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Diritto Fallimentare

Fondo patrimoniale: inammissibile ricorso generico
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due coniugi contro la sentenza che rendeva inefficace il loro fondo patrimoniale. L'inefficacia era stata richiesta dai creditori tramite azione revocatoria. Il ricorso è stato respinto perché i motivi erano generici, non contestavano la specifica ragione giuridica della decisione d'appello (ratio decidendi) e sollevavano questioni considerate estranee alla causa, come la presunta applicazione di tassi usurari sul debito originario.
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Ammissione al passivo: interessi e privilegi del credito
Una società di gestione crediti ricorre in Cassazione contro la decisione di un tribunale che aveva parzialmente respinto la sua domanda di ammissione al passivo del fallimento di una società alberghiera. La Corte Suprema accoglie il ricorso, chiarendo i principi sull'ammissione dei crediti per rate insolute e interessi moratori in caso di risoluzione di un mutuo, e sul corretto riconoscimento di un privilegio mobiliare. La Corte distingue tra l'ammissione del credito in sé e il suo rango, affermando che il primo non può essere negato per incertezze relative al secondo. Il decreto viene cassato con rinvio per un nuovo esame.
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Equa riparazione e fallimento: notifica allo Stato
L'ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione affronta un caso di equa riparazione e fallimento. Ex dipendenti di una società fallita hanno richiesto un indennizzo per l'eccessiva durata della procedura. La Corte d'Appello aveva limitato il risarcimento. Prima di decidere nel merito, la Cassazione ha rilevato un vizio nella notifica del ricorso al Ministero della Giustizia, ordinandone la rinnovazione all'Avvocatura Generale dello Stato e rinviando la causa.
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Proprietà superficiaria: differenza con piena proprietà
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha annullato la decisione di un giudice di merito che aveva riconosciuto a una procedura fallimentare un diritto di proprietà superficiaria su un immobile, nonostante la domanda originaria riguardasse la piena proprietà. La Corte ha ribadito la profonda differenza tra i due diritti, sottolineando che non sono intercambiabili e che il giudice non può pronunciarsi su un diritto non richiesto. Inoltre, ha precisato le rigide condizioni necessarie per ottenere una proprietà superficiaria a seguito di sanatoria edilizia su suolo pubblico.
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Giuramento decisorio: no a funzionari pubblici
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della curatela fallimentare di una società contro un ente pubblico regionale. Il punto centrale della decisione riguarda l'inammissibilità del giuramento decisorio deferito a un funzionario pubblico (nella specie, un Assessore pro tempore). La Corte ha stabilito che il funzionario, agendo in virtù di un "munus" pubblico, non ha la libera e autonoma disponibilità dei diritti dell'amministrazione e non può quindi impegnarla con un atto volitivo personale come il giuramento, che ha effetti irrevocabili sul diritto controverso.
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Errore revocatorio: quando è inammissibile il ricorso
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1450/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso per revocazione avverso una propria precedente decisione. Il caso riguardava una controversia su un contratto di subappalto. La Corte ha chiarito che l'errore revocatorio, previsto dall'art. 395, n. 4, c.p.c., consiste in una falsa percezione della realtà processuale (una 'svista') e non in un errore di valutazione o interpretazione del diritto o delle prove. Poiché le censure del ricorrente miravano a ottenere una nuova valutazione di merito, il ricorso è stato respinto, ribadendo i rigidi limiti di questo strumento di impugnazione straordinario.
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Improcedibilità ricorso fallimento: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha dichiarato l'improcedibilità del ricorso presentato da due istituti di credito contro l'omologazione di un concordato preventivo. La decisione si basa sul fallimento definitivo della società debitrice, evento che ha determinato la cessazione della materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse. Tale principio di improcedibilità del ricorso per fallimento ha portato anche alla compensazione delle spese legali.
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Revocatoria fallimentare garanzia: no se contestuale
Una società, poi fallita, ottenne un finanziamento fornendo in pegno dei titoli come garanzia. Il Fallimento chiese di invalidare il pegno con una revocatoria fallimentare garanzia. La Corte d'Appello accolse la richiesta, rilevando un divario temporale tra il prestito e la garanzia. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che se finanziamento e garanzia fanno parte di un'unica operazione commerciale, un ritardo tecnico nella formalizzazione della garanzia non la rende non contestuale e quindi non revocabile. La Corte ha anche ribadito che i fatti alla base della causa non possono essere modificati in appello.
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Assistenza finanziaria: la Cassazione decide?
La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria, ha rinviato a pubblica udienza il caso di un mutuo concesso da una banca e parzialmente usato per l'acquisto di azioni della stessa. La questione centrale è l'applicabilità del divieto di assistenza finanziaria (art. 2358 c.c.) alle banche popolari e le conseguenze di nullità totale o parziale del contratto, data la complessità e i contrasti giurisprudenziali in materia.
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Richiesta di fallimento del P.M.: è valida?
Una società immobiliare, dopo aver rinunciato a una procedura di concordato preventivo, è stata dichiarata fallita su istanza del Pubblico Ministero. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, rigettando il ricorso della società. La Corte ha stabilito che la richiesta di fallimento del P.M. è valida anche se presentata dopo la rinuncia al concordato, poiché il procedimento non si estingue automaticamente. Inoltre, è stato ritenuto che il diritto di difesa della società sia stato rispettato, avendo avuto la possibilità di presentare memorie difensive.
