fbpx
Generic filters
Parola esatta ...
Cerca nei titolo
Search in excerpt
Filtra per categoria
Codice Civile
Codice Penale

Petizione ereditaria, contestazione qualità di erede

Qualora il convenuto non contesti la qualità di erede dell’attore l’azione di petizione ereditaria non si trasforma in azione di rivendicazione.

Pubblicato il 05 October 2021 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
IL TRIBUNALE DI PATTI

in persona del giudice Dr.ssa, ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 705/2021 pubblicata il 01/10/2021

nella causa civile iscritta al n. 100384/2007 vertente tra:

XXX, nella qualità di erede della sig.ra ***, YYY, nella qualità di erede della sig.ra ***, entrambi elettivamente domiciliati in;

ATTORI  contro

ZZZ, nato a;

KKK srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in;

JJJ, nato a;

RRR, nato, PPP, nata e SSS, nato;

 CONVENUTI

Oggetto: petizione di eredità e nullità atti di compravendita

Conclusioni di parte attrice: “1) dichiarare aperta la successione di ***, nato a New York. 2) Ritenere e dichiarare che le attrici sono pure eredi ex lege di *** e, conseguentemente, attribuire alle stesse la quota di eredità loro spettante per legge. 3) Disporre sequestro giudiziario di tutti i beni caduti in successione, compresi quelli oggetto di trasferimento da parte di persona priva dei relativi poteri. 4) Ritenere e dichiarare la nullità, relativamente alla quota di proprietà di ***, dei seguenti atti di alienazione: a) atto in notar con il quale ***, in proprio e quale procuratrice del fratello *** ha venduto ai coniugi RRR e PPP un terreno edificabile sito in, in catasto art., trascritto il 13.10.1994 ai nn.; b) atto in not. del 25.5.1995 con il quale ***, in proprio e quale procuratrice del fratello ***, ha venduto a, in Catasto art. f. pat., trascritto il; c) atto in not. del con il quale ***, in proprio e quale unica erede di *** ha venduto a JJJ un terreno edificabile sito in; d) atto in not. del con il quale ***, in proprio e quale unica erede di *** ha venduto alla KKK S.r.l. un terreno edificabile sito in; 5) Conseguentemente, attribuire alla massa ereditaria tutti i beni oggetto di tali atti di compravendita; 6) Condannare il convenuto ZZZ al risarcimento di tutti i danni subiti dalle attrici in conseguenza dell’illegittimo comportamento di *** sua dante causa, nella misura che sarà determinata nel corso del giudizio; 7) Condannare il predetto convenuto alle spese, competenze ed onorari del giudizio, oltre IVA e CPA.”;

Conclusioni per ZZZ, RRR, PPP, SSS:

“precisa le proprie conclusioni insistendo in tutte le domande, eccezioni e difese formulate nei propri atti difensivi”.

Conclusioni per KKK srl: “Si insiste in tutto quanto detto e richiesto in atti e verbali di causa, contestando tutto quanto detto da controparte perché infondato in fatto e  diritto. Si precisano le conclusioni riportandosi a tutto quanto detto, dedotto e richiesto in corso di causa e negli scritti difensivi da intendersi qui riportati e trascritto”

Conclusioni per JJJ: Come da atti e verbali di causa

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione regolarmente notificato *** e *** convenivano in giudizio ZZZ, quale erede di ***, nonché JJJ, RRR, Cangemi Carmela, SSS e la KKK srl, tutti quali possessori dei beni ereditari del fratello delle attrici,  ***, per sentire dichiarare la loro qualità di eredi di ***, con assegnazione della quota di eredità loro spettante per legge sui beni immobili di cui all’atto di citazione, che la dante causa di ZZZ, si era fatta lecita trasferire agli odierni convenuti, quale procuratrice speciale del fratello ***, durante la vita di questi e quale unica erede, alla morte dello stesso.

