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Diritto Fallimentare

Leasing traslativo: le regole prima della riforma 2017
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20653/2024, ha stabilito che per i contratti di leasing traslativo risolti prima dell'entrata in vigore della Legge 124/2017, continua ad applicarsi in via analogica l'art. 1526 c.c. La società concedente è quindi tenuta a restituire i canoni riscossi, salvo il diritto a un equo compenso. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso principale della società di leasing e accolto quello incidentale del fallimento sulla liquidazione delle spese legali, ritenute inferiori ai minimi tariffari.
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Indennizzo eccessiva durata: come si calcola?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20637/2024, ha stabilito un principio cruciale per il calcolo dell'indennizzo per eccessiva durata del processo (Legge Pinto) nell'ambito delle procedure fallimentari. La Corte ha chiarito che il parametro per determinare il valore della causa non è la somma effettivamente ricevuta dal creditore nel piano di riparto, ma il valore del credito per cui è stato ammesso al passivo. Questa decisione annulla la precedente sentenza che aveva limitato l'indennizzo, riconoscendo che l'aspettativa del creditore si basa sull'intero diritto accertato, non sull'esito, spesso parziale, della liquidazione fallimentare.
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Concordato Preventivo Appalti: Pagamenti Sospesi
Analisi dell'ordinanza della Cassazione sul tema del concordato preventivo appalti. La Corte ha stabilito che la stazione appaltante può legittimamente sospendere i pagamenti all'appaltatore in concordato se questo non fornisce prova di aver pagato i subappaltatori, come previsto dalla normativa sui contratti pubblici. Il meccanismo di sospensione, a differenza del fallimento, resta compatibile con la procedura di concordato.
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Ricorso tardivo in Cassazione: i termini perentori
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile l'appello di un istituto di credito contro una decisione fallimentare. Il motivo è un ricorso tardivo in Cassazione, presentato oltre il termine perentorio di 30 giorni dalla comunicazione via PEC del provvedimento. La Corte ha verificato autonomamente la data della notifica, stabilendo un importante principio sulla prova della tempestività dell'impugnazione.
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Revocatoria ordinaria: la conoscenza della crisi
Una società fallita aveva ottenuto finanziamenti garantiti da ipoteca nell'ambito di un piano di risanamento. Il curatore ha agito in revocatoria ordinaria, sostenendo che gli istituti di credito fossero a conoscenza dello stato di insolvenza. La Cassazione ha cassato la decisione di merito, ritenendo che il giudice non avesse considerato un fatto decisivo: la mancata iniezione di liquidità da parte dei soci, sostituita da un'operazione contabile, era un elemento noto alle banche fin dall'inizio e cruciale per dimostrare la loro consapevolezza della crisi (scientia decoctionis), rendendo l'ipoteca potenzialmente inefficace.
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Corrispondenza chiesto pronunciato e fallimento
Una società in liquidazione, dichiarata fallita, aveva impugnato la decisione sostenendo di non superare le soglie di fallibilità previste dalla legge. La Corte d'Appello, ignorando questo specifico motivo, aveva confermato il fallimento basandosi sullo stato di insolvenza generale. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione per violazione del principio di corrispondenza chiesto pronunciato, stabilendo che il giudice d'appello avrebbe dovuto esaminare il motivo specifico sollevato, relativo alle soglie dimensionali, e non sostituirlo con una valutazione autonoma sull'insolvenza.
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Soglie di fallibilità e onere della prova: la Cassazione
Una società creditrice chiedeva il fallimento di un imprenditore. Dopo una prima dichiarazione di fallimento, la Corte d'Appello la revocava, ritenendo non superate le soglie di fallibilità. La creditrice ricorreva in Cassazione, ma il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La Suprema Corte ha precisato che questioni relative alle soglie di fallibilità non discusse in appello non possono essere introdotte per la prima volta in Cassazione, cristallizzando la decisione di merito.
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Concordato Preventivo: quando il fallimento è certo
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 20538/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società e dei suoi soci, falliti nonostante un concordato preventivo omologato. La Corte ha stabilito che l'effetto liberatorio del concordato era condizionato all'effettivo pagamento di una percentuale minima (45%) ai creditori. Avendo la società pagato solo il 3,94% in quasi dieci anni, la successiva dichiarazione di fallimento è stata ritenuta legittima, poiché la promessa di pagamento non è un mero auspicio, ma un risultato da garantire.
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Consecuzione tra procedure: la Cassazione decide
Una società creditrice si è vista revocare un'ipoteca iscritta su beni di un'azienda poi finita in amministrazione straordinaria. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20536/2024, ha confermato la decisione, stabilendo che il principio di consecuzione tra procedure si applica anche in questo caso. Il periodo sospetto per la revoca degli atti pregiudizievoli va quindi calcolato a ritroso dalla data della domanda di concordato preventivo, anche se questa è stata poi abbandonata, e non dall'avvio della successiva amministrazione straordinaria.
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Fallimento appaltatore: no pagamento diretto al sub
Un'impresa subappaltatrice ha richiesto il pagamento diretto dei suoi crediti a una stazione appaltante pubblica a seguito del fallimento dell'appaltatore principale. La Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta, stabilendo che in caso di fallimento appaltatore, il contratto si scioglie e il subappaltatore non può bypassare la procedura fallimentare. Il suo credito deve essere insinuato nel passivo del fallimento per rispettare il principio della par condicio creditorum (parità di trattamento dei creditori).
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Cessione crediti futuri: inopponibile al fallimento?
