La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un sequestro preventivo di un complesso immobiliare, disposto nell’ambito di un’indagine per turbata libertà degli incanti. L’indagato, pur essendo inabilitato a partecipare ad aste, avrebbe utilizzato società prestanome per aggiudicarsi un bene. La Suprema Corte ha ritenuto sussistenti gli indizi di reato (‘fumus commissi delicti’), ma ha annullato l’ordinanza di sequestro per un vizio di motivazione. Il Tribunale del riesame, infatti, non aveva adeguatamente dimostrato l’esistenza di un pericolo concreto e attuale (‘periculum in mora’) che giustificasse la misura cautelare, limitandosi a un’affermazione generica. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame sul punto.
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