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Diritto del Lavoro

Domanda riconvenzionale: quando viene assorbita?
Una società ottica licenzia una dirigente per concorrenza. La lavoratrice impugna il licenziamento, ma il suo ricorso viene rigettato. La Corte di Cassazione conferma la decisione, chiarendo che la domanda riconvenzionale subordinata della società è correttamente assorbita dal rigetto della domanda principale. Inoltre, dichiara inammissibile il ricorso della lavoratrice sulla tempestività della sanzione, ribadendo che la Cassazione non può riesaminare i fatti.
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Errore revocatorio: i limiti dell’impugnazione
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un lavoratore, chiarendo la distinzione tra errore revocatorio e omessa pronuncia. Il caso riguardava un licenziamento disciplinare e una successiva domanda di nullità del licenziamento, che la corte d'appello aveva prima dichiarato inammissibile per tardività e poi comunque respinto nel merito. La Cassazione ha stabilito che non sussiste errore revocatorio quando il giudice, pur dichiarando inammissibile una domanda, la esamina e la rigetta, dimostrando di non averla affatto ignorata.
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Inquadramento dipendente pubblico: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16082/2024, ha stabilito i principi per il corretto inquadramento del dipendente pubblico in caso di mobilità tra amministrazioni diverse. Il caso riguardava un lavoratore trasferito da un Comune a un'Agenzia Fiscale, al quale era stata assegnata una qualifica inferiore. La Corte ha rigettato il ricorso dell'amministrazione, confermando che il passaggio diretto è assimilabile a una cessione del contratto e deve garantire la conservazione della qualifica e del trattamento economico acquisiti, evitando ogni forma di dequalificazione.
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Responsabilità solidale appalto: surroga e regresso
Una società committente, costretta a versare i contributi INPS per un subappaltatore a causa della responsabilità solidale appalto, ha il diritto di recuperare l'intera somma versata. La Corte di Cassazione chiarisce che in questo caso si applica la surrogazione legale totale e non l'azione di regresso parziale, poiché la responsabilità del committente ha natura di garanzia rispetto all'obbligazione principale del subappaltatore-datore di lavoro.
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Prescrizione crediti lavoro: quando inizia a decorrere?
Un lavoratore ha ottenuto il riconoscimento di mansioni superiori. L'azienda ha contestato la richiesta di differenze retributive eccependo la prescrizione. La Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che la prescrizione crediti lavoro inizia a decorrere solo dalla cessazione del rapporto. Questa decisione si fonda sulla mancanza di un regime di stabilità reale del posto di lavoro dopo le riforme del 2012, che potrebbe indurre nel lavoratore un timore di ritorsione da parte del datore.
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Qualifica superiore: la Cassazione conferma il diritto
Un dipendente di una società di telecomunicazioni ha ottenuto il riconoscimento della qualifica superiore per le mansioni effettivamente svolte. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, respingendo il ricorso dell'azienda. L'ordinanza ribadisce anche un importante principio: la prescrizione dei crediti di lavoro, come le differenze retributive, decorre dalla fine del rapporto a causa della mancanza di stabilità introdotta dalle recenti riforme.
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Rinuncia progressione: ricorso inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un ente pubblico contro la sentenza che riconosceva a un dipendente il diritto alla progressione di carriera. Il lavoratore aveva manifestato la volontà di rinunciare alla progressione per partecipare a un corso di formazione, ma la rinuncia era condizionata al superamento del corso, cosa non avvenuta. Il ricorso dell'ente è stato giudicato inammissibile perché non ha impugnato tutte le autonome ragioni (rationes decidendi) su cui si fondava la decisione della Corte d'Appello e perché ha introdotto nuove questioni di fatto non esaminabili in sede di legittimità.
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Patto di stabilità: cumulo con indennità di licenzio
Un'azienda agricola recede da un contratto di lavoro che includeva un patto di stabilità quinquennale. La Corte di Cassazione conferma la decisione dei giudici di merito, stabilendo che la penale prevista dal patto per il recesso ingiustificato è cumulabile con l'indennità sostitutiva della reintegrazione dovuta per il licenziamento illegittimo. La sentenza chiarisce che il patto di stabilità offre una tutela rafforzata e autonoma, che si aggiunge a quella prevista dalla legge per il licenziamento.
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Valutazione complessiva addebiti: Cassazione chiarisce
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16065/2024, ha rigettato il ricorso di un'azienda sanitaria che aveva licenziato una dipendente per una serie di condotte disciplinari. La Corte ha stabilito che la valutazione complessiva degli addebiti, richiesta dal datore di lavoro, presuppone che ogni singolo fatto sia stato prima provato e giudicato disciplinarmente rilevante. Poiché i giudici di merito avevano escluso la sussistenza o la rilevanza delle singole contestazioni (insubordinazione, sottrazione di un farmaco, induzione a falsa testimonianza), non era possibile procedere a una valutazione unitaria che giustificasse il licenziamento, confermando così l'illegittimità del recesso.
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Licenziamento ingiurioso: quando spetta il danno?
Un lavoratore, il cui licenziamento era già stato dichiarato illegittimo, ha chiesto un ulteriore risarcimento sostenendo la natura ingiuriosa del recesso. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, chiarendo che per un licenziamento ingiurioso non basta l'illegittimità, ma occorre provare un 'quid pluris', ovvero specifiche modalità offensive o una pubblicità lesiva del provvedimento, prova che in questo caso non è stata fornita.
