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Diritto Fallimentare

Condanna solidale spese: quando è illegittima?
Un'impresa in fallimento agiva contro tre persone per la restituzione di somme di valore molto diverso. Nonostante la condanna in primo grado e in appello al pagamento solidale delle spese legali, la Corte di Cassazione ha annullato tale decisione. Il principio affermato è che la condanna solidale spese è illegittima quando vi è un'enorme divergenza nel valore delle domande contro i singoli convenuti, poiché l'interesse comune non copre l'intera controversia, rendendo la condanna sproporzionata per chi è chiamato a rispondere per un importo minore.
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Equa riparazione fallimento: quando scade il termine?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16081/2024, stabilisce un principio fondamentale in materia di equa riparazione fallimento. Viene chiarito che il termine semestrale per richiedere l'indennizzo per l'irragionevole durata di una procedura fallimentare decorre dalla data in cui il decreto di chiusura del fallimento diventa definitivo, e non dal momento in cui un singolo creditore viene integralmente soddisfatto tramite un piano di riparto parziale. La Corte ha accolto il ricorso dei creditori, cassando la decisione della Corte di Appello che aveva erroneamente identificato il dies a quo nel pagamento del credito.
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Integrazione del contraddittorio: Cassazione chiarisce
La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d'Appello che aveva dichiarato inammissibile un appello per mancata integrazione del contraddittorio. La Suprema Corte ha chiarito che l'ordine di integrazione era illegittimo, poiché rivolto alla curatela di un fallimento che risultava già chiuso da oltre due anni. È stato inoltre affermato il principio per cui è ammissibile produrre in Cassazione i documenti che provano la nullità della sentenza impugnata, anche se non depositati nei gradi precedenti, quando questi rivelano un vizio radicale del procedimento, come l'errata identificazione di un soggetto processuale necessario.
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Conoscenza del fallimento: prova a carico del curatore
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16041/2024, ha accolto il ricorso di un istituto di credito la cui domanda di ammissione al passivo era stata dichiarata inammissibile per tardività. La Corte ha stabilito che la prova della conoscenza del fallimento da parte del creditore non può essere meramente presuntiva, ma deve essere fornita in modo certo e concreto dal curatore fallimentare. Il provvedimento del Tribunale, basato su una motivazione contraddittoria, è stato cassato con rinvio per un nuovo esame.
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Liquidazione Giudiziale: prova dell’insolvenza
Un creditore ha richiesto la liquidazione giudiziale di una società per un credito di lavoro non pagato. La società non si è presentata in giudizio né ha depositato i bilanci. Il Tribunale ha dichiarato aperta la liquidazione giudiziale basandosi su diversi indizi di insolvenza, tra cui il mancato pagamento del debito, un'ingente esposizione debitoria verso l'INPS e la totale inerzia della società, considerati sufficienti a provare l'incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni.
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Liquidazione giudiziale: quando si apre la procedura
Un creditore ha richiesto la liquidazione giudiziale di una società debitrice. Quest'ultima non si è costituita in giudizio né ha depositato la documentazione contabile. Il Tribunale, sulla base di prove acquisite d'ufficio, come ingenti debiti erariali e previdenziali, un protesto e il mancato deposito dei bilanci, ha dichiarato lo stato di insolvenza della società, aprendo la procedura di liquidazione giudiziale e nominando un curatore.
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Opponibilità ipoteca fallimento: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha stabilito che l'opponibilità di un'ipoteca al fallimento dipende dall'iscrizione nei registri prima della dichiarazione di fallimento. Un decreto del giudice tavolare che reintegra un'ipoteca cancellata per errore, anche con efficacia retroattiva, non è vincolante per il giudice fallimentare. Quest'ultimo deve valutare autonomamente se la formalità era stata completata prima dell'apertura della procedura concorsuale. Il caso riguardava un'ipoteca re-iscritta dopo la dichiarazione di fallimento di una società.
