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Diritto Commerciale

Risoluzione consensuale agenzia: quando è valida?
La Corte di Cassazione ha stabilito che un contratto di agenzia può considerarsi sciolto per mutuo consenso basato su comportamenti concludenti, come la totale e prolungata inattività dell'agente e l'operato diretto della preponente. Questa risoluzione consensuale agenzia non richiede la forma scritta prevista per il recesso unilaterale e preclude il diritto dell'agente alle provvigioni indirette maturate dopo l'interruzione del rapporto.
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Termine essenziale: adempimento o condizione sospensiva?
Una società committente si rifiutava di pagare il corrispettivo per lo sviluppo di impianti fotovoltaici, sostenendo che il mancato rispetto di un termine essenziale per ottenere un'autorizzazione avesse reso il contratto inefficace. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione d'appello, chiarendo che il termine essenziale in questione non era una condizione sospensiva, ma un termine per l'adempimento. La Corte ha valorizzato il fatto che gran parte del lavoro era già stato svolto e che le parti avevano continuato a collaborare anche dopo la scadenza, dimostrando la volontà di portare a termine il progetto.
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Risoluzione consensuale: fine contratto agenzia tacito
La Corte di Cassazione ha stabilito che un contratto di agenzia può considerarsi terminato per risoluzione consensuale anche in assenza di una comunicazione scritta, basandosi sui comportamenti concludenti delle parti. Nel caso specifico, la prolungata inattività dell'agente e l'operato diretto del preponente nella zona di esclusiva, senza reciproche contestazioni per oltre due anni, sono stati ritenuti sufficienti a manifestare la volontà comune di sciogliere il rapporto. Di conseguenza, è stato negato all'agente il diritto di accedere alla documentazione contabile del preponente per il periodo successivo alla cessazione del contratto, non avendo dimostrato un interesse concreto legato a provvigioni post-contrattuali.
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Prova del vizio: onere del committente e limiti del CTU
In una causa per vizi su una fornitura di componenti industriali, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione d'appello, rigettando le pretese del committente. Il motivo centrale è la mancata prova del vizio, poiché la perizia tecnica era stata condotta su prodotti simili e non sugli originali contestati, che il committente non aveva messo a disposizione. La Corte ha ribadito che l'onere di fornire la prova del vizio grava interamente sul committente e che la valutazione delle risultanze peritali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizi logici.
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Onere probatorio: il giudice non può negare le prove
Una società edile si è vista negare il pagamento per lavori eseguiti, con la controparte che sosteneva di aver già pagato un subappaltatore. La società ricorrente ha affermato che il subappaltatore fosse un intermediario fittizio, ma le sue richieste di prove per dimostrarlo sono state respinte. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, sottolineando che il giudice non può negare l'ammissione di prove cruciali senza una motivazione adeguata. Tale diniego viola il principio dell'onere probatorio e il diritto a un giusto processo.
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Clausola statutaria S.r.l.: recesso e lavoro
Alcuni soci di minoranza, ex dirigenti di una società del gruppo, hanno impugnato una clausola statutaria S.r.l. che li obbligava a cedere le proprie quote al valore di patrimonio netto al momento della cessazione del rapporto di lavoro. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la piena validità della clausola. Ha chiarito che non si tratta di un'ipotesi di esclusione del socio, ma di una legittima causa convenzionale di recesso obbligatorio, legata al venir meno di un requisito soggettivo previsto dallo statuto stesso (il rapporto di lavoro), e non necessita di una delibera assembleare.
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Travisamento della prova: quando il giudice sbaglia
La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d'Appello per travisamento della prova. Il giudice di secondo grado aveva revocato un decreto ingiuntivo basando la sua decisione su una modalità di pagamento (assegno) mai affermata dalla parte debitrice, la quale aveva sempre sostenuto di aver pagato in contanti. La Suprema Corte ha chiarito che ignorare o alterare il contenuto oggettivo di un atto processuale costituisce un vizio che porta alla cassazione della sentenza.
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Regolamento di competenza: quando è inammissibile?
Un Tribunale solleva un regolamento di competenza ritenendosi incompetente in una causa riassunta da un Giudice di Pace. La Cassazione lo dichiara inammissibile perché sollevato tardivamente, oltre la prima udienza, e perché la competenza per valore, una volta decisa, non può essere più contestata.
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Risoluzione concordato preventivo: quando è possibile?
La Corte di Cassazione conferma la risoluzione di un concordato preventivo di una società. La decisione si basa sulla constatazione che i beni liquidati erano insufficienti a soddisfare integralmente i creditori privilegiati e, a maggior ragione, quelli chirografari. Secondo la Corte, la risoluzione del concordato preventivo è legittima quando viene meno la sua funzione essenziale, ovvero garantire una sia pur minima soddisfazione ai creditori, integrando un grave inadempimento.
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Assegno come promessa di pagamento: la Cassazione
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18831/2024, ha stabilito che un assegno bancario, anche se privo di data e non consegnato volontariamente, costituisce un valido assegno come promessa di pagamento. Un imprenditore aveva emesso un assegno sostenendo fosse solo un 'promemoria' e ne aveva denunciato lo smarrimento. La società beneficiaria, entrata in possesso del titolo, ha ottenuto un decreto ingiuntivo. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell'imprenditore, chiarendo che una volta compilato con il nome del beneficiario, l'assegno incorpora la promessa. Spetta all'emittente provare non la semplice mancata consegna, ma che la circolazione sia avvenuta contro la sua volontà, prova che la sola denuncia di smarrimento non fornisce.
