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Diritto del Lavoro

Interesse ad agire: impugnazione estratto di ruolo
Una società di trasporti ha impugnato un estratto di ruolo relativo a 47 cartelle esattoriali, sostenendo di non aver mai ricevuto le notifiche e che i crediti fossero prescritti. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'Appello, dichiarando il ricorso inammissibile per mancanza di un interesse ad agire. L'ordinanza chiarisce che l'impugnazione dell'estratto di ruolo è ammessa solo se il contribuente dimostra un pregiudizio concreto e attuale, come l'impossibilità di partecipare a gare d'appalto, cosa non avvenuta nel caso di specie. In assenza di tale pregiudizio, il contribuente deve attendere un successivo atto esecutivo per far valere le proprie ragioni.
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Lavoro in nero: la prova testimoniale non basta
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20804/2024, ha respinto il ricorso di un datore di lavoro sanzionato per l'impiego di due lavoratrici in nero. Il caso verteva sulla valutazione delle testimonianze delle dipendenti, ritenute dalla Corte d'Appello "stereotipate e poco circostanziate" e quindi inidonee a superare la presunzione legale sulla durata del rapporto di lavoro irregolare. La Suprema Corte ha confermato che la valutazione dell'attendibilità delle prove è un compito esclusivo del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se la motivazione non è palesemente illogica o apparente.
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Retribuzione onnicomprensiva: niente extra per i medici
Gli eredi di una dirigente medico hanno citato in giudizio un'azienda sanitaria per ottenere il pagamento di ore di lavoro extra, derivanti da un errato calcolo del debito orario durante i giorni di assenza. La Corte di Cassazione ha stabilito che il principio di retribuzione onnicomprensiva, applicabile ai dirigenti medici, implica che lo stipendio mensile copra l'intera prestazione lavorativa, anche se superiore alle 38 ore settimanali, per il raggiungimento degli obiettivi. Pertanto, non è dovuto alcun compenso aggiuntivo per le ore eccedenti. La Corte ha chiarito che un'eventuale richiesta di risarcimento per danno alla salute o al riposo rappresenta un'azione legale distinta e non una richiesta di retribuzione.
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Riposo settimanale autisti: la Cassazione chiarisce
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20794/2024, ha chiarito le regole sul riposo settimanale autisti previste dal Regolamento UE 561/2006. Annullando una decisione della Corte d'Appello, ha stabilito che il calcolo del riposo non si basa su 69 ore in tre settimane, bensì su un totale di 90 ore in due settimane consecutive (o un riposo ridotto da compensare). Il caso è stato rinviato per una nuova valutazione basata su questa corretta interpretazione.
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Riposo settimanale autisti: la Cassazione chiarisce
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20792/2024, ha accolto il ricorso di due autisti, stabilendo l'errata interpretazione della Corte d'Appello riguardo al calcolo del riposo settimanale autisti. La Corte ha chiarito che, ai sensi del Regolamento CE n. 561/2006, il riposo non può essere calcolato come un totale di 69 ore su tre settimane. La norma europea prevede, nell'arco di due settimane, due riposi ordinari (45 ore) o uno ordinario e uno ridotto (24 ore), con obbligo di compensazione. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio.
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Tempo tuta: quando va pagato? La Cassazione chiarisce
La Cassazione, con l'ordinanza n. 20791/2024, ha stabilito che il tempo tuta e quello per il cambio consegne in ambito sanitario costituiscono orario di lavoro e devono essere retribuiti. La Corte ha cassato la decisione di merito che negava tale diritto a personale non turnista o con mansioni specifiche, affermando che ciò che conta è l'eterodirezione da parte del datore di lavoro, a prescindere dal ruolo o dal contatto con i pazienti.
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Indennità di amministrazione: sì alla parità post-mobilità
Due dipendenti, trasferite da un'università a un ministero, hanno rivendicato il diritto a una maggiore indennità di amministrazione, pari a quella dei colleghi provenienti da un altro ente accorpato. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che in caso di mobilità tra enti pubblici, si applica il trattamento economico dell'amministrazione di destinazione. Se questo è più favorevole, spetta di diritto al lavoratore trasferito, in base al principio di parità di trattamento, a prescindere dall'ente di provenienza.
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Tempo tuta: quando va pagato? La Cassazione decide
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20787/2024, ha stabilito che il 'tempo tuta', ovvero il tempo necessario per indossare e togliere la divisa sul luogo di lavoro, costituisce orario di lavoro e deve essere retribuito. La Corte ha chiarito che questo diritto sussiste anche per i dipendenti non turnisti, se l'obbligo di indossare la divisa è imposto da ragioni di igiene e sicurezza. Sebbene un pagamento forfettario che includa anche il tempo per il passaggio di consegne sia ritenuto legittimo, la Corte ha cassato la decisione di merito che negava il compenso ad alcuni lavoratori, rinviando la causa per una nuova valutazione.
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Tempo tuta: quando va pagato? La Cassazione chiarisce
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20784/2024, ha ribadito che il cosiddetto 'tempo tuta' e il tempo per il passaggio di consegne costituiscono orario di lavoro da retribuire. La Corte ha ritenuto legittima la valutazione forfettaria del tempo per gli infermieri, unificando le due attività. Tuttavia, ha cassato la decisione della Corte d'Appello che negava tale diritto ad altro personale (tecnici, autisti) solo perché non effettuavano passaggi di consegne. Secondo la Suprema Corte, il solo obbligo di indossare la divisa sul luogo di lavoro è sufficiente a far sorgere il diritto alla retribuzione per il tempo necessario, indipendentemente da altre mansioni.