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Revoca concordato: limiti del giudizio di rinvio
La Corte di Cassazione conferma la revoca del concordato preventivo di una società a causa di gravi carenze informative nella proposta ai creditori. La sentenza stabilisce che nel giudizio di rinvio, successivo a una pronuncia della Cassazione, le parti non possono introdurre nuove eccezioni o contestazioni, neanche quelle rilevabili d'ufficio come il difetto di legittimazione, in quanto si forma un giudicato implicito che chiude il perimetro della discussione.
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Versamenti soci bancarotta: quando è distrazione?
La Corte di Cassazione annulla una sentenza di condanna per bancarotta fraudolenta, sottolineando un errore cruciale nella valutazione dei versamenti soci. La Corte ha stabilito che per distinguere tra bancarotta preferenziale e per distrazione, è fondamentale analizzare la natura originaria del versamento (mutuo o conto capitale) e non lo stato della società al momento della restituzione. Il caso è stato rinviato per un nuovo giudizio che applichi correttamente questo principio.
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Liquidazione giudiziale: quando si dichiara?
Un creditore, titolare di un credito da lavoro, ha richiesto con successo la liquidazione giudiziale di una società. Il Tribunale ha dichiarato lo stato di insolvenza sulla base di molteplici indicatori, tra cui ingenti debiti previdenziali, la mancata presentazione dei bilanci e l'esito negativo di precedenti azioni esecutive. La mancata costituzione in giudizio della società debitrice è stata un fattore decisivo, poiché non ha fornito la prova contraria sull'assoggettabilità alla procedura.
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Impugnazione rendiconto fallimentare: la Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcune Amministrazioni pubbliche creditrici in una procedura fallimentare. Le Amministrazioni contestavano gli acconti liquidati al curatore e ai legali, ma hanno utilizzato lo strumento dell'impugnazione del rendiconto fallimentare in modo errato. La Corte ha stabilito che il rendiconto serve a contestare gli atti di gestione del curatore, non i provvedimenti, seppur provvisori, del giudice delegato, i quali devono essere impugnati con specifici rimedi procedurali. Il ricorso è stato giudicato una mera riproposizione di argomenti già respinti, senza una critica specifica alla decisione della Corte d'Appello.
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Garanzia fondo PMI: il diritto di surroga del garante
La Corte di Cassazione ha stabilito che l'ente gestore del fondo di garanzia per le PMI, che paga una parte del debito di un'impresa poi fallita, non è un coobbligato solidale ma un garante con un'obbligazione autonoma verso la banca finanziatrice. Di conseguenza, ha diritto di surrogarsi nei diritti del creditore e di insinuare il proprio credito nel fallimento, anche se il creditore originario non è stato integralmente soddisfatto. L'ordinanza chiarisce che la garanzia fondo PMI ha natura pubblicistica e non soggiace alle regole sulla duplicazione dei crediti previste per i coobbligati.
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Rendiconto del curatore: quando non viene approvato
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un ex curatore fallimentare la cui gestione era stata contestata. L'ordinanza conferma che per la mancata approvazione del rendiconto del curatore è sufficiente la dimostrazione di un 'danno potenziale' al patrimonio, non essendo necessaria la prova di un danno effettivo e già concretizzato. La Corte ha ritenuto che la negligenza nella scelta dei professionisti per la bonifica di un'area contaminata costituisse una grave violazione dei doveri di diligenza, giustificando il rigetto del rendiconto.
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Scientia decoctionis: prova e oneri della curatela
Una curatela fallimentare ha agito contro un istituto di credito per la revoca di alcune rimesse bancarie, sostenendo che la banca fosse a conoscenza dello stato di insolvenza dell'impresa (la cosiddetta scientia decoctionis). La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei gradi precedenti, ha respinto le pretese della curatela. Ha stabilito che gli elementi portati a sostegno della domanda (dati di bilancio, segnalazioni in Centrale Rischi e una successiva domanda di concordato) non costituivano una prova sufficiente e concorde della conoscenza effettiva dell'insolvenza da parte della banca. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile in quanto mirava a un riesame dei fatti, non consentito in sede di legittimità.