Deducevano le attrici che gli atti di trasferimento per atto pubblico posti in essere da ***, specificamente indicati in citazione e relativi ai seguenti beni: terreno edificabile sito in, terreno edificabile sito in, terreno edificabile sito in ed il terreno edificabile siti in, dovevano considerarsi nulli per la quota di eredità loro spettante ex legge, con condanna del convenuto ZZZ al risarcimento del danno.

Si costituiva ZZZ il quale eccepiva la prescrizione dell’azione intrapresa dalle originarie attrici, contestava l’incapacità di *** a rilasciare procura alla sorella ***, non essendo in grado di intendere e volere e rilevava la sussistenza del diritto di accrescimento della quota della propria dante causa al momento del decesso del fratello ***.

Si costituivano i sig. RRR, PPP e SSS, quali acquirenti e possessori del terreno sito in, contestando gli assunti attorei in ordine alla nullità dell’atto di trasferimento del detto bene, in ragione dell’assenza di un atto e/o di una prova certa che abbia mai attestato l’incapacità del *** di rilasciare procura speciale alla sorella, a fronte di atti pubblici aventi fede privilegiata, e chiedevano in via riconvenzionale e solo nel caso in cui il detto accertamento fosse avvenuto in corso di causa, la condanna del ZZZ al risarcimento del danno loro prodotto, dall’atto ritenuto illegittimo, posto in essere dalla dante causa ***.

Si costituiva JJJ il quale contestava la sussistenza dell’eccepita nullità dell’atto nel quale era intervenuto quale acquirente del terreno edificabile sito in, atteso che ***, aveva agito anche in proprio e non solo quale unica erede del fratello ***. In tale  fattispecie il trasferimento si inquadra come vendita solo parzialmente di bene altrui, per la quale l’acquirente avrebbe comunque dovuto essere garantito ex art. 1484 c.c..

Si costituiva infine la KKK srl, la quale rilevava l’acquisto in buona fede del terzo da chi appariva proprietario del bene stesso,  l’infondatezza della domanda attorea per l’intervenuto accrescimento della quota in favore di ***, in virtù delle disposizioni testamentarie del padre *** e nel caso di accoglimento della domanda delle attrici, formulava domanda riconvenzionale, nei confronti del convenuto ZZZ, per la restituzione del prezzo pagato, oltre ai frutti ed alle spese sostenute, e nei  confronti delle attrici stesse per i danni subiti a seguito delle apportate migliorie.

La causa istruita con la solo consulenza tecnica d’ufficio all’udienza e sulle conclusioni in epigrafe veniva trattenuta in decisione previa concessione dei termini di legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda attorea è fondata solo in parte ed in tale limite può accolta.

Tale domanda è stata correttamente qualificata con l’ordinanza del 17.10.2011 quale azione di petitio hereditatis con conseguente azione recuperatoria della quota sui beni immobili specificamente indicati in citazione e riportati in fatto.

Le atrici per potere recuperare la quota di loro spettanza sui beni facenti parte dell’asse ereditario hanno chiesto tra le altre domande la dichiarazione di nullità anche di due atti di vendita, nei quali ***, dante causa di ZZZ, è intervenuta quale procuratrice speciale del fratello *** e nello specifico gli atti di compravendita del 25.5.1995 e del 30.9.1994.

Rispetto a tale ultima domanda il contraddittorio con l’erede del preteso procuratore, ***, risulta integrato, atteso che unico erede della stessa è il convenuto ZZZ (cfr testamento 12.4.1994 nel quale *** dichiara di nominare suo erede universale  il nipote, figlio della sorella ***, a nome ZZZ).

Su tale domanda nella è stata dedotta l’impossibilità di *** di rilasciare valida procura speciale alla sorella, essendo incapace di porre in essere un simile atto, va osservato, tuttavia, quanto segue.

Secondo l’insegnamento della Suprema Corte, spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (v. Cass. 27-10-2010 n. 21961; Cass. 13-11-2009 n. 24028; Cass. 2-4-2009 n. 8023; Cass. 11-5-2007 n. 10847; Cass. 4-3- 2005 n. 4743).

