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Rito del lavoro, onere di contestazione tempestiva

Rito del lavoro, l’onere di contestazione tempestiva deriva da tutto il sistema processuale.

Pubblicato il 23 January 2023 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

CORTE DI APPELLO di ROMA

IV Sezione Lavoro La Corte composta dai signori magistrati:

All’udienza del 20/12/2022 nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3260/2020 del Ruolo Generale degli affari contenziosi e vertente tra

XXX, con l’avv., come da procura in atti, appellante e

YYY S.P.A. in persona del legale rappresentante p.t., con l’avv.

ha pronunziato la presente

SENTENZA n. 5108/2022 pubblicata il 04/01/2023

Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 2703/2020 del 29/05/2020

Conclusioni delle parti: come in atti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro depositato il 30.12.2016, XXX esponeva di essere stato assunto in data 2.11.2015 alle dipendenze di YYY SPA con contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento del profilo professionale B, posizione retributiva B3, figura professionale di Capo Treno/Capo Servizi Treno di cui al CCNL. Rilevava che, all’esito di visita del medico aziendale del 21.1.2016, era stato dichiarato temporaneamente inidoneo alle mansioni e adibito ad attività di biglietteria. All’esito di due visite psichiatriche disposte dalla società in data 25.2.2016 e 2.3.2016, il medico aziendale, con certificato del 7.3.2016, lo aveva dichiarato non in possesso dei requisiti previsti per le mansioni di Capo Treno/Capo Servizi Treno. L’inidoneità fisica definitiva era stata accertata dalla direzione sanitaria aziendale in data 8.6.2016 e la società convenuta, con lettera del 13.6.2016, gli aveva intimato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Svolte articolate considerazioni sull’insussistenza del dedotto motivo di recesso e sull’inosservanza dell’obbligo di repechage, concludeva chiedendo: “In via principale, accertare e dichiarare l’illegittimità del licenziamento comminato al ricorrente da YYY S.p.A. perché privo di giustificato motivo e, per l’effetto, annullare il predetto licenziamento ed ordinare alla YYY S.p.A. l’immediato ripristino del rapporto di lavoro, reintegrando il ricorrente nella medesima posizione lavorativa e nelle identiche mansioni da lui precedentemente ricoperte o in altre equivalenti, o comunque compatibili con il suo stato di salute, ai sensi dell’art. 2, commi 2 e 4, D.lgs. n. 23/2015, condannando, contestualmente, la parte convenuta al pagamento in favore del ricorrente di un’indennità risarcitoria equiparata alla retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto dal licenziamento sino alla data di effettiva reintegrazione, da corrispondersi nella misura ammontante a €. 1.811,84 mensili, o nella diversa misura ritenuta di giustizia, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per lo stesso periodo, secondo quanto previsto dalla legge e dal CCNL di categoria;

2) in via subordinata, dichiarare risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 3, comma 1, D.lgs. n. 23/2015, al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva nella misura massima di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto ammontante a €. 1.811,84 mensili, o nella diversa misura ritenuta di giustizia;

3) determinare, in ogni caso, il maggior danno subito dalla ricorrente per effetto della svalutazione monetaria e conseguentemente condannare la resistente al pagamento degli importi relativi dal dì della maturazione del diritto, oltre gli interessi legali sulle somme via, via rivalutate, a norma degli art. 429 c.p.c. e 150 disp. att. c.p.c..

Con vittoria di spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio, oltre Iva, Cap e rimborso forfettario al 15%, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario”. Si costituiva la società convenuta resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto. In particolare evidenziava le responsabilità in materia di sicurezza connesse alle mansioni di Capo Treno e la correttezza degli esiti delle valutazioni mediche delle competenti strutture aziendali. Quanto al repechage evidenziava che, essendo stato il lavoratore assunto con contratto di apprendistato, l’impossibilità della sua utilizzazione nelle mansioni previste dal contratto determinava il venir meno della causa contrattuale.

All’esito delle due disposte CTU medico legali, il Tribunale con la sentenza indicata in epigrafe respingeva il ricorso, condannando il lavoratore al pagamento delle spese processuali e di CTU. Il Tribunale, rilevata la nullità della prima CTU, condivideva gli esiti della successiva CTU secondo cui né al momento del licenziamento né al momento attuale il lavoratore aveva i requisiti di idoneità psichica per lo svolgimento delle mansioni di Capo Treno. Osservava inoltre che, essendo il lavoratore assunto con contratto di apprendistato professionalizzante per l’acquisizione della qualifica di capo treno, non poteva essere utilizzato in diverse mansioni eventualmente compatibili con suo stato di salute.

Avverso tale sentenza ha proposto tempestivo appello XXX lamentando l’erronea valutazione delle risultanze della CTU, in quanto contrastanti con la documentazione prodotta in atti dalla quale non emergeva alcuna patologia sofferta dal lavoratore e censurando le statuizioni sull’insussistenza dell’obbligo di repechage, tanto più che il lavoratore era già stato adibito nel periodo di provvisoria inidoneità alle mansioni di capotreno, a quelle di addetto alla biglietteria.