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Pegno irregolare: quando è revocabile in fallimento?
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una banca contro la revoca di pagamenti ricevuti da una società poi fallita. I pagamenti, eseguiti tramite un libretto di deposito in pegno, sono stati ritenuti inefficaci. Il punto centrale era la qualificazione del pegno: la Corte ha confermato che non si trattava di un pegno irregolare, poiché la facoltà della banca di disporre delle somme era condizionata all'inadempimento del debitore. Essendo un pegno regolare e data la provata conoscenza dello stato di insolvenza da parte della banca, l'azione revocatoria è stata accolta.
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Scientia decoctionis: prova e indizi bancari
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione d'appello che riteneva un istituto di credito a conoscenza dello stato di insolvenza (scientia decoctionis) di una società cooperativa. La prova è stata raggiunta tramite una serie di indizi, tra cui le segnalazioni in Centrale Rischi, l'andamento anomalo dei conti correnti e il mancato incasso di effetti. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della banca, ribadendo che la valutazione di tali elementi indiziari costituisce un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se logicamente motivato. Di conseguenza, è stata confermata la revoca dei pagamenti effettuati dalla società a favore della banca per oltre un milione di euro.
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Revocatoria pagamenti terzo: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una procedura fallimentare che chiedeva la revocatoria di alcuni pagamenti eseguiti in favore di una banca. Il punto centrale della decisione riguarda la natura di tali versamenti: non provenivano dalla società fallita, ma da terzi debitori in virtù di una precedente cessione di credito. La Corte ha stabilito che, in questi casi, l'atto potenzialmente revocabile è la cessione del credito stessa, non i singoli pagamenti successivi. Poiché il ricorso non ha contestato la 'ratio decidendi' della sentenza d'appello su questo specifico punto, è stato giudicato inammissibile per carenza di critica specifica.
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Rimesse solutorie: la revoca su conti collegati
La Corte di Cassazione ha stabilito che i versamenti effettuati su un 'conto anticipi' tecnico, funzionalmente collegato a un conto corrente ordinario, costituiscono rimesse solutorie revocabili ai sensi della legge fallimentare. La Corte ha chiarito che, ai fini della revocatoria, non rileva la forma contabile ma l'effetto sostanziale di riduzione dell'esposizione debitoria complessiva dell'impresa nei confronti della banca. L'analisi deve considerare i rapporti bancari in modo aggregato, riconoscendo il nesso inscindibile tra i conti.
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Esdebitazione incapiente: no per debiti da fallimento
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 30108/2025, ha stabilito un importante principio di diritto in materia di esdebitazione incapiente. Sebbene il ricorso sia stato dichiarato inammissibile per motivi procedurali, la Corte ha chiarito che un debitore, già dichiarato fallito sotto la vigenza della vecchia legge fallimentare, non può successivamente accedere al beneficio dell'esdebitazione per il sovraindebitato incapiente (art. 283 CCII) per gli stessi debiti derivanti dalla procedura di fallimento. La Corte ha sottolineato che ogni procedura concorsuale ha il suo specifico e non intercambiabile percorso di esdebitazione.
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Fallimento dopo concordato: il credito resta ridotto?
Una società fornitrice di energia si è vista ridurre il proprio credito al 15% nel fallimento di un'azienda, poiché quest'ultimo è stato dichiarato anni dopo la scadenza dei termini per la risoluzione di un precedente concordato preventivo. La Corte di Cassazione ha confermato che, in caso di fallimento dopo concordato, se i termini per la risoluzione del concordato stesso sono scaduti, l'effetto di riduzione del debito diventa definitivo e il creditore non può più pretendere l'importo originario.
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