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Diritto del Lavoro

Prescrizione Vittime del Dovere: la Cassazione decide
Un beneficiario, riconosciuto come 'vittima del dovere', ha richiesto l'adeguamento del suo assegno vitalizio. Il Ministero competente si è opposto, eccependo la prescrizione quinquennale del diritto. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Ministero, stabilendo che la richiesta di adeguamento e rivalutazione delle somme dovute alle vittime del dovere è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, e non a quella breve di cinque anni. La Corte ha chiarito che il termine più lungo si applica in quanto si tratta di crediti di natura assistenziale non ancora 'liquidati', cioè non resi pienamente disponibili al creditore dall'amministrazione.
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Contribuzione previdenziale: un diritto irrinunciabile
Un lavoratore ha richiesto il corretto calcolo della contribuzione previdenziale per il suo prepensionamento. La Corte d'Appello aveva rigettato la domanda basandosi su un accordo transattivo. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, stabilendo che il diritto a una corretta contribuzione previdenziale è indisponibile e non può essere oggetto di rinuncia tramite transazione, data la sua natura pubblica e obbligatoria. La causa è stata rinviata per un nuovo esame.
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Prescrizione vittime del dovere: decennale, non breve
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14489/2024, ha rigettato il ricorso del Ministero della Difesa, stabilendo che la prescrizione per i benefici economici dovuti alle vittime del dovere è di dieci anni e non di cinque. Questa decisione si fonda sulla natura assistenziale di tali prestazioni e sul principio che il termine decennale si applica ai crediti non ancora liquidati, ovvero non determinati nel loro esatto ammontare tramite un completo procedimento amministrativo. La Corte ha ribadito che la prescrizione vittime del dovere segue la regola più lunga per garantire una maggiore tutela.
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Obbligo di repêchage: reintegro se violato
Una lavoratrice viene licenziata per giustificato motivo oggettivo. La Cassazione, accogliendo il suo ricorso, stabilisce che la violazione dell'obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro integra l'insussistenza del fatto e comporta la reintegrazione nel posto di lavoro, non un semplice indennizzo, alla luce delle recenti sentenze della Corte Costituzionale.
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Criteri scelta CIGS: legittimità e accordi sindacali
Una lavoratrice ha impugnato il suo collocamento in Cassa Integrazione a zero ore, sostenendo la genericità dei criteri di scelta adottati dall'azienda. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo la legittimità dei criteri scelta CIGS basati sulla non fungibilità delle mansioni e concordati con le organizzazioni sindacali. Secondo la Corte, tali criteri, seppur non nominativi, erano sufficientemente specifici da consentire una verifica ex ante e non arbitraria, escludendo dalla rotazione le posizioni professionali infungibili e strategiche per la riorganizzazione aziendale.
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Dichiarazione falsa: licenziamento legittimo?
La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento di una dipendente pubblica per aver omesso di dichiarare due precedenti condanne penali al momento dell'assunzione. La Corte ha stabilito che la dichiarazione falsa viola i doveri di correttezza e buona fede, alterando il quadro conoscitivo dell'amministrazione e giustificando la risoluzione del rapporto di lavoro, a prescindere dalla natura dei reati omessi o dalla loro successiva estinzione.
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Indennità prima sistemazione: spetta ai non statali?
Una dirigente di un ente pubblico previdenziale si è vista negare l'indennità di prima sistemazione dopo un trasferimento d'ufficio, in base a una legge del 2011 volta a ridurre la spesa pubblica. La Corte di Cassazione ha confermato il suo diritto a ricevere l'indennità, stabilendo che la norma che sopprimeva tali benefici si applica esclusivamente ai dipendenti statali e non al personale degli enti pubblici non statali, la cui disciplina è demandata alla contrattazione collettiva e a specifiche norme di settore.
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Assegno ad personam: la guida alla riassorbibilità
Un ex dipendente delle ferrovie, trasferito a un ente previdenziale, ha richiesto il controvalore di un benefit di viaggio. Una precedente sentenza aveva già riconosciuto il suo diritto. La Corte di Cassazione ha stabilito che il calcolo del valore deve rispettare i criteri fissati dalla precedente sentenza (giudicato), ma ha anche chiarito che la somma risultante, qualificata come assegno ad personam, è soggetta a riassorbimento con i futuri aumenti stipendiali, affermando un principio generale per il pubblico impiego.
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Assegno ad personam: la Cassazione e la riassorbibilità
In un caso riguardante un ex dipendente delle ferrovie trasferito al settore pubblico, la Corte di Cassazione ha stabilito due principi chiave. In primo luogo, l'assegno ad personam, concesso per mantenere il livello retributivo precedente, è di norma riassorbibile nei futuri aumenti stipendiali. In secondo luogo, se una precedente sentenza definitiva (giudicato) ha già stabilito i criteri per calcolare un'indennità, il giudice successivo non può discostarsene, garantendo così la certezza del diritto.
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Assegno ad personam: riassorbimento e calcolo
Un ex dipendente delle Ferrovie dello Stato, trasferito a un ente previdenziale, ha rivendicato il controvalore economico di un benefit di viaggio perso. La Corte di Cassazione ha stabilito che il calcolo deve basarsi su un precedente giudicato che indicava uno specifico prontuario prezzi. Ha inoltre affermato il principio generale secondo cui l'assegno ad personam risultante è riassorbibile nei futuri aumenti stipendiali, riformando la decisione della Corte d'Appello.