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Demansionamento e onere della prova: la Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi di un'azienda e di un suo dipendente in un caso di demansionamento. La Corte ha confermato la condanna dell'azienda al risarcimento del danno, ribadendo che l'onere della prova sull'adempimento dell'obbligo di assegnare mansioni adeguate grava sul datore di lavoro. Inoltre, ha stabilito che l'interpretazione degli accordi collettivi aziendali da parte dei giudici di merito non è sindacabile in sede di legittimità se non per violazione dei canoni legali di ermeneutica.
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Licenziamento collettivo e potere di firma: il caso
Un lavoratore ha impugnato il suo licenziamento nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo, contestando sia il potere di rappresentanza del direttore che ha gestito la procedura, sia la legittimità dei criteri di scelta dei dipendenti. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la validità del recesso. I giudici hanno stabilito che la valutazione del potere del rappresentante e della non fungibilità dei profili professionali sono apprezzamenti di fatto, correttamente motivati dalla corte di merito e non riesaminabili in sede di legittimità.
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Ordinanza ingiunzione: errore normativo annulla la multa
La Corte di Cassazione ha annullato una sanzione per lavoro nero, stabilendo un principio fondamentale: la Pubblica Amministrazione non può modificare la norma di legge contestata in una ordinanza ingiunzione durante il successivo giudizio di opposizione. Nel caso specifico, un datore di lavoro domestico aveva ricevuto una sanzione basata su un articolo di legge errato. La Corte ha ritenuto che tale errore non fosse un vizio sanabile, ma una violazione del principio di legalità e del diritto di difesa, cassando la sentenza d'appello e rinviando il caso per un nuovo esame.
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Obbligo retributivo in appalto illecito: la Cassazione
La Corte di Cassazione conferma il diritto alla retribuzione per una lavoratrice impiegata tramite un appalto di manodopera illecito. La sentenza stabilisce che l'obbligo retributivo del datore di lavoro sorge dal momento della formale offerta della prestazione lavorativa (messa in mora), anche se la prestazione non è stata effettivamente svolta a causa del rifiuto del datore stesso. Viene inoltre chiarito che un atto di messa in mora contenuto in un ricorso giudiziario, anche se successivamente dichiarato nullo, conserva la sua efficacia.
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Libro unico del lavoro: la data di entrata in vigore
Una società è stata sanzionata per non aver utilizzato il libro matricola. In sua difesa, ha sostenuto che fosse già in vigore il nuovo libro unico del lavoro. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo che l'obbligo di utilizzare il nuovo registro è scattato non con la pubblicazione della legge, ma con l'entrata in vigore del decreto ministeriale attuativo. La decisione sottolinea la distinzione cruciale tra la data di promulgazione di una norma e la sua effettiva operatività.
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Forma dell’appello: citazione o ricorso? La Cassazione
La Corte di Cassazione ha chiarito che per i giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione iniziati prima della riforma del D.Lgs. 150/2011, la corretta forma dell'appello è la citazione e non il ricorso. Di conseguenza, il termine per l'impugnazione decorre dalla notifica dell'atto di citazione e non dal suo deposito in cancelleria. La Corte ha cassato la sentenza d'appello che aveva erroneamente dichiarato inammissibile un gravame, ritenendolo tardivo sulla base delle regole del rito del lavoro introdotte solo successivamente.
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Contributo solidarietà: illegittimo se imposto da Casse
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20701/2024, ha stabilito che una cassa di previdenza privatizzata non può imporre autonomamente un contributo di solidarietà su pensioni già in essere. Tale prelievo, qualificabile come prestazione patrimoniale imposta, è materia di riserva di legge e non può essere introdotto da fonti regolamentari dell'ente. La Corte ha inoltre confermato che il diritto alla restituzione delle somme illegittimamente trattenute si prescrive in dieci anni e non in cinque.
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Tutela reintegratoria: quando spetta dopo il licenziamento
Un'impiegata viene licenziata per aver stampato documenti personali e fotografato il posto di lavoro. La Cassazione, con l'ordinanza n. 20698/2024, ha stabilito che se la condotta può essere ricondotta a una norma contrattuale che prevede una sanzione conservativa, si applica la tutela reintegratoria (art. 18, c. 4 L. 300/70) e non solo quella indennitaria. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva escluso la reintegrazione, affermando l'illegittimità del licenziamento per sproporzione della sanzione.
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Appello incidentale: quando non è necessario
Un imprenditore, sanzionato dall'Agenzia delle Entrate, vince in primo grado. La Corte d'Appello ribalta la decisione. La Cassazione interviene e chiarisce che il vincitore in primo grado non deve proporre appello incidentale per contestare l'importo della sanzione, essendo una mera difesa. La causa viene rinviata in Appello per la rideterminazione del quantum.
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Inquadramento pubblico impiego: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20696/2024, ha stabilito un principio fondamentale per l'inquadramento nel pubblico impiego in caso di mobilità. Il caso riguardava una dipendente trasferita da un'amministrazione locale a una ministeriale, alla quale era stata assegnata una fascia retributiva inferiore basandosi sulla retribuzione iniziale anziché su quella effettivamente percepita, comprensiva delle progressioni maturate. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell'amministrazione, confermando che il passaggio diretto configura una cessione del contratto e impone di conservare la posizione economica acquisita, per evitare una dequalificazione.
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Contributo di solidarietà: illegittimo se non per legge
Un ente previdenziale ha imposto un "contributo di solidarietà" sulle pensioni esistenti. La Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo tale prelievo, affermando che solo il legislatore statale, e non un ente autonomo, può imporre simili obbligazioni patrimoniali. La Corte ha inoltre confermato che il diritto a richiedere il rimborso è soggetto alla prescrizione ordinaria di dieci anni, non a quella breve di cinque.
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