Nel caso di specie, questo giudicante nella valutazione degli elementi offerti da parte attrice, a fronte della contestazione di controparte, deve, giungere alla conclusione della sussistenza di uno stato di demenza grave, tale da determinare la conseguente incapacità naturale di *** al rilascio delle procure oggetto del presente giudizio.

Sulla base delle certificazioni prodotte, nella quali veniva riferito uno stato di comprovata deficienza mentale (cfr ordine di certificazione 25.6.1954), nonchè di ritardo mentale con incapacità di prendere decisioni (cfr dichiarazione 9.1.20221 proveniente dal medico che aveva in cura il ***), non appare irragionevole ritenere l’utilità e la significatività delle stesse a certificare le pregresse condizioni di incapacità del ***, in quanto fondate sullo stato del paziente direttamente riscontrato dal medico nei molti anni di cura.

Né può escludersi la superiore conclusione sulla base del fatto che la procura sia stata rilasciata davanti ad un pubblico ufficiale, che attesti con valore di prova legale la validità del consenso manifestato dal sottoscrittore.

La superiore argomentazione non equivale a riconoscimento implicito della capacità di intendere e di volere del sottoscrittore.

L’autenticazione, da parte del notaio, della firma apposta all’atto di delega  non costituisce affatto prova legale della validità del consenso manifestato da chi ha rilasciato la delega stessa.  Deve ribadirsi, infatti, il principio già affermato dalla Suprema Corte, secondo cui l’atto pubblico fa fede fino a querela di falso solo relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato, alle dichiarazioni al medesimo rese e agli altri fatti dal medesimo compiuti, ma tale efficacia probatoria non si estende anche ai giudizi valutativi (eventualmente) compiuti dal pubblico ufficiale, tra i quali va compreso quello relativo al possesso, da parte di uno dei contraenti, della capacità di intendere e di volere (Cass. 27-4- 2006 n. 9649).

Ciò posto, affinchè possa operare l’annullabilità dell’atto espletato dall’incapace naturale ex art. 428 c.c. è necessaria la ricorrenza dei presupposti previsti dalla norma stessa ed in primis ne deve risultare il grave pregiudizio dell’autore.

Ora sul punto e proprio con riferimento agli atti unilaterali, quale la rilasciata procura speciale, la giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo di affermare che “Gli atti unilaterali compiuti da un incapace naturale, non sono nulli, ma annullabili e solo su istanza della persona che si assume essere stata naturalmente incapace al momento del compimento dell’atto o dai suoi eredi o aventi causa e solo se ne risulta un grave pregiudizio all’autore (Cass. n. 1475/2003).Nel caso di specie pur a volere ritenere che *** era incapace al momento del rilascio della procura speciale alla sorella, non emerge e non è stato provato il grave pregiudizio che dall’atto stesso ne sarebbe derivato per il suo autore.

Ne deriva il rigetto della domanda oggi proposta dagli eredi dello stesso rispetto agli atti pubblici del 25.5.1995 e del 30.9.1994.

Quanto all’ulteriore domanda proposta da parte attrice.

Sulla base dell’eccezioni sollevate sia in ordine alla necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi di ***, sia di intervenuta prescrizione del diritto rispetto all’apertura della successione di *** occorre precisare quanto segue.

La domanda non è riconducibile ad azioni diverse da quella di petizione ereditaria.

Nel caso di specie, rispetto a *** è intervenuta una successione legale nella quale è stata indicata quale unica erede la sorella ***.