Si è costituita la società appellata, resistendo al gravame e chiedendone il rigetto.

Disposta nuova consulenza d’ufficio medico legale, all’udienza del 20 dicembre 2022 la causa è stata decisa come da separato dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello è in parte fondato e meritevole di accoglimento nei termini che seguono. Secondo le risultanze della CTU disposta da questa Corte che, oltre ad essere conformi a quella espletata dal Tribunale, sono fondate su una accorta disamina della documentazione prodotta in atti ed effettuate in applicazione di principi medici e scientifici supportati da specifici studi di riscontro, Leonardo Adriani, all’epoca dei fatti (giugno 2016) era affetto da “Disturbo del comportamento di probabile origine BIPOLARE NAS” in trattamento con acido valproico e aripiprazolo in fase di remissione. Secondo il CTU “l’appellante, a causa delle sue condizioni di salute e per la sussistenza di un rischio di recidiva, intrinseco alla patologia psichiatrica stessa e non trascurabile dal punto di vista medico-scientifico e statistico, era da valutare inidoneo allo svolgimento di Capo Treno/Capo Servizi Treno”. Invero, come esplicitato da CTU anche mediante richiami alla letteratura medica e scientifica, “il disturbo patito dall’Adriani, seppur in trattamento, presentava, all’epoca, un rischio di ricaduta mai vicino o uguale allo zero e pertanto, per le caratteristiche intrinseche di instabilità della patologia stessa e delle sue peculiari manifestazioni comportamentali, sempre in riferimento alle fasi di recidiva/acuzie improvvise, poneva in essere elementi di incompatibilità per la posizione di capotreno”.

Tali risultanze non sono state oggetto di specifici rilevi delle parti. Premesso che i CTP di parte appellata hanno pienamente condiviso gli esiti della CTU, osserva la Corte che l’appellante, nelle osservazioni formulate alla bozza dell’elaborato peritale, si è limitato a chiedere la valutazione dell’idoneità dell’Adriani allo svolgimento di altre mansioni, quali quelle di ufficio e/o back office, tenuto conto del percorso terapeutico nel frattempo seguito dal lavoratore presso il Reparto di Igiene Mentale della ASL RM G di Tivoli, “come da cartella clinica trasmessa al CTU in data 28 settembre 2022”. In realtà, per come chiarito dal CTU nelle risposte alle osservazioni formulate dall’appellante, la documentazione trasmessa successivamente all’epoca di invio della bozza peritale (16.09.22), “… riguarda non le cartelle cliniche dell’ambulatorio del Centro di Salute Mentale di afferenza del soggetto, da me richieste (e autorizzate), ma l’accesso in Pronto Soccorso dell’Adriani al Policlinico Umberto I di Roma a seguito del sinistro stradale del 27/1/2016. Solo successivamente a detto ricovero il soggetto era trasferito presso il Presidio Ospedaliero “S Giovanni Evangelista” di Tivoli. Di detto percorso di cure, tuttavia, l’Avvocato documenta soltanto due certificati (datati 1/2/2016 e 8/2/2016), privi di diagnosi, in cui si fa riferimento unicamente ai periodi di ricovero. Tale documentazione, al di là del fatto che in parte non è stata autorizzata, non fornendo elementi di giudizio, non è utile ai fini della presente valutazione in quanto non permette di definire in maniera precisa il percorso di cura psichiatrico effettuato dall’Adriani negli ultimi anni. Vale la pena comunque di segnalare, a mero titolo di conferma di quanto asserito in perizia, che la consulenza psichiatrica effettuata in sede di PS, confermava l’esistenza di un quadro clinico assimilabile a quello posto nella diagnosi medico-legale del presente accertamento”. Dunque, sebbene questa Corte, con ordinanza del 18.7.2022, avesse autorizzato l’acquisizione della cartella clinica del Centro di Salute Mentale della ASL ove il lavoratore è in cura, tale documentazione non è stata prodotta dalla parte e pertanto non può costituire oggetto di valutazione da parte del nominato CTU. Per tacer del fatto che parte appellante ne ha chiesto l’acquisizione senza nulla precisare sulla rilevanza di tale documentazione e sulle circostanze che dalla stessa sarebbero potute emergere per determinare un diverso esito della valutazione medico legale.

Quanto ai rilievi relativi alla violazione dell’obbligo di repechage, secondo la S.C. l’impossibilità di utilizzazione del lavoratore in apprendistato va valutata con riferimento a mansioni equivalenti e con riferimento a condizioni ambientali compatibili con il suo stato di salute, nonché a condizioni lavorative per le quali sia configurabile un rapporto di apprendistato e che prevedano la presenza di personale che possa fornire la necessaria formazione all’apprendista (vd. Cass. Sentenza n. 4920 del 03/03/2014). Tale impossibilità deve essere provata dal datore di lavoro, rappresentando uno degli elementi che costituiscono il presupposto di fatto ed il requisito giuridico per la legittimità del licenziamento disposto per inidoneità lavorativa.