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Estinzione del giudizio: accordo e rinuncia al ricorso
Una società in liquidazione rinuncia al ricorso in Cassazione contro una cooperativa dopo aver raggiunto un accordo transattivo. La Corte Suprema dichiara l'estinzione del giudizio e compensa integralmente le spese legali tra le parti, riconoscendo la cessazione della materia del contendere.
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Prova del credito: onere e poteri del giudice
Una società di servizi si è vista rigettare la domanda di ammissione di un credito nei confronti di un'impresa in amministrazione straordinaria. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, ribadendo che la prova del credito, ossia la dimostrazione della completa esecuzione della prestazione, spetta interamente al creditore. La Corte ha inoltre chiarito che il giudice fallimentare ha il potere-dovere di verificare d'ufficio la fondatezza del credito, anche in assenza di una specifica contestazione da parte degli organi della procedura.
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Compenso professionale: quando spetta se il lavoro è negligente?
La Corte di Cassazione ha confermato il rigetto della richiesta di compenso professionale avanzata da un'associazione di professionisti per l'attività di attestazione di un concordato preventivo. La decisione si fonda sulla grave negligenza e sull'inadeguatezza della prestazione, che ha reso la proposta di concordato irrealizzabile e inutile per la società cliente, poi fallita. Secondo la Corte, un inadempimento così significativo giustifica il rifiuto del pagamento da parte del curatore fallimentare.
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Recesso gravi motivi: quando l’azienda può andarsene?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18759/2024, ha confermato la legittimità del recesso per gravi motivi da un contratto di locazione commerciale da parte di una società conduttrice. La causa del recesso era una significativa crescita del personale, che ha reso l'immobile inadeguato. La Corte ha stabilito che tale espansione, se imprevista e tale da rendere la prosecuzione del rapporto eccessivamente gravosa, costituisce un valido motivo per la risoluzione anticipata, respingendo il ricorso del locatore che contestava la prevedibilità dell'evento e chiedeva un riesame dei fatti, compito non spettante al giudice di legittimità.
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Marchio decettivo: priorità d’uso non giustifica l’uso
In una complessa vicenda sulla tutela di un marchio conteso tra un produttore americano e uno boemo, la Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale: il diritto di priorità d'uso ("preuso") non legittima l'utilizzo di un marchio se questo è stato giudicato decettivo. L'uso di un marchio decettivo è un atto illecito che può costituire contraffazione dei marchi validamente registrati da terzi. La sentenza chiarisce che la protezione del consumatore dall'inganno prevale sul diritto di preuso, affermando che quest'ultimo non può essere esercitato in modo illecito.
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Giurisdizione acque pubbliche: TSAP decide su energia
Due società energetiche hanno contestato l'obbligo di fornire energia gratuita imposto da una delibera regionale. La Corte di Cassazione ha stabilito la giurisdizione acque pubbliche del Tribunale Superiore (TSAP) e non del Tribunale Regionale (TRAP), poiché l'azione mirava a contestare un atto amministrativo generale e discrezionale, configurando un interesse legittimo e non un diritto soggettivo.
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Affidamento in house: requisiti e legittimità
Una società, precedente gestore del servizio idrico, ha impugnato la decisione di un Ente di Governo d'Ambito di procedere a un affidamento in house a una nuova società interamente pubblica. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha rigettato il ricorso, confermando la legittimità della scelta. La sentenza chiarisce che l'obbligo di motivazione è attenuato per il settore idrico, che il "controllo analogo" può essere esercitato congiuntamente anche in modo non paritario e che la partecipazione di tutti gli enti locali può avvenire progressivamente.
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Borderò non contestati: la prova del credito
Una società concessionaria di giochi otteneva un'ingiunzione di pagamento contro una ricevitoria basata su documenti contabili elettronici, i "borderò". La ricevitoria si opponeva, ma la sua contestazione veniva respinta in tutti i gradi di giudizio. La Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha confermato che i borderò non contestati tempestivamente, come previsto dal contratto, costituiscono piena prova del credito. L'onere di dimostrare l'impossibilità di visionare tali documenti, resi disponibili online, ricade sul debitore e non sul creditore. Le contestazioni tardive sono state ritenute inammissibili.
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Compenso professionista: quando l’errore lo annulla
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di negare il compenso a una professionista incaricata di redigere la relazione per un concordato preventivo. A causa di gravi carenze, illogicità e incoerenze nel suo operato, la proposta di concordato è stata dichiarata inammissibile e la società è fallita. La Corte ha stabilito che il curatore fallimentare può legittimamente rifiutare il pagamento del compenso professionista sollevando l'eccezione di inadempimento, poiché la prestazione resa era del tutto inadeguata e inutile al raggiungimento dello scopo.
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Responsabilità avvocato concordato: compenso negato
Un professionista ha richiesto il pagamento per l'assistenza fornita a una società in una procedura di concordato preventivo. La sua richiesta è stata respinta a tutti i livelli di giudizio, inclusa la Corte di Cassazione. La Corte ha confermato la grave negligenza del legale, il quale aveva redatto un piano di concordato non conforme alla legge, omettendo il calcolo degli interessi sui crediti privilegiati. Tale errore ha reso la sua prestazione professionalmente inutile, legittimando il curatore fallimentare a rifiutare il pagamento tramite l'eccezione di inadempimento. Il caso sottolinea la profonda responsabilità dell'avvocato nel concordato.
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