Della petizione ereditaria, azione che è stata per la prima volta compiutamente disciplinata con la   codificazione del 1942, viene fornita la nozione (così la rubrica legis) dall’art. 533, co. 1, c.c., che prevede che: «l’erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi». L’azione, che ai sensi del comma 2 è imprescrittibile, ha carattere universale, affermazione che, tuttavia, deve essere rettamente intesa. Come già rilevato in sede di relazione al codice civile, invero, l’universalità della petizione attiene non già all’oggetto della restituzione — che non è l’eredità nel suo complesso, intesa quale universitas, che è insuscettibile di possesso, ma i singoli beni — ma all’accertamento della qualità di erede. In questa prospettiva deve peraltro leggersi l’art. 533, co. 2, c.c. laddove, affermata l’imprescrittibilità dell’azione, la norma fa salvi gli effetti dell’usucapione, precisando, tuttavia, che essa opera con riferimento ai singoli beni, onde l’intervenuta usucapione non preclude l’accertamento della qualità di erede posto a fondamento della domanda restitutoria, ma paralizza unicamente quest’ultima. Col fruttuoso esperimento della petizione di eredità, secondo la disciplina che si va qui esaminando — bisognosa, tuttavia, di raccordo con altre disposizioni codicistiche regolanti particolari ipotesi, come si vedrà — l’erede ottiene pertanto l’accertamento della propria qualità, e la condanna alla restituzione dei beni nei confronti di chi li possiede pro herede, o pro possessore. I successivi artt. 534 e 535 c.c., con una regolamentazione, per certi versi, complementare, si fanno poi carico di ampliare il raggio della tutela offerta dall’art. 533, ammettendo — e in ciò sta la complementarietà — da una parte, che l’erede possa agire nei confronti degli aventi causa dei possessori, i quali, tuttavia, a certe condizioni, fanno salvo il proprio acquisto, con conseguente diniego di tutela all’attore, e, dall’altra, richiamata  l’applicazione delle disposizioni in materia di possesso, che il possessore di buona fede, che in buona fede ha alienato un bene ereditario, non deve recuperare il bene alienato, o restituirne il valore, come sarebbe richiesto dall’art. 2038 c.c. (norma che rimane applicabile in caso di mala fede), ma solamente corrispondere il corrispettivo ricevuto.

Con particolare riferimento alla fattispecie prevista dall’art. 535, co. 2, c.c. si pone, peraltro, la questione se l’azione volta ad ottenere la restituzione del prezzo del bene venduto dal possessore di buona fede  costituisca, come lascerebbe intendere la collocazione sistematica all’interno del capo rubricato “della petizione di eredità”, una ipotesi speciale di petitio, oppure di indebiti solutio, ex art. 2038. La questione, che non è puramente dogmatica, stante le conseguenze in termini di prescrittibilità dell’azione, deve essere risolta nel senso della riconducibilità al genus della ripetizione dell’indebito, costituendo in realtà una deroga a tale disciplina, dovendosi osservare che, laddove mancasse la previsione di cui all’art. 535, co. 2, c.c., una fattispecie che presentasse i caratteri delineati in astratto da tale norma dovrebbe essere sussunta nella previsione dell’art. 2038, co. 1, c.c. (che concerne l’ipotesi di chi alieni, prima di conoscere l’obbligo di restituzione, una cosa ricevuta in buona fede, prevedendo l’obbligo di restituzione del corrispettivo), e non dell’art. 533 c.c. che, al contrario, presuppone il possesso dei beni da parte del convenuto, ipotesi che, in tutta evidenza, non ricorre.

La disciplina sopra sunteggiata, dettata sul presupposto che la pretesa del vero erede scalzi quella di chi, sino ad allora, appariva come tale o del possessore senza titolo, onde il primo, esperita fruttuosamente l’azione, ottenga la restituzione dei beni ereditari in danno dei secondi, deve tuttavia trovare i debiti adattamenti ove, come nel caso che qui occupa, l’azione sia esperita nei confronti del coerede, la cui titolarità pro quota dell’eredità, all’esito, risulterebbe non radicalmente elisa ma ridimensionata. Invero, se nel caso in cui vi sia un unico erede, l’accettazione dell’eredità comporta il trasferimento a lui delle posizioni attive e passive che facevano capo al de cujus, quando invece v’è una pluralità di eredi viene a crearsi uno stato di comunione ereditaria, sicché, con riferimento alla petitio, avuto riguardo alla disciplina in materia di comunione (e divisione) ereditaria, deve ritenersi che l’erede che fruttuosamente esperisca l’azione di petizione ereditaria nei confronti dei coeredi non divenga titolare, pro quota, del singolo bene ereditario, ma entri a far parte della comunione ereditaria, essendo pertanto soggetto ai limiti alla disponibilità della quota dettati dall’art. 732 c.c., sin quando non si sia proceduto alla divisione dell’eredità (Trib. Firenze n. 2122/2021).