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Abuso del processo: inammissibile ricorso in Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società finanziaria contro la propria dichiarazione di fallimento. La società, dopo aver rinunciato a un concordato preventivo, aveva presentato un'istanza per bloccare le azioni dei creditori, ma i giudici di merito l'avevano rigettata ravvisando un abuso del processo. La Cassazione ha basato la sua decisione su un vizio procedurale: la ricorrente non aveva contestato una delle motivazioni autonome e sufficienti della sentenza d'appello, rendendo l'intero ricorso inammissibile per difetto di interesse.
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Fattibilità economica concordato: il ruolo del giudice
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso di una società in crisi, stabilendo che il giudice non può negare l'omologazione di un concordato preventivo basandosi unicamente su una stima dei costi più alta fornita dal commissario giudiziale, soprattutto se i creditori hanno approvato il piano. La Corte ha sottolineato che la valutazione della fattibilità economica del concordato non può ignorare le prove fornite dal debitore e la volontà del ceto creditorio, rinviando il caso alla Corte d'Appello per una nuova valutazione.
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Inammissibilità ricorso: la scelta errata del rito
Un professionista ha agito in giudizio utilizzando un procedimento sommario per chiedere il riconoscimento della prededucibilità del suo credito professionale nei confronti di una società in concordato preventivo. La Corte di Cassazione ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso, chiarendo che il rito prescelto è destinato unicamente a risolvere controversie sull'ammontare del compenso, non sulla sua collocazione o graduazione all'interno di una procedura concorsuale. L'errore procedurale iniziale ha reso inammissibile l'intera azione legale.
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Correzione errore materiale: data di entrata in vigore
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1381/2024, ha disposto d'ufficio la correzione di un errore materiale contenuto in una sua precedente sentenza (n. 19712/2023). L'errore riguardava l'indicazione della data di entrata in vigore di una nuova norma processuale (art. 591-ter c.p.c.), erroneamente indicata come "30 giugno 2023" anziché la corretta data del "28 febbraio 2023". La Corte ha rilevato l'errore, riconoscendolo come palese e rettificabile d'ufficio per garantire la certezza del diritto e la corretta applicazione delle norme processuali.
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Fallimento dopo rinuncia al concordato: il ruolo del P.M.
Un'azienda rinuncia alla domanda di concordato preventivo e il tribunale dichiara la procedura improcedibile. Nonostante ciò, su istanza del Pubblico Ministero, viene dichiarato il fallimento. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1377/2024, ha confermato questa decisione, stabilendo che il P.M. ha piena legittimazione a chiedere il fallimento dopo rinuncia dell'impresa, qualora emerga uno stato di insolvenza. La rinuncia, infatti, non elimina il potere di iniziativa del P.M. ma si limita a rimuovere l'ostacolo procedurale che impediva l'esame delle istanze di fallimento.
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Commissione massimo scoperto: quando è valida la clausola
La Corte di Cassazione ha stabilito che una clausola sulla commissione di massimo scoperto non è nulla per indeterminatezza se il periodo di riferimento, pur non essendo esplicitato, può essere desunto da altre clausole del contratto, come quella sulla chiusura periodica trimestrale del conto. La Corte ha cassato la decisione di un Tribunale che aveva dichiarato nulla la clausola, sottolineando l'importanza di un'interpretazione sistematica e secondo buona fede del contratto per preservarne gli effetti.
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Durata irragionevole processo: indennizzo spetta
La Corte di Cassazione ha stabilito che la durata irragionevole del processo fallimentare, protrattosi per oltre 18 anni, conferisce al creditore il diritto a un equo indennizzo. La Corte ha chiarito che la complessità della procedura può giustificare un'estensione del termine ragionevole da sei a sette anni, ma non può mai determinare la negazione totale del diritto al risarcimento quando tale soglia viene ampiamente superata. La decisione della Corte d'Appello, che aveva negato l'indennizzo, è stata quindi annullata con rinvio.
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Durata irragionevole e risarcimento: il limite massimo
Due creditori hanno chiesto un indennizzo per la durata irragionevole di una procedura fallimentare durata oltre 18 anni. La Corte d'Appello aveva negato il risarcimento a causa della complessità del caso. La Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che la complessità può giustificare un'estensione del termine ragionevole da sei a sette anni, ma non può escludere del tutto il diritto all'indennizzo per ritardi così estesi.
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Durata irragionevole processo: indennizzo quasi dovuto
La Corte di Cassazione ha stabilito che la durata irragionevole del processo fallimentare, se superiore a sette anni, genera il diritto a un equo indennizzo. Un creditore, dopo aver atteso oltre 18 anni per la conclusione di una procedura, si era visto negare il risarcimento dalla Corte d'Appello a causa della complessità del caso. La Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando che la complessità può giustificare un allungamento dei tempi fino a un massimo di sette anni, ma non può escludere del tutto il diritto all'indennizzo per ritardi ulteriori. Superata tale soglia, il danno non patrimoniale si presume, e il cittadino deve essere risarcito per la disfunzione del sistema giudiziario.
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Durata ragionevole processo: oltre 7 anni è troppo
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1286/2024, ha stabilito un principio cruciale sulla durata ragionevole processo. Analizzando un caso di fallimento durato oltre 18 anni, ha chiarito che la complessità della procedura non può giustificare un superamento del limite massimo di sette anni. La Corte ha cassato la decisione d'appello che negava l'indennizzo, affermando che un ritardo così esteso viola il diritto a un processo equo e impone il riconoscimento di un risarcimento, attribuendo il ritardo eccedente a disfunzioni del sistema giudiziario.
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