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Giurisprudenza Civile

Contratto a termine PA: no alla conversione automatica
Un operatore socio-sanitario con contratti a termine illegittimi presso un'Azienda Sanitaria ha chiesto la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ribadendo il principio fondamentale per cui nel settore pubblico non è ammessa la conversione del contratto a termine PA. La Corte ha chiarito che l'art. 36 del D.Lgs. 165/2001 prevale sulla normativa generale e che le Aziende Sanitarie rientrano a pieno titolo tra le pubbliche amministrazioni soggette a tale disciplina, escludendo anche l'applicabilità di norme regionali sulla stabilizzazione in contrasto con i principi statali.
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Aspettativa medico estero: no se lede la libera circolazione
Un dirigente medico si è visto negare un periodo di aspettativa per un incarico in Francia a causa di esigenze organizzative della struttura sanitaria di appartenenza. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del diniego, stabilendo che la tutela della salute pubblica rappresenta un interesse generale prevalente che può giustificare una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori. Di conseguenza, anche la successiva decadenza dall'impiego del medico, per non aver ripreso servizio, è stata ritenuta legittima. Il caso chiarisce che il diritto all'aspettativa medico estero non è assoluto.
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Contribuzione dottorato: obblighi per dipendenti
Una docente in aspettativa per un dottorato di ricerca con borsa di studio ha richiesto al Ministero il versamento dei contributi previdenziali per tale periodo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo una distinzione fondamentale: l'obbligo di contribuzione dottorato per il datore di lavoro pubblico sussiste solo se il dottorato è senza borsa e il dipendente conserva il trattamento economico. In caso di dottorato con borsa, il dipendente riceve l'assegno dall'università e deve provvedere autonomamente all'iscrizione e al versamento dei contributi alla Gestione Separata INPS.
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Pensione reversibilità nipoti: prova vivenza a carico
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 14452/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un nipote per ottenere la pensione di reversibilità della nonna. La decisione sottolinea che, per la pensione reversibilità nipoti, non basta rientrare nelle categorie astrattamente previste dalla legge, ma è fondamentale fornire la prova concreta della 'vivenza a carico', ovvero della dipendenza economica dal defunto. Il ricorso è stato inoltre respinto per il principio della 'doppia conforme', avendo i primi due gradi di giudizio deciso allo stesso modo sulla base di una carenza probatoria.
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Nuova causa petendi: inammissibile in appello
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un erede che chiedeva la doppia annualità della pensione di reversibilità. La Corte ha stabilito che introdurre in appello una nuova causa petendi, basata sulla pretesa natura pubblica della pensione, costituisce una domanda inammissibile perché altera i fatti costitutivi del diritto e il tema della controversia.
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Pensione di reversibilità: no se manca la prova
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un figlio che chiedeva la pensione di reversibilità del padre. La decisione si fonda sulla mancata prova della vivenza a carico, ovvero della dipendenza economica dal genitore defunto. I giudici hanno ribadito che la Cassazione non può riesaminare nel merito le prove, soprattutto in presenza di una 'doppia conforme', cioè due sentenze di grado inferiore con lo stesso esito. La pronuncia sottolinea l'onere probatorio a carico di chi richiede la prestazione.
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Responsabilità del professionista: l’obbligo di info
La Corte di Cassazione conferma la responsabilità del professionista (commercialista) per non aver adeguatamente informato i propri clienti sui rischi legati a una cessione di quote societarie. A causa di questa negligenza, i clienti hanno subito un danno economico e hanno legittimamente rifiutato di pagare la parcella, sollevando l'eccezione di inadempimento. La Corte ha stabilito che l'obbligo informativo va oltre il mero mandato e deriva dai principi di diligenza e buona fede, anche in presenza di tempi ristretti per l'esecuzione dell'incarico.
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Assegno straordinario: non è reddito cumulabile
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14447/2024, ha stabilito che l'assegno straordinario di sostegno al reddito, erogato dai fondi di solidarietà, ha natura di incentivo all'esodo e non costituisce reddito rilevante ai fini del cumulo con le prestazioni pensionistiche. Di conseguenza, l'INPS non può richiederne la restituzione (indebito previdenziale) qualora percepito insieme alla pensione. La Corte ha cassato la sentenza d'appello che aveva erroneamente qualificato tale assegno come reddito imponibile IRPEF, affermando che la sua tassazione separata, simile a quella del TFR, ne conferma la natura non reddituale ai fini del divieto di cumulo.
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Impugnazione inammissibile: le regole della Cassazione
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso degli eredi di un lavoratore bancario che chiedevano un inquadramento superiore e il risarcimento per demansionamento. La decisione si fonda su principi procedurali chiave: il divieto di riesaminare i fatti in sede di legittimità e la necessità di contestare tutte le autonome 'rationes decidendi' (ragioni della decisione) della sentenza impugnata. Il caso evidenzia come un'impugnazione inammissibile possa vanificare le pretese di merito.
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Estinzione del processo: accordo tra le parti
Una controversia di lavoro tra un'agenzia di stampa e un giornalista sulla natura del rapporto (autonomo o subordinato) giunge in Cassazione. Dopo la sentenza d'appello favorevole al lavoratore, le parti decidono di porre fine alla lite. Attraverso la rinuncia reciproca ai rispettivi ricorsi, la Corte Suprema dichiara l'estinzione del processo. Questa decisione chiude definitivamente il caso senza una pronuncia nel merito, esonerando le parti dal pagamento delle spese e dal raddoppio del contributo unificato.
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Recesso ante tempus: sì al risarcimento integrale
Una struttura sanitaria ha interrotto prematuramente un contratto di collaborazione a termine con un medico. La Corte di Cassazione ha confermato l'obbligo della struttura di risarcire il professionista per tutti i compensi che avrebbe percepito fino alla scadenza naturale del contratto. Secondo la Corte, l'apposizione di un termine di durata in un contratto d'opera intellettuale costituisce una rinuncia al diritto di recesso ante tempus senza giusta causa.