Così delineata la fisionomia della petizione ereditaria, emerge chiaramente la riconducibilità ad essa della domanda delle originarie attrici, *** e ***.

Le stesse, infatti, deducendo di essere sorelle di ***, hanno chiesto l’accertamento della loro qualità di eredi ex lege del fratello, unitamente a colei, ***, che dichiaratasi unica erede di *** aveva alienato a terzi alcuni dei beni facenti parte dell’asse ereditario.  Trattandosi, dunque, di azione riconducibile alla petitio hereditatis risulta assorbita l’eccezione di prescrizione decennale.

Ancora va osservato che nel caso di specie non può essersi verificato l’eccepito accrescimento in favore della dante causa di ZZZ, ***.

Il diritto di accrescimento, infatti, disciplinato dagli artt. 674 e ss del codice civile prevede la sussistenza di requisiti costituenti presupposti legali necessari, in mancanza dei quali il diritto di accrescimento non sorge anche nel caso in cui il testatore lo abbia espressamente disposto.

Ora perché possa verificarsi l’accrescimento tra coeredi, oltre all’istituzione con uno stesso testamento nell’universalità dei beni senza determinazione di parti o in parti uguali, è necessario l’ulteriore presupposto che uno degli eredi così istituiti non possa o non voglia accettare l’eredità. Tale presupposto non risulta essersi verificato nel caso in esame, poiché non sono state dedotte situazioni di rinuncia  o di impossibilità di accettazione dell’eredità del padre, ***, da parte di ***, presupposto necessario per consentire l’accrescimento della quota devoluta alla sorella ***.

Tramite l’azione di petizione ereditaria, l’erede può agire in ogni tempo per il riconoscimento della sua qualità, allo scopo di ottenere la restituzione di tutti o di parte dei beni ereditari da chi li possiede a titolo di erede o senza titolo alcuno.

E poiché l’azione di petizione ereditaria può essere esperita non solo nei confronti di chi possiede beni ereditari vantando una qualità ereditaria che non gli è propria, ma anche del coerede che sia nel possesso di tali beni, in tale ultima ipotesi essa può assumere tanto natura di azione di accertamento, quanto, più spesso, funzione recuperatoria, essendo il riconoscimento della qualità di erede strumentalmente diretto all’ottenimento dei beni medesimi.

Nella vicenda che ci occupa, facendo valere la loro qualità di eredi legittime del fratello, le attrici hanno lamentato l’appropriazione, da parte della dante causa del convenuto, della porzione di quota della proprietà dei beni immobili di cui agli atti di vendita del 10.6.1999 e del 9.11.1998, appartenenti alla de cuius al momento della apertura della successione ed hanno sostanzialmente richiesto la ricostituzione del compendio ereditario, domandando la restituzione della quota di cespiti (o del relativo controvalore) in esso compresi.

Sempre a conferma dell’ampiezza dell’ambito applicativo della petitio hereditatis, la giurisprudenza di legittimità ha altresì chiarito che l’art. 533 c.c. consente di chiedere sia la quota dell’asse ereditario sia il suo valore e, qualora non sia contestata la qualità di erede, la domanda può assumere natura di accertamento o recuperatoria (cfr., a proposito della quota ereditaria di un deposito bancario, Cass. 28 dicembre 2004 n. 24034).

Tanto premesso, deve rammentarsi che l’attore che agisce in petizione ereditaria deve provare: 1) la morte del de cuius; 2) la qualità di erede (legittimo o testamentario); 3) l’appartenenza dei beni all’asse ereditario all’epoca dell’apertura della successione.

Il requisito di cui al punto 1) è stato dimostrato mediante il deposito della denuncia di successione di ***, mentre i requisiti di cui ai punti 2) e 3) oltre a non essere stati contestati, si desumono dagli atti prodotti.