Nell’originario ricorso introduttivo il lavoratore aveva manifestato la propria disponibilità ad espletare mansioni diverse ed inferiori rispetto a quelle per le quali era stato assunto come apprendista (cap. K, pag. 4, dell’originario ricorso), assumendo di poter essere adibito a servizi di ufficio riconducibili al livello B ovvero all’inferiore livello C ed evidenziando come, durante gli accertamenti sanitari relativi all’idoneità alla mansione, era stato impiegato nelle mansioni di biglietteria (cap. 2, pag. 8 dell’originario ricorso).

A fronte di tale specifica allegazione la società nell’originaria memoria difensiva non contestava l’idoneità del lavoratore all’espletamento delle suddette mansioni, né eccepiva la impossibilità (per condizioni ambientali ovvero condizioni lavorative che avrebbero reso non configurabile un rapporto di apprendistato) di ricollocazione del lavoratore in apprendistato nell’ambito delle diverse mansioni indicate dall’Adriani, ma si limitava a rilevare che, essendo stato egli stato assunto con contratto di apprendistato per la formazione nella qualifica di Capotreno/Capo Servizi Treno, l’impossibilità di utilizzarlo nelle relative mansioni determinava il venir meno della causa contrattuale.

Nel rito del lavoro “l’onere di contestazione tempestiva non è desumibile solo dagli artt. 166 e 416, cod. proc. civ., ma deriva da tutto il sistema processuale come risulta: dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena; dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost.. Conseguentemente, ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto, potendo trattarsi di un fatto la cui esistenza incide sull’andamento del processo e non sulla pretesa in esso azionata” (Cass. 12636/2005). Dunque, la mancata contestazione dell’idoneità del lavoratore alle diverse mansioni indicate nell’originario ricorso introduttivo (peraltro espletate durante gli accertamenti medici aziendali della idoneità) e della possibilità di continuare il rapporto di apprendistato per il conseguimento di una diversa qualifica professionale deve ritenersi pacifica.

Ne consegue l’irrilevanza dell’accertamento medico legale dell’idoneità del ricorrente alle diverse mansioni prospettate nell’originario ricorso, essendo incontestata la possibilità di adibizione dello stesso a tali compiti, con conseguente violazione dell’obbligo di repechage.

La sussistenza della inidoneità psichica del lavoratore alle mansioni previste nel contratto di apprendistato determina l’inapplicabilità della tutela reintegratoria prevista dall’art. 2 del D.Lgs 23/2015. Infatti, le risultanze della CTU, che appare esauriente e persuasiva, perché coerente con la documentazione clinica acquisita e redatta secondo ineccepibili valutazioni tecniche ed in base ad un approfondito esame clinico del periziando corredato dalle indagini specialistiche necessarie, consentono di escludere che l’Adriani fosse idoneo alle mansioni di capo treno, talché la società appellante avrebbe dovuto allegare e dimostrare l’impossibilità di reimpiegarlo con contratto di apprendistato in altre mansioni. La violazione dell’obbligo di repechage determina l’applicazione la tutela indennitaria di cui all’art. 3 del citato D.Lgs, con conseguente estinzione del rapporto di lavoro e condanna della società appellata al pagamento di una indennità che deve essere determinata secondo i criteri individuati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018, che ha eliminato il computo proporzionale della indennità in misura predeterminata per ogni anno di servizio, lasciando invariati i limiti minimi e massimi e ha indicando i criteri di quantificazione da utilizzare richiamando quelli previsti per la tutela obbligatoria. Nel caso in esame, considerata la brevissima durata del rapporto, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto e nonostante le rilevanti dimensioni aziendali, l’indennità va limitata a 6 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, da individuarsi nella misura indicata nell’originario ricorso introduttivo, mai contestata dalla società.

L’esito complessivo del giudizio e la parziale soccombenza reciproca determinano la compensazione per metà delle spese processuali fra le parti, liquidate per l’intero nella misura di cui in dispositivo, così determinata in applicazione dei criteri previsti dal D.M. 147/2022, mentre la restante metà va posta a carico della società appellata, con attribuzione al procuratore antistatario.

Ance le spese di CTU, per come già liquidate in primo grado e nel presente grado come da separati decreti, vanno poste a carico delle parti in solido nei confronti del CTU e in misura di metà ciascuna nei rapporti fra le parti.

P.Q.M.

In riforma della gravata sentenza, così provvede:

dichiara l’illegittimità del licenziamento intimato all’appellante con lettera del 13.6.2016; dichiara risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento; condanna la società appellata al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata a sei mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (€ 1.811,84), oltre accessori; condanna la società appellata al pagamento della metà delle spese processuali che liquida per l’intero quanto al primo grado in € 6.500,00 e quanto all’appello in € 7.000,00 oltre rimborso spese forfettario in misura pari al 15%, IVA e CPA come per legge, da distrarsi e compensa fra le parti la restante metà;

pone le spese di CTU, come già liquidate dal Tribunale e come liquidate con separato decreto da questa Corte, a carico di entrambe le parti in solido nei confronti del CTU e in misura di metà ciascuna nei rapporti fra loro.

Così deciso in Roma, il 20/12/2022

Il Consigliere estensore Il Presidente

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