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Diritto del Lavoro

Cessazione materia del contendere: accordo e spese
Una nota società del settore lusso e una sua ex dipendente avevano un contenzioso relativo a un patto di non concorrenza. Dopo un ricorso in Cassazione da parte dell'azienda, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo. La Corte Suprema, prendendo atto dell'accordo, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, ponendo fine al giudizio e compensando le spese legali tra le parti.
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Compensazione spese legali: la novità della questione
Un lavoratore, dopo aver vinto una causa per il pagamento di indennità, si è visto compensare le spese legali in appello a causa della 'novità della questione'. Ha quindi fatto ricorso in Cassazione, sostenendo che la questione non fosse nuova. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando che la compensazione spese legali è legittima quando la giurisprudenza su un determinato argomento non è ancora consolidata, ma in fase di formazione, rendendo l'esito della lite oggettivamente incerto per le parti.
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Inquadramento superiore: quando spetta al lavoratore?
La Corte d'Appello ha riconosciuto il diritto all'inquadramento superiore a due operai addetti alla manutenzione, riformando la decisione di primo grado. Sulla base delle prove testimoniali, è stato dimostrato che le mansioni svolte, implicando l'uso di attrezzi meccanici e competenze specifiche acquisite sul campo, non corrispondevano a quelle di un operaio comune, bensì a quelle di un operaio qualificato. La sentenza ha quindi condannato il datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive.
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Lavoro subordinato mascherato: la decisione del giudice
Un centro estetico ha impugnato una sentenza che riconosceva un rapporto di lavoro subordinato con una collaboratrice, formalmente una social media manager. La Corte d'Appello ha respinto il ricorso, confermando l'esistenza del lavoro subordinato basandosi su prove come le chat di WhatsApp, che dimostravano compiti ben oltre il ruolo dichiarato (apertura del centro, gestione clienti, ricezione di direttive). La Corte ha quindi confermato il risarcimento per le differenze retributive calcolate secondo il CCNL di settore.
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Onere della prova: chi dimostra le provvigioni non pagate?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16337/2024, ha chiarito importanti principi sull'onere della prova in un caso di provvigioni non pagate a un sub-agente assicurativo. Dopo la risoluzione del contratto, il sub-agente ha richiesto il pagamento delle provvigioni maturate. La società preponente si è opposta, ma la sua contestazione è stata ritenuta generica. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, stabilendo che, in assenza di una contestazione specifica sul 'quantum', e data la detenzione della documentazione contabile da parte del preponente, la quantificazione del danno può essere basata sugli elementi forniti dall'agente. La decisione ribadisce che spetta al giudice qualificare la domanda e che la valutazione delle prove è di competenza del giudice di merito.
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Risarcimento danno pubblico impiego: quando è esente?
Una dipendente pubblica aveva ricevuto una somma a titolo di risarcimento per l'illegittima reiterazione di contratti a termine. La Corte di Cassazione ha stabilito che tale somma è esente da imposizione fiscale. La motivazione risiede nel fatto che il risarcimento danno pubblico impiego, in questo contesto, non ristora un mancato guadagno (lucro cessante), bensì la 'perdita di chance' di ottenere un'occupazione migliore, configurandosi quindi come un danno emergente non tassabile.
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Mansioni superiori: onere della prova e compiti affini
Una lavoratrice con mansioni di sacrista ha citato in giudizio il suo datore di lavoro, un ente ecclesiastico, rivendicando l'inquadramento superiore per aver svolto compiti amministrativi e contabili. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. L'ordinanza sottolinea che per ottenere il riconoscimento di mansioni superiori, il lavoratore ha l'onere di provare che tali compiti sono stati svolti in modo continuativo e prevalente, e non solo occasionale. Inoltre, i compiti meramente complementari alla figura professionale principale, come la registrazione delle offerte per una sacrista, non giustificano un avanzamento di livello.
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Valutazione delle prove: limiti del ricorso in Cassazione
Una lavoratrice ottiene il riconoscimento di differenze retributive per un rapporto di lavoro non regolarizzato. Il datore di lavoro ricorre in Cassazione contestando la valutazione delle prove e la mancata disposizione di una perizia contabile (CTU). La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo che la valutazione delle prove è di competenza esclusiva del giudice di merito e non può essere oggetto di un nuovo esame in sede di legittimità.
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Contratti a termine agricoltura: i limiti per gli enti
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16313/2024, ha stabilito che un ente pubblico non economico operante nel settore agricolo non può essere equiparato a un imprenditore agricolo privato. Di conseguenza, non può beneficiare delle deroghe previste per la reiterazione dei contratti a termine basate su una generica ciclicità del settore. L'ordinanza chiarisce che la nozione di 'lavoro stagionale' deve essere interpretata in modo rigoroso, escludendo mansioni continuative come la manutenzione. Questo principio rafforza la tutela contro l'abuso dei contratti a termine agricoltura nel pubblico impiego.
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Improcedibilità appello: le note scritte mancate
La Corte di Appello di Salerno ha dichiarato l'improcedibilità di un appello riguardante la prescrizione di contributi previdenziali. La decisione non si basa sul merito della controversia, ma sulla condotta processuale dell'appellante, che ha omesso per due volte consecutive di depositare le note di trattazione scritta, un'inadempienza equiparata alla mancata comparizione in udienza, che ha comportato la sanzione dell'improcedibilità dell'appello.
