammissibile e sottolineando l'importanza dell'onere probatorio a carico del beneficiario.
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Cessione crediti in blocco: prova e onere probatorio
Una società di gestione crediti ha acquisito un debito tramite una cessione crediti in blocco. I fideiussori contestavano la titolarità del credito, sostenendo che l'avviso in Gazzetta Ufficiale non fosse prova sufficiente. La Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che l'avviso è prova adeguata se le indicazioni sono precise e la contestazione riguarda solo l'inclusione del singolo credito, non l'esistenza del contratto di cessione. La Corte ha anche ribadito la validità probatoria del saldaconto bancario in assenza di contestazioni specifiche.
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Riclassificazione INAIL: decorrenza non retroattiva
Una curatela fallimentare ha contestato una riclassificazione retroattiva operata dall'istituto assicurativo nazionale, che aveva generato un ingente debito per premi pregressi. Dopo due sentenze sfavorevoli nei gradi di merito, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. La Suprema Corte ha stabilito che la **riclassificazione INAIL** disposta d'ufficio non ha efficacia retroattiva, salvo che l'errore iniziale sia imputabile a una dichiarazione inesatta del datore di lavoro. Gli effetti decorrono dal mese successivo alla comunicazione del provvedimento.
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Termine impugnazione: conta l’inizio del giudizio
La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini del calcolo del termine di impugnazione, la data da considerare è quella di instaurazione del giudizio originario, anche se il processo è stato poi riassunto davanti a un giudice diverso per incompetenza. Nel caso specifico, un ricorso per decreto ingiuntivo depositato prima della riforma del 2009, che ha ridotto i termini per l'appello, deve seguire la vecchia normativa (termine di un anno) e non quella nuova (sei mesi), poiché la successiva riassunzione non costituisce l'inizio di un nuovo processo ma la sua prosecuzione.
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