Gli oneri probatori connessi all’azione di petizione ereditaria sono stati anche recentemente ribaditi dalla Suprema Corte: “La “petitio hereditatis” si differenzia dalla “rei vindicatio”, malgrado l’affinità del “petitum”, in quanto si fonda sull’allegazione dello stato di erede ed ha per oggetto beni riguardanti elementi costitutivi dell’”universum ius” o di una parte di esso; ne consegue, quanto all’onere probatorio, che mentre l’attore in “rei vindicatio” deve dimostrare la proprietà dei beni attraverso una serie di regolari passaggi durante tutto il periodo di tempo necessario all’usucapione, nella “petitio hereditatis” può invece limitarsi a provare la propria qualità di erede ed il fatto che i beni, al tempo dell’apertura della successione, fossero compresi nell’asse ereditario; con la conseguenza che, qualora il convenuto non contesti la qualità di erede dell’attore, ma si limiti a negare l’appartenenza del bene all’asse ereditario, l’azione di petizione ereditaria non si trasforma in azione di rivendicazione, in quanto la mancata contestazione della detta qualità di erede non fa venire meno le finalità recuperatorie della petizione ereditaria, ma produce effetti solo sul piano probatorio, esonerando l’attore dalla prova della sua qualità, fermo restando l’onere – nei limiti relativi alla difesa della controparte – dell’appartenenza del bene all’asse ereditario al momento dell’apertura della successione” (Cassazione n. 14732/2012).  Ebbene, nel caso di specie si ribadisce che ZZZ non contesta la qualità di eredi delle originarie attrice  né l’appartenenza dei beni immobili controversi all’asse ereditario.

L’eventuale presenza, come appare verosimile dalla documentazione in atti, di ulteriori discendenti legittimi è in questa sede irrilevante, non richiedendo l’azione in esame il litisconsorzio necessario tra tutti i coeredi rimasti estranei al processo, sui cui diritti non è destinata ad incidere in maniere diretta (v. Cass. 3040/87; Cass. n. 8440/2008).

Venendo a trattare della domanda di petizione ereditaria, occorre procedere all’esame della domanda nei suoi due risvolti, emergenti dalla nozione data dall’art. 533 c.c., del “riconoscimento della qualità ereditaria” e della “restituzione dei beni ereditari”.

Con riferimento al “riconoscimento della qualità ereditaria” di *** e ***, incontestato  lo status di sorelle di ***, deceduto senza lasciare prole, né genitori né altri ascendenti, in mancanza di disposizioni testamentarie, ex art. 570 c.c. succedono per legge i fratelli e le sorelle in parti uguali.

Ne discende che le originarie attrici rientrano tra i chiamati all’eredità del fratello ***.

A ciò si aggiunga che il promovimento dell’azione di petizione ereditaria importa, di per sé, accettazione tacita dell’eredità.

Alla luce di quanto sopra va dichiarato come accertato il diritto delle originarie attrici *** e *** al riconoscimento della loro qualità di eredi di ***.

Per quanto riguarda, invece, il profilo della “restituzione dei beni ereditari”, finalità, ex art. 533, dell’azione di petizione, occorre osservare, fatto richiamo a quanto sopra si è affermato circa il risultato del fruttuoso esperimento della petitio in presenza di coeredi, che l’esito non può essere il trasferimento di una quota dei due beni immobili oggetto del giudizio.

Poiché all’eredità sono stati chiamati più (co)eredi, infatti, l’esito della petizione di eredità non potrà che essere la ridefinizione delle quote della comunione ereditaria, avuto riguardo ai singoli beni, ancora nel patrimonio dei coeredi, in riferimento ai quali in questa sede non è stata esercitata l’azione, essendo pertanto rimessa alla futura determinazione delle parti, o eventualmente ad apposito giudizio divisorio, la concretizzazione delle quote ereditarie.