Una società finanziaria, cessionaria di crediti futuri derivanti da canoni di locazione, ha tentato di insinuarsi tardivamente nel passivo del fallimento del locatore per recuperare i canoni riscossi dal curatore. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che la cessione crediti futuri non è opponibile alla procedura fallimentare se, al momento della dichiarazione di fallimento, i crediti non sono ancora sorti. L'effetto traslativo del credito non si era ancora verificato, pertanto i canoni maturati post-fallimento rientrano legittimamente nell'attivo da distribuire tra tutti i creditori secondo il principio della par condicio creditorum.
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Equa riparazione e abuso del processo: spese ridotte
La Corte di Appello ha concesso un'equa riparazione a diversi creditori per l'eccessiva durata di una procedura fallimentare, superata di oltre 6 anni. Tuttavia, ha drasticamente ridotto le spese legali liquidate, ravvisando un abuso del processo nella scelta dei ricorrenti di avviare cause separate ma identiche, invece di un'unica azione collettiva, con il fine di moltiplicare gli onorari.
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Patto fiduciario: la prova per presunzioni semplici
La curatela di un fallimento agisce per far dichiarare un patto fiduciario, sostenendo che una società avesse acquistato immobili per conto di due fratelli debitori al fine di sottrarli ai creditori. La Corte d'Appello conferma la decisione di primo grado, rigettando la domanda. La motivazione si fonda sull'insufficienza della prova per presunzioni: sebbene gli indizi suggerissero un'operazione elusiva, non dimostravano in modo univoco l'esistenza di un obbligo di ritrasferimento della proprietà, essendo i fatti compatibili anche con la mera volontà dei fratelli di godere dei beni attraverso lo schermo societario.
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Concordato in bianco: obblighi informativi e sanzioni
La Corte di Cassazione conferma la dichiarazione di fallimento di una società la cui domanda di concordato in bianco è stata respinta. La decisione sottolinea che l'omissione di un elenco completo e veritiero dei creditori costituisce una carenza informativa radicale che rende la proposta inammissibile, evidenziando l'importanza cruciale della trasparenza fin dalle prime fasi della procedura.
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Atto a titolo gratuito: caparra esagerata e fallimento
La Corte di Cassazione conferma che una caparra sproporzionata, versata da una società poi fallita in un contratto preliminare, può essere considerata un atto a titolo gratuito. La valutazione si basa sulla 'causa concreta' dell'operazione, ovvero sulla mancanza di un effettivo vantaggio patrimoniale per l'acquirente, che ha subito solo un depauperamento. In questo caso, il pagamento del 50% del prezzo totale come caparra, a soli sei mesi dal fallimento e senza che il contratto definitivo fosse mai stipulato, è stato ritenuto inefficace ai sensi della legge fallimentare.
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Derogabilità art. 2112 c.c.: la Cassazione decide
Un gruppo di dirigenti medici, esclusi da un trasferimento d'azienda a seguito di una procedura di amministrazione straordinaria, ha fatto ricorso in Cassazione. La Corte ha annullato la precedente sentenza d'appello, la quale aveva erroneamente ritenuto non contestata la questione sulla derogabilità art. 2112 c.c. La Cassazione ha stabilito che la Corte d'Appello ha commesso un errore di omessa pronuncia, non decidendo nel merito la questione centrale della controversia, e ha rinviato il caso per un nuovo esame.
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Privilegio credito pubblico: la Cassazione conferma
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20362/2024, ha stabilito che il privilegio del credito pubblico, derivante da finanziamenti agevolati, sussiste anche se non esplicitamente menzionato nel contratto. Il caso riguardava una società in concordato preventivo che contestava la natura privilegiata del credito vantato da un ente gestore di fondi pubblici. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando l'orientamento consolidato secondo cui il privilegio si applica a tutti gli interventi di sostegno pubblico rientranti nel D.Lgs. n. 123/1998, estendendosi oltre le sole ipotesi di revoca del beneficio per illeciti.
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Indennizzo durata irragionevole: il calcolo corretto
La Corte di Cassazione ha stabilito che l'indennizzo per l'irragionevole durata di un processo fallimentare va calcolato sul credito residuo, non su quello originario, se nel frattempo sono intervenuti pagamenti parziali significativi (ad esempio, dal Fondo di Garanzia INPS). Questa decisione, che riforma una precedente pronuncia della Corte d'Appello, mira a evitare il rischio di una sovra-compensazione, allineando l'indennizzo all'effettivo pregiudizio subito dal creditore. La Suprema Corte ha quindi accolto il ricorso del Ministero della Giustizia e rideterminato gli importi dovuti ai creditori in base a questo principio.
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Irragionevole durata processo: limiti e onere prova
Una società ha richiesto un indennizzo per l'irragionevole durata processo di una procedura fallimentare durata quasi 24 anni. La Corte d'Appello aveva negato il risarcimento, citando l'eccezionale complessità del caso. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che la complessità non può giustificare il superamento dei termini massimi di legge (6-7 anni) e che il danno non patrimoniale si presume, invertendo l'onere della prova a carico dello Stato.
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Irragionevole durata processo: limiti alla deroga
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di alcune società creditrici che lamentavano l'irragionevole durata di una procedura fallimentare durata quasi 24 anni. La Corte ha stabilito che la 'particolare complessità' del caso può giustificare un'estensione del termine di sei anni, ma solo fino a un massimo di sette. Inoltre, ha ribadito che il danno non patrimoniale si presume, invertendo l'onere della prova a carico dello Stato. La sentenza della Corte d'Appello, che aveva negato l'indennizzo, è stata cassata con rinvio.
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