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Ricorso LSU inammissibile: la Cassazione chiarisce
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un gruppo di ex lavoratori socialmente utili (LSU) che, dopo una lunga battaglia legale, avevano ottenuto la stabilizzazione nei ruoli del Ministero dell'Istruzione. Il ricorso, volto al riconoscimento dell'anzianità di servizio pregressa, è stato respinto per gravi vizi formali nella sua stesura e per la sopravvenuta carenza di interesse sulle domande originarie. La Corte ha sottolineato come la stabilizzazione ottenuta durante il processo abbia reso inammissibili le censure relative alla mancata assunzione, e come le restanti doglianze non abbiano adeguatamente contestato la decisione della Corte d'Appello. Questo caso evidenzia l'importanza del rigore tecnico nella redazione degli atti di impugnazione.
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Prova ricezione raccomandata: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema della prova della ricezione di una raccomandata ai fini dell'interruzione della prescrizione. In un caso riguardante un medico che chiedeva un risarcimento allo Stato, la Corte ha stabilito che la sola prova di spedizione non è sufficiente se il destinatario contesta specificamente di aver ricevuto la comunicazione. In assenza di avviso di ricevimento, il mittente ha l'onere di fornire prove più concrete, poiché altrimenti si imporrebbe al destinatario una prova negativa quasi impossibile (probatio diabolica). La Corte ha quindi respinto il ricorso del medico, confermando che la sua pretesa era prescritta.
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Contratto a termine PA: no alla conversione automatica
Un operatore socio-sanitario con contratti a termine illegittimi presso un'Azienda Sanitaria ha chiesto la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ribadendo il principio fondamentale per cui nel settore pubblico non è ammessa la conversione del contratto a termine PA. La Corte ha chiarito che l'art. 36 del D.Lgs. 165/2001 prevale sulla normativa generale e che le Aziende Sanitarie rientrano a pieno titolo tra le pubbliche amministrazioni soggette a tale disciplina, escludendo anche l'applicabilità di norme regionali sulla stabilizzazione in contrasto con i principi statali.
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Aspettativa medico estero: no se lede la libera circolazione
Un dirigente medico si è visto negare un periodo di aspettativa per un incarico in Francia a causa di esigenze organizzative della struttura sanitaria di appartenenza. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del diniego, stabilendo che la tutela della salute pubblica rappresenta un interesse generale prevalente che può giustificare una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori. Di conseguenza, anche la successiva decadenza dall'impiego del medico, per non aver ripreso servizio, è stata ritenuta legittima. Il caso chiarisce che il diritto all'aspettativa medico estero non è assoluto.
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Contribuzione dottorato: obblighi per dipendenti
Una docente in aspettativa per un dottorato di ricerca con borsa di studio ha richiesto al Ministero il versamento dei contributi previdenziali per tale periodo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo una distinzione fondamentale: l'obbligo di contribuzione dottorato per il datore di lavoro pubblico sussiste solo se il dottorato è senza borsa e il dipendente conserva il trattamento economico. In caso di dottorato con borsa, il dipendente riceve l'assegno dall'università e deve provvedere autonomamente all'iscrizione e al versamento dei contributi alla Gestione Separata INPS.
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Pensione reversibilità nipoti: prova vivenza a carico
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 14452/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un nipote per ottenere la pensione di reversibilità della nonna. La decisione sottolinea che, per la pensione reversibilità nipoti, non basta rientrare nelle categorie astrattamente previste dalla legge, ma è fondamentale fornire la prova concreta della 'vivenza a carico', ovvero della dipendenza economica dal defunto. Il ricorso è stato inoltre respinto per il principio della 'doppia conforme', avendo i primi due gradi di giudizio deciso allo stesso modo sulla base di una carenza probatoria.
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Nuova causa petendi: inammissibile in appello
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un erede che chiedeva la doppia annualità della pensione di reversibilità. La Corte ha stabilito che introdurre in appello una nuova causa petendi, basata sulla pretesa natura pubblica della pensione, costituisce una domanda inammissibile perché altera i fatti costitutivi del diritto e il tema della controversia.
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Pensione di reversibilità: no se manca la prova
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un figlio che chiedeva la pensione di reversibilità del padre. La decisione si fonda sulla mancata prova della vivenza a carico, ovvero della dipendenza economica dal genitore defunto. I giudici hanno ribadito che la Cassazione non può riesaminare nel merito le prove, soprattutto in presenza di una 'doppia conforme', cioè due sentenze di grado inferiore con lo stesso esito. La pronuncia sottolinea l'onere probatorio a carico di chi richiede la prestazione.
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Assegno straordinario: non è reddito cumulabile
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14447/2024, ha stabilito che l'assegno straordinario di sostegno al reddito, erogato dai fondi di solidarietà, ha natura di incentivo all'esodo e non costituisce reddito rilevante ai fini del cumulo con le prestazioni pensionistiche. Di conseguenza, l'INPS non può richiederne la restituzione (indebito previdenziale) qualora percepito insieme alla pensione. La Corte ha cassato la sentenza d'appello che aveva erroneamente qualificato tale assegno come reddito imponibile IRPEF, affermando che la sua tassazione separata, simile a quella del TFR, ne conferma la natura non reddituale ai fini del divieto di cumulo.
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Impugnazione inammissibile: le regole della Cassazione
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso degli eredi di un lavoratore bancario che chiedevano un inquadramento superiore e il risarcimento per demansionamento. La decisione si fonda su principi procedurali chiave: il divieto di riesaminare i fatti in sede di legittimità e la necessità di contestare tutte le autonome 'rationes decidendi' (ragioni della decisione) della sentenza impugnata. Il caso evidenzia come un'impugnazione inammissibile possa vanificare le pretese di merito.
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