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Mansioni superiori: no paga extra senza posto in organico
Un operatore sanitario ha svolto per anni compiti dirigenziali, ma la Corte di Cassazione ha negato il suo diritto a una retribuzione maggiore per mansioni superiori. La ragione fondamentale è stata l'assenza di una corrispondente posizione dirigenziale nell'organigramma ufficiale dell'azienda ospedaliera. La Corte ha ribadito che, senza un posto formalmente istituito, non sorge alcun diritto a differenze retributive.
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Mansioni superiori: non basta la specializzazione
Un dipendente di un'azienda sanitaria, inquadrato in categoria D, svolgeva mansioni di micologo e chiedeva il riconoscimento delle mansioni superiori corrispondenti al livello economico DS. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16042/2024, ha annullato la decisione di merito favorevole al lavoratore. Ha chiarito che per ottenere il livello DS non è sufficiente la specializzazione o l'assunzione di responsabilità, ma è necessario provare un 'quid pluris': ampie funzioni di direzione, coordinamento e gestione di risorse, che nel caso specifico non erano state verificate.
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Inquadramento mobilità volontaria: il caso in Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un'amministrazione pubblica contro la sentenza che riconosceva a una dipendente, trasferita da un'università, il diritto a un corretto inquadramento nella mobilità volontaria. La decisione conferma che l'appello deve contestare specificamente la ratio decidendi della sentenza impugnata, in questo caso basata sulle tabelle di trasposizione dei CCNL, e non su principi generali di valutazione delle mansioni.
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Progressione verticale: quando il diritto è acquisito
Un lavoratore vince una selezione interna per una progressione verticale. L'Ente Pubblico si rifiuta di formalizzare il nuovo inquadramento, adducendo nuove normative e limiti finanziari. La Corte di Cassazione ha confermato il diritto del lavoratore, stabilendo che le leggi successive alla procedura non sono retroattive e che i presunti vincoli di bilancio devono essere concretamente provati dall'Amministrazione, non solo affermati.
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Contratto di solidarietà: quando è valido nel P.I.?
Un'amministrazione comunale, a fronte di difficoltà finanziarie, ha ridotto unilateralmente l'orario di lavoro dei propri dipendenti, stipulando in un secondo momento un contratto di solidarietà. La Corte di Cassazione ha dichiarato illegittima la procedura, stabilendo che l'eccedenza di personale deve essere individuata in specifiche posizioni lavorative e non in un generico monte ore. Inoltre, ha chiarito che il contratto di solidarietà non può sanare retroattivamente l'illegittimità della precedente riduzione unilaterale, potendo disporre solo per il futuro. La sentenza del giudice d'appello è stata quindi annullata con rinvio.
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Carta Docente precari: Sentenza riconosce il bonus
Il Tribunale di Monza ha riconosciuto il diritto di un insegnante con contratti a tempo determinato a ricevere il bonus della Carta Docente. La sentenza stabilisce che escludere i precari da questo beneficio costituisce una discriminazione vietata dalla normativa europea. L'amministrazione scolastica è stata condannata a erogare la somma di 1.500,00 euro per tre annualità scolastiche. La decisione si fonda sul principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato, disapplicando la legge nazionale in contrasto con la direttiva UE.
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Carta del docente a precari: la guida completa
Una docente precaria ha citato in giudizio l'Amministrazione scolastica per ottenere la carta del docente, il bonus annuale di 500 euro per la formazione. Il Tribunale, richiamando i principi di non discriminazione dell'UE e le sentenze della Cassazione, ha riconosciuto il diritto della ricorrente. Tuttavia, ha accolto la domanda solo per due dei quattro anni scolastici richiesti, dichiarando prescritti i diritti per i primi due anni a causa del decorso del termine di cinque anni. La sentenza conferma quindi che la carta del docente spetta ai supplenti annuali, ma sottolinea l'importanza di agire tempestivamente per non perdere il diritto.
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Carta del docente: spetta anche ai precari, ecco perché
Una docente con contratti a tempo determinato si è vista negare la Carta del docente. Il Tribunale di Monza ha accolto il suo ricorso, stabilendo che l'esclusione dei precari dal beneficio di 500 euro annui per la formazione è discriminatoria e contraria al diritto dell'Unione Europea. Di conseguenza, ha condannato l'Amministrazione a erogare le somme dovute per gli anni scolastici contestati.
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Rapporto di lavoro subordinato: onere della prova
Un gruppo di collaboratori di un ente pubblico ha chiesto il riconoscimento del loro rapporto di lavoro subordinato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La motivazione principale risiede nella genericità delle accuse dei lavoratori: non avendo fornito dettagli specifici e individuali sulle modalità di svolgimento delle loro mansioni (orari, luoghi, direttive), le prove presentate sono state ritenute irrilevanti. La sentenza sottolinea che per accertare un rapporto di lavoro subordinato è fondamentale un'allegazione fattuale precisa e puntuale.
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Inesistenza della notificazione: errore e decadenza
La Corte di Cassazione chiarisce la differenza tra nullità e inesistenza della notificazione. Un errore nell'individuazione del luogo di notifica, se imputabile al notificante e causa della mancata consegna, determina l'inesistenza dell'atto. Di conseguenza, l'appellante decade dal diritto di impugnare la sentenza, che passa in giudicato. Il caso analizzato riguarda una lavoratrice che, dopo aver perso in primo grado, ha tentato di notificare l'appello a un indirizzo errato, vedendosi così preclusa la possibilità di proseguire il giudizio.
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