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Lavaggio DPI: obbligo del datore e risarcimento
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14436/2024, ha stabilito che l'obbligo del datore di lavoro di manutenere i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) include anche il loro lavaggio. In caso di inadempimento, il danno per il lavoratore si presume esistente e deve essere risarcito. La Corte ha invertito l'onere della prova: spetta all'azienda dimostrare di aver adempiuto all'obbligo di lavaggio DPI o che l'omissione non ha causato pregiudizio. Il risarcimento può essere liquidato dal giudice in via equitativa.
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Responsabilità professionale notaio: il danno escluso
Una società immobiliare acquista un bene con un progetto di sopraelevazione, ma una servitù non segnalata dal notaio impedisce il piano. La società chiede i danni per il minor valore dell'immobile. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14441/2024, ha rigettato il ricorso, stabilendo che, non essendo mai esistito un diritto a sopraelevare, non sussiste alcun danno risarcibile derivante dalla negligenza del professionista, nemmeno per aver pagato un prezzo ritenuto eccessivo.
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Ricorso per cassazione: il principio di specificità
Una lavoratrice, dopo aver ottenuto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato mascherato da collaborazione, ha presentato ricorso per cassazione per ottenere un risarcimento maggiore. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per violazione del principio di specificità, poiché la ricorrente non ha adeguatamente trascritto le sue domande originarie nell'atto di appello, rendendo impossibile la valutazione da parte della Corte. La decisione sottolinea l'importanza cruciale della corretta formulazione formale degli atti giudiziari.
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Lavoro discontinuo badante: quando spetta lo straordinario
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14438/2024, ha chiarito le condizioni per il riconoscimento dello straordinario nel caso di lavoro discontinuo badante notturno. Una lavoratrice, impiegata con orario 20:30-8:30 a settimane alterne, chiedeva differenze retributive sostenendo di essere stata pagata solo per 40 ore settimanali a fronte di 84 ore di presenza. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione d'appello. È stato stabilito che la paga mensile forfettizzata prevista dal CCNL per l'assistenza notturna discontinua compensa l'intera disponibilità e non le singole ore. Per ottenere il pagamento dello straordinario, la lavoratrice avrebbe dovuto provare che le ore di lavoro *effettivo* superavano i limiti contrattuali o che la prestazione era particolarmente gravosa, senza le pause tipiche del lavoro discontinuo, prova che nel caso di specie non è stata fornita.
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Consulenza tecnica d’ufficio: quando è inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due mutuatari che denunciavano tassi usurari su contratti di mutuo. La Corte ha stabilito che la richiesta di una consulenza tecnica d'ufficio (C.T.U.) era esplorativa e la sua mancata ammissione non è un valido motivo per il ricorso, poiché rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito.
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Appalto di servizi: quando è genuino? La Cassazione
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14437/2024, ha chiarito i criteri per distinguere un appalto di servizi legittimo da un'illecita interposizione di manodopera. Nel caso esaminato, un lavoratore, licenziato dalla società appaltatrice, sosteneva di essere di fatto un dipendente della società committente. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando la genuinità dell'appalto di servizi. Ha stabilito che, per la validità del contratto, sono determinanti l'assunzione del rischio d'impresa e l'esercizio del potere direttivo e organizzativo da parte dell'appaltatore, mentre il solo collegamento societario tra le due aziende non è sufficiente a dimostrare la non genuinità dell'operazione.
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Responsabilità del committente: quando è esclusa?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 14431/2024, chiarisce i limiti della responsabilità del committente per fatti illeciti dei propri agenti. Nel caso esaminato, una società acquirente di un macchinario medico difettoso e pagato a un prezzo maggiorato ha citato in giudizio la società venditrice, chiedendo di essere risarcita per la truffa perpetrata dai suoi rappresentanti. La Corte ha rigettato il ricorso, escludendo la responsabilità del committente poiché gli agenti avevano agito in collusione con un terzo per un fine personale, interrompendo così il nesso di occasionalità necessaria tra le loro mansioni e l'illecito. La società venditrice, inoltre, non aveva tratto alcun vantaggio dalla truffa.
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Competenza territoriale avvocato: il caso Pinto
Un avvocato, creditore delle proprie spese legali in virtù di un provvedimento di distrazione, ha agito per ottenere un indennizzo per l'irragionevole durata del procedimento di esecuzione da lui avviato. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14420/2024, ha stabilito un principio chiave sulla competenza territoriale avvocato in questi casi. Ha chiarito che, quando l'avvocato agisce in via esecutiva per recuperare i propri onorari, egli assume una veste autonoma. Di conseguenza, il 'processo presupposto' ai fini della Legge Pinto non è il giudizio originario, ma il procedimento di esecuzione stesso. La competenza territoriale spetta quindi alla Corte d'Appello del distretto in cui si è svolta l'esecuzione.
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Risarcimento danno pubblico impiego: no prova, no indennizzo
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14419/2024, ha negato il risarcimento del danno a una dipendente pubblica a tempo indeterminato che aveva ricevuto una serie di incarichi dirigenziali temporanei illegittimi. La Corte ha stabilito che, non essendoci una situazione di precarietà lavorativa (la dipendente non ha mai rischiato il posto), non si applica l'indennità forfettaria prevista per l'abuso di contratti a termine. In assenza di una prova specifica del danno subito, la richiesta di risarcimento danno nel pubblico impiego è stata respinta, distinguendo tra l'illecito per violazione delle norme sul precariato e quello per violazione delle regole di accesso ai pubblici uffici.
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