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Cessazione materia del contendere: accordo e processo
La Corte di Appello di Salerno ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in una causa di lavoro riguardante l'inquadramento superiore di alcuni dipendenti. Dopo una prima sentenza favorevole ai lavoratori, la società datrice di lavoro aveva proposto appello. Tuttavia, durante il giudizio di secondo grado, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo, eliminando la necessità di una decisione giudiziale e portando alla chiusura del processo con compensazione delle spese legali.
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Mansioni superiori: la Cassazione e il rito trifasico
La Corte di Cassazione conferma la condanna di un ente pubblico al pagamento di differenze retributive a una dipendente per lo svolgimento di mansioni superiori. La sentenza ribadisce l'importanza del corretto procedimento logico-giuridico trifasico per l'accertamento di tale diritto, respingendo le eccezioni procedurali sollevate dall'ente. Il caso sottolinea come la valutazione del giudice debba basarsi su un'analisi concreta delle attività svolte, l'individuazione delle qualifiche contrattuali e il loro confronto, senza potersi limitare a un richiamo acritico delle declaratorie contrattuali.
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Contratti a termine agricoltura: i limiti per gli enti
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16155/2024, ha stabilito che le deroghe sui contratti a termine agricoltura, previste per gli imprenditori privati, non si applicano agli enti pubblici non economici. La Corte ha chiarito che il concetto di 'stagionalità' deve essere interpretato in modo rigoroso, escludendo attività continuative. La sentenza ha annullato la decisione della Corte d'Appello, che aveva erroneamente giustificato la reiterazione di contratti a un lavoratore, affermando che spetta al datore di lavoro provare la natura esclusivamente stagionale delle mansioni.
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Recupero retributivo e mansioni superiori: la Cass.
La Corte di Cassazione ha stabilito che un'amministrazione pubblica ha il diritto di effettuare un recupero retributivo nei confronti di un dipendente per importi erogati a seguito di una progressione di carriera poi annullata. La Corte ha chiarito che, secondo il CCNL di riferimento, il passaggio a un livello economico superiore all'interno della stessa area professionale non implica automaticamente lo svolgimento di mansioni superiori. Di conseguenza, il lavoratore non ha diritto a mantenere la maggiore retribuzione se non prova l'effettivo svolgimento di compiti qualitativamente diversi e più complessi. La presunzione di svolgimento di tali mansioni da parte dei giudici di merito è stata ritenuta un errore giuridico, invertendo illegittimamente l'onere della prova.
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Contratto collettivo pubblico: la P.A. non sceglie
Un dipendente di un ente pubblico chiedeva differenze retributive per mansioni superiori basate su un contratto collettivo privato applicato di fatto. La Cassazione ha negato il diritto, stabilendo che nel pubblico impiego si applica inderogabilmente solo il contratto collettivo pubblico di comparto previsto per legge, e non quello scelto o applicato di fatto dall'amministrazione.
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Mansioni superiori CCNL: l’obbligo del giudice
Una dipendente di un ente pubblico ha richiesto differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione favorevole alla lavoratrice, stabilendo che i giudici di merito avevano errato nell'applicare un CCNL superato. La Corte ha ribadito che, in tema di mansioni superiori CCNL, il giudice ha l'obbligo di individuare e applicare d'ufficio il contratto collettivo vigente nel periodo di riferimento, anche se non indicato dalle parti, rinviando il caso alla Corte d'Appello per una nuova valutazione.
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Anzianità di servizio: parità per i docenti precari
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 16144/2024, ha accolto il ricorso di una docente, cassando la decisione della Corte d'Appello che negava la piena ricostruzione della carriera basata sull'anzianità di servizio maturata con contratti a termine. La Suprema Corte ha ribadito il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato, imponendo la disapplicazione delle norme nazionali (art. 485 D.Lgs. 297/1994) e contrattuali (clausola di salvaguardia CCNL 2011) che creano disparità di trattamento, chiarendo l'errata interpretazione di una precedente sentenza della Corte di Giustizia UE.
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Mansioni dirigenziali: no a paga superiore se previste
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un ex funzionario di un ente previdenziale che rivendicava differenze retributive per lo svolgimento di presunte mansioni dirigenziali. La Corte ha stabilito che l'incarico di responsabile di un'area complessa rientrava nelle funzioni attribuibili alla sua qualifica apicale non dirigenziale, come previsto dalla legge e dalla contrattazione collettiva, la quale già riconosceva un trattamento economico aggiuntivo specifico, escludendo quindi il diritto a una retribuzione da dirigente.
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Posizione organizzativa: no al rinnovo automatico
Una dipendente pubblica si era vista negare il rinnovo di una posizione organizzativa. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 16139/2024, ha ribaltato la decisione di merito, stabilendo che la mancata riconferma di una posizione organizzativa rientra nella discrezionalità dell'ente pubblico e non costituisce demansionamento. La decisione si fonda sul principio del 'giudicato esterno', poiché una precedente sentenza tra le stesse parti aveva già definito la natura non permanente di tale incarico. La Corte ha invece confermato la condanna dell'ente per aver assegnato un'indennità di produttività inferiore in modo discriminatorio.
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Mansioni superiori: quando non spetta la retribuzione
Un funzionario pubblico ha richiesto una retribuzione superiore per aver svolto mansioni superiori di rappresentanza legale per la sua amministrazione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito, rigettando la richiesta. Il motivo è la mancata dimostrazione della prevalenza di tali mansioni superiori, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, rispetto ai compiti ordinari. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché mirava a un riesame dei fatti, non consentito in sede di legittimità.
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