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Giudice di Pace, determinazione della competenza per valore

Determinazione della competenza per valore, nell’ipotesi in cui una domanda di risarcimento danni venga proposta avanti al giudice di pace.

Pubblicato il 13 May 2022 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI TARANTO
SECONDA SEZIONE CIVILE

in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott., ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 1257/2022 pubblicata il 12/05/2022

nella causa iscritta al n. 6580 dell’anno 2018 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente tra

XXX S.P.A. (C.F.)

parte appellante

contro

YYY (C.F.)

parte appellata

OGGETTO: appello – accertamento negativo del credito – responsabilità extracontrattuale;

CONCLUSIONI DELLE PARTI: all’udienza del 27.01.2022, le parti concludevano come da verbale in pari data, riportandosi ai rispettivi atti difensivi, ai quali si rinvia.

MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO ED IN DIRITTO

YYY evocava in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Martina Franca la società XXX Group Spa, onde far accertare e dichiarare che la richiesta di pagamento di € 37,00, rivoltagli da XXX Srl, non fosse dovuta, e che la medesima parte convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni asseritamente causatigli. Esponeva nel dettaglio:

• di aver stipulato con *** Spa (*** nel prosieguo) un contratto di somministrazione del servizio telefonico ad uso domestico;

• di aver comunicato il recesso al gestore telefonico dopo circa un anno dalla conclusione del contratto;

• di aver, all’esito di ciò, pagato solo in parte l’ultima fattura di € 65,98 emessa da ***, atteso che la stessa includeva spese di disattivazione d’utenza a suo dire non dovute;

• di aver concluso una transazione con il gestore telefonico, per effetto della quale aveva corrisposto a questo la somma di € 33,00 a tacitazione di ogni avversa pretesa;

• di aver ricevuto da XXX Srl, anche per il tramite di un difensore, richieste scritte e telefoniche di pagamento della somma di € 37,00 a titolo di insoluto della fattura di cui innanzi;

• di aver comunicato a tale impresa che detta somma non era dovuta in forza dell’accordo transattivo intervenuto tra lui e ***;

• che la condotta serbata da controparte era contraria ai principi della buona fede;

• che nella specie subiva danni non patrimoniali quantificabili in € 900,00 per lo stato d’ansia procuratogli.

Davanti al Giudice di pace si costituiva in giudizio XXX Group Spa, dichiarandosi estranea rispetto ai fatti di causa. La società adduceva, in particolare, di non possedere l’autorizzazione prescritta dall’art. 115 R.D. 18.6.1931, n. 773 per lo svolgimento di attività di recupero crediti per conto terzi. Chiedeva, pertanto, accertarsi la nullità e l’inammissibilità dell’atto di citazione notificatole, oltre alla condanna della controparte al risarcimento dei danni per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Alla prima udienza, il Giudice di pace, su richiesta di parte attrice, disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti della XXX Spa, quale impresa titolare, da lato passivo, del rapporto dedotto in giudizio.

L’attore notificava pertanto ad XXX Spa l’atto di chiamata in causa, proponendo nei suoi confronti le medesime domande originariamente rivolte ad XXX Group Spa.