Prima di procedersi alla valutazione degli esiti dell’istruttoria esperita limitatamente agli immobili cui le attrici hanno fatto espresso riferimento, ed alla conseguente determinazioni degli effetti concreti della petizione ereditaria proposta da *** e ***, debbono ancora premettersi alcune considerazioni in merito agli effetti di eventuali alienazioni di singoli beni ereditari. In particolare, mette conto ribadire che, finché perdura lo stato di comunione ereditaria, i coeredi sono titolari non già di quote di ciascun bene caduto in successione corrispondenti alla quota ereditaria, bensì della quota ideale dell’eredità, suscettibile, tramite la divisione ereditaria, di concretizzazione nella proprietà (o in quote di proprietà) di singoli beni, secondo le disposizioni di cui agli artt. 713 ss. c.c., e, pertanto, anche in modo difforme rispetto alla semplice trasposizione, rispetto ai singoli beni, delle quote di eredità. Da ciò deriva l’impossibilità per i coeredi di alienare le proprie — appunto, inesistenti — quote di ciascun bene, potendo invece vendere unicamente la propria quota dell’eredità (o una frazione di essa), come si ricava dall’art. 732 c.c., che fa riferimento unicamente all’alienazione della quota, avuto riguardo, peraltro, al particolare caso dell’alienazione a soggetti estranei alla comunione, in quanto disposizione volta a disciplinare il diritto di prelazione dei coeredi, ciò che, chiaramente, non esclude la possibilità che la quota sia venduta a questi ultimi. Alla stregua di tali considerazioni, deve concludersi — e ciò ha fatto la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. Civ., Sez. 2, Ordinanza n. 4831 del 19/02/2019) — che la vendita di un bene che fa parte della comunione ereditaria abbia solamente effetti obbligatori (rectius, effetti reali differiti) in quanto, sino al momento della divisione, il bene continua a far parte della comunione.

Put tuttavia nel caso che ci occupa  si ritiene di dovere fare applicazione dell’art. 2038 c.c., comma 2, rispetto all’obbligo del possessore che ha alienato la cosa ricevuta in mala fede.

Non vi è dubbio, infatti, che ***, quando ha presentato in data 4.9.1996 la dichiarazione di successione, qualificandosi come unica erede del fratello ***, non era certamente in buona fede, poiché la previsione di accrescimento fatta nel testamento del padre, se mai avesse potuto ingenerare dubbi nella stessa, avrebbe dovuto quantomeno portare l’avente diritto a verificare se nel caso concreto si era o meno determinato l’accrescimento della propria quota.

Così non ha operato la dante causa dell’odierno convenuto ZZZ, che ha ritenuto di presentare dichiarazione di successione qualificandosi unica erede della quota dei beni di ***, si è immessa nel possesso di tale quota ed ha alienato in detta qualità l’intera quota a terzi.

Secondo la giurisprudenza di legittimità in questa ipotesi non si configura, infatti, la fattispecie dell’erede apparente ex art. 534 c.c., il coerede possessore che abbia alienato a terzi  non può qualificarsi come erede apparente ed è obbligato verso i coeredi (Cass. n. 3520/1969).

L’obbligo va riferito ai due immobili rispetto ai quali è stata diretta la domanda attorea recuperatoria delle quote di pertinenza, indicati in citazione quali: a) terreno edificabile sito in; b) terreno edificabile sito in.

Declinando quanto sopra argomentato può procedersi alla valutazione degli esiti dell’istruttoria, e, in particolare, della C.T.U. espletata, a firma dell’arch., secondo il quesito indicato con l’ordinanza del 17.10.2011, il cui accertamento può essere fatto proprio dal giudice in quanto congruamente motivato e adeguatamente documentato.

Pertanto, si deve dichiarare accertato il diritto di *** e *** e per esse dei loro eredi, alla quota di un settimo per ciascuna delle due originarie attrici,  dell’eredità di cui fanno parte i beni caduti nella successione di ***, che in ragione della domanda attorea vanno individuati nella quota di metà dei beni indicati alle lettere a) e b).

Rispetto alla detta quota l’azione recuperatoria può essere riferita ad 1/7 del suo valore per ciascuna delle originarie attrici.

Secondo un arresto della Suprema Corte, l’azione di petizione di eredità può essere esercitata, anche per il recupero della sola quota dell’asse ereditario (Cass. civ. 24034/2004;Cass. civ. 1074/2009), da un coerede nei confronti di altro coerede ( cfr. Cass. civ. 1730/1969, che benchè risalente, non risulta superata da pronunce di segno contrario).

Tornando, pertanto, al caso di specie, facendo espresso richiamo all’accertamento peritale in ordine al valore dei beni alienati da *** anche quale unica erede del fratello *** ai convenuti JJJ ed KKK srl, va riconosciuto agli attori il valore della quota spettante alle originarie attrici, per 1/7 del valore della quota di ***.

Facendo espresso riferimento al valore accertato dal perito d’ufficio, per le particelle oggetto del giudizio, la quota per ciascun erede su tali beni ammonta all’importo di € 10.754,00 ( valore delle particelle € 150.558,00, valore quota *** € 75.279,00, valora quota di ciascun erede di *** per 1/7 € 10.754,00).

Il convenuto ZZZ nella qualità di erede di ***, entrata nel possesso dei beni ereditari di ***, che ha trasferito la quota di quest’ultimo con gli atti di vendita sopra citati, deve essere condannato alla restituzione in favore degli attori, dell’importo pari ad 1/7 del valore della quota dei beni ereditari oggetto di causa, quantificata in  € 10.754,00 per ciascuna coerede.

Tutte le ulteriori domande vanno rigettate essendo rimaste sfornite di prova.

Le spese di lite, liquidate come da dispositivo seguono la soccombenza, e pertanto gli attori XXX,  nella qualità di erede di *** e YYY, nella qualità di eredi di ***, vanno condannati a rifonderle ai convenuti  RRR, PPP, e SSS, mentre devono compensarsi per metà, in ragione della parziale reciproca soccombenza quelle tra gli attori ed il convenuto ZZZ, il quale va condannato a rifenderle per metà agli attori e per l’intero ai convenuti JJJ ed KKK srl.

Pone definitivamente a carico di ZZZ le spese di ctu, già liquidate con separato decreto.

P. Q. M.

Il Tribunale di Patti, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, sulle domande proposte da XXX,  nella qualità di erede di *** e YYY, nella qualità di eredi di ***, nei confronti di ZZZ, nella qualità di erede di *** e di  RRR, PPP,  SSS, JJJ e KKK srl così provvede:

-Rigetta la domanda attorea di nullità degli atti di compravendita del 25.5.1995 e del 30.9.1994 nei quali la dante causa del convenuto ZZZ, ***, è intervenuta quale procuratrice speciale del fratello ***;

-Condanna gli attori XXX YYY, a rifondere le spese di lite ai convenuti RRR, PPP,  SSS, liquidandole nell’importo di € 4.835,00, oltre Iva. Cpa e spese generali;

-Accoglie la domanda attorea di accertamento della qualità di coeredi delle rispettive danti causa, *** e ***, di ***, con diritto a recuperare la quota di un settimo per ciascuna coerede del valore dei beni che ***, dante causa di ZZZ, ha trasferito a JJJ ed alla KKK srl;

-Condanna ZZZ al pagamento in favore degli attori, XXX, e YYY,  del valore della quota spettante alle coeredi sui beni alienati per l’importo di € 10.754,00  per ciascuna coerede;

-Compensa per metà tra gli attori ed il convenuto ZZZ le spese di lite, ponendo a carico di quest’ultimo l’altra metà da rifondere agli attori per  € 2.667,50, comprensive delle spese esenti per € 250,00, oltre Iva, cpa e spese generali  e lo condanna alla refusione delle spese per intero in favore dei convenuti JJJ ed KKK srl nell’importo di 4.835,00 oltre Iva, cpa e spese generali.

-Pone definitivamente a carico del convenuto ZZZ le spese di ctu, liquidate con separato decreto.

Così deciso in Patti, 30.9.2021

Il giudice onorario

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

LexCED
Desideri approfondire l’argomento ed avere una consulenza legale?

Articoli correlati