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Diritto del Lavoro

Rinuncia al ricorso: quando si estingue il processo
La Corte di Cassazione ha dichiarato l'estinzione di un processo a seguito della rinuncia al ricorso da parte del ricorrente, accettata dalla controparte. La decisione chiarisce che, in caso di accettazione della rinuncia, non vi è condanna alle spese processuali e non si applica la sanzione del raddoppio del contributo unificato, delineando un importante strumento di definizione del contenzioso.
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Decadenza pubblico impiego: sì alla retribuzione
Un docente, dichiarato decaduto dal servizio per incompatibilità, si è visto negare le retribuzioni arretrate dalla Corte d'Appello, nonostante l'illegittimità del provvedimento. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando che la decadenza dal pubblico impiego, se illegittima, è equiparabile al licenziamento ingiustificato. Pertanto, si applica la tutela reintegratoria che prevede il risarcimento del danno, comprensivo delle retribuzioni perse, senza necessità per il lavoratore di una formale offerta della prestazione lavorativa.
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Revoca licenziamento: basta inviarla entro 15 giorni?
Una lavoratrice ha impugnato il licenziamento. Il datore di lavoro ha inviato la revoca entro il termine di 15 giorni, ma la dipendente l'ha ricevuta dopo la scadenza. La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della tempestività della revoca licenziamento, è sufficiente che l'atto sia spedito entro i 15 giorni, non essendo necessaria la ricezione nello stesso termine. La revoca è stata quindi ritenuta valida e il rapporto di lavoro ripristinato.
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Restituzione somme indebite: vale il principio del netto
Un ente previdenziale ha richiesto a un erede la restituzione di prestazioni pensionistiche indebitamente erogate al defunto, pretendendo l'importo lordo comprensivo delle ritenute fiscali. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell'ente, confermando un principio consolidato: la restituzione delle somme indebite deve essere calcolata sull'importo netto effettivamente percepito, poiché il percipiente non può essere tenuto a restituire somme, come le imposte, che non sono mai entrate nel suo patrimonio.
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Giudicato esterno: diritto all’assunzione confermato
La Corte di Cassazione ha affermato un principio cruciale in materia di pubblico impiego: una sentenza definitiva che riconosce il risarcimento del danno per ritardata assunzione crea un giudicato esterno sul diritto stesso all'assunzione. Nel caso di specie, una lavoratrice del settore sanitario si è vista riconoscere il diritto alla stabilizzazione poiché una precedente decisione, passata in giudicato, aveva già accertato l'illegittimità del ritardo con cui l'ente pubblico avrebbe dovuto assumerla, presupponendo quindi l'esistenza del diritto al posto di lavoro.
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Indebito pensionistico: quando va restituito?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16615/2024, ha chiarito le condizioni per la restituzione di un indebito pensionistico. Nel caso esaminato, un pensionato doveva restituire le somme percepite in eccesso sulla pensione di reversibilità a causa del mancato cumulo con una pensione estera. La Corte ha stabilito che, ai fini della ripetizione dell'indebito, non è dirimente il dolo del pensionato, ma la tempestività con cui l'ente previdenziale effettua la verifica reddituale e avvia l'azione di recupero, secondo i termini previsti dall'art. 13 della legge n. 412/1991.
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Falsa attestazione presenza: licenziamento legittimo
La Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di due dipendenti pubblici per falsa attestazione della presenza. La Corte ha ritenuto provato che un collega timbrasse il badge per loro, configurando una grave violazione del rapporto di fiducia che giustifica la massima sanzione espulsiva, respingendo le censure sulla ripartizione dell'onere della prova e sulla proporzionalità della sanzione.
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Pausa retribuita: quando spetta dopo un accordo?
Una società di corriere espresso aveva sospeso la retribuzione per la pausa giornaliera in base ad accordi sindacali temporanei, giustificati da una crisi economica. Alla scadenza di tali accordi, l'azienda non ha ripristinato il pagamento. La Corte di Cassazione ha confermato il diritto dei lavoratori alla pausa retribuita, stabilendo che gli accordi erano solo una deroga temporanea. La Corte ha chiarito che il pagamento della pausa prima degli accordi era prova sufficiente a dimostrare che il diritto era fondato sul contratto collettivo nazionale, e che tale diritto è tornato in vigore automaticamente alla scadenza degli accordi stessi.
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Contratti a termine agricoli: limiti e stagionalità
Un lavoratore ha citato in giudizio un ente pubblico agricolo per l'abuso nella reiterazione di contratti a tempo determinato. La Corte di Cassazione ha stabilito che la deroga che consente la successione di contratti a termine agricoli si applica unicamente alle attività genuinamente stagionali. Ha precisato che gli enti pubblici non sono classificabili come imprenditori agricoli e che mansioni continuative, come la manutenzione, richiedono un contratto a tempo indeterminato. La causa è stata rinviata alla Corte d'Appello per una nuova valutazione.
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Contratti a termine in agricoltura: i limiti alla deroga
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16612/2024, ha stabilito che un ente pubblico non può essere equiparato a un imprenditore agricolo e non può abusare della reiterazione di contratti a termine in agricoltura. La deroga che permette di superare i limiti di durata è valida solo per attività genuinamente stagionali e non per mansioni continuative come la manutenzione. L'onere di provare la natura stagionale del rapporto spetta sempre al datore di lavoro.
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Ripetibilità dell’indebito: la Cassazione decide
Un pensionato, dopo aver ricevuto somme dall'ente previdenziale in esecuzione di una sentenza di primo grado, si è visto riformare tale decisione in appello. L'ente ha quindi avviato il recupero delle somme, ritenuto legittimo dalla Corte di Cassazione. L'ordinanza chiarisce che la sentenza di riforma costituisce titolo per la restituzione, legittimando la ripetibilità dell'indebito anche tramite trattenute sulla pensione.
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Vittima del dovere: la vigilanza in infermeria
La Corte di Cassazione ha stabilito che un agente di polizia penitenziaria che contrae un'infermità durante la sorveglianza di detenuti in infermeria non rientra nella categoria di 'vittima del dovere' per vigilanza a infrastrutture. La Corte ha chiarito che il beneficio si applica solo alla vigilanza diretta dell'infrastruttura stessa, considerata intrinsecamente rischiosa, e non alle generiche attività svolte al suo interno.
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Contratti a termine agricoltura: no abusi stagionali
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16609/2024, ha stabilito che la deroga alla disciplina sui contratti a termine in agricoltura è applicabile solo per attività strettamente stagionali. Un ente pubblico non economico non può essere qualificato come imprenditore agricolo e non può abusare di contratti a termine per mansioni continuative come la manutenzione di macchinari. L'onere di provare la natura esclusivamente stagionale del rapporto di lavoro grava sul datore di lavoro. La sentenza di merito che aveva rigettato la domanda del lavoratore è stata cassata con rinvio.
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Qualificazione rapporto di lavoro: gli indici decisivi
Un'associazione sportiva dilettantistica è stata sanzionata per aver omesso le comunicazioni obbligatorie per tre collaboratori. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, che avevano riqualificato il rapporto come lavoro subordinato. La sentenza ribadisce l'importanza degli indici fattuali, come l'orario fisso e l'inserimento stabile nell'organizzazione, per la corretta qualificazione del rapporto di lavoro, a prescindere dal nomen iuris dato dalle parti.
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Inquadramento professionale: quando non spetta la qualifica
Un lavoratore ha richiesto un inquadramento professionale superiore e il risarcimento per demansionamento, ma la sua domanda è stata respinta sia in primo grado che in appello. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, rigettando il ricorso del lavoratore. La Suprema Corte ha stabilito che le mansioni svolte, di natura puramente esecutiva e prive di autonomia, non giustificavano la qualifica superiore. Inoltre, ha ribadito che non è possibile, in sede di legittimità, riesaminare le prove testimoniali già valutate dai giudici di merito, specialmente in caso di 'doppia conforme', ovvero due sentenze di merito con la stessa conclusione.
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Onere prova ferie: la Cassazione chiarisce i ruoli
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16603/2024, si è pronunciata su un caso riguardante la richiesta di un lavoratore per un inquadramento superiore e il pagamento dell'indennità per ferie non godute. Pur ribadendo il moderno principio secondo cui l'onere prova ferie spetta al datore di lavoro, che deve dimostrare di aver invitato il dipendente a usufruirne, la Corte ha respinto il ricorso. La decisione si fonda sull'accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, secondo cui il lavoratore non aveva inizialmente provato il mancato godimento delle ferie, condizione necessaria affinché l'onere si sposti sull'azienda.
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Cessazione materia del contendere: accordo e spese
Una nota società del settore lusso e una sua ex dipendente avevano un contenzioso relativo a un patto di non concorrenza. Dopo un ricorso in Cassazione da parte dell'azienda, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo. La Corte Suprema, prendendo atto dell'accordo, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, ponendo fine al giudizio e compensando le spese legali tra le parti.
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Compensazione spese legali: la novità della questione
Un lavoratore, dopo aver vinto una causa per il pagamento di indennità, si è visto compensare le spese legali in appello a causa della 'novità della questione'. Ha quindi fatto ricorso in Cassazione, sostenendo che la questione non fosse nuova. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando che la compensazione spese legali è legittima quando la giurisprudenza su un determinato argomento non è ancora consolidata, ma in fase di formazione, rendendo l'esito della lite oggettivamente incerto per le parti.
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Inquadramento superiore: quando spetta al lavoratore?
La Corte d'Appello ha riconosciuto il diritto all'inquadramento superiore a due operai addetti alla manutenzione, riformando la decisione di primo grado. Sulla base delle prove testimoniali, è stato dimostrato che le mansioni svolte, implicando l'uso di attrezzi meccanici e competenze specifiche acquisite sul campo, non corrispondevano a quelle di un operaio comune, bensì a quelle di un operaio qualificato. La sentenza ha quindi condannato il datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive.
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Lavoro subordinato mascherato: la decisione del giudice
Un centro estetico ha impugnato una sentenza che riconosceva un rapporto di lavoro subordinato con una collaboratrice, formalmente una social media manager. La Corte d'Appello ha respinto il ricorso, confermando l'esistenza del lavoro subordinato basandosi su prove come le chat di WhatsApp, che dimostravano compiti ben oltre il ruolo dichiarato (apertura del centro, gestione clienti, ricezione di direttive). La Corte ha quindi confermato il risarcimento per le differenze retributive calcolate secondo il CCNL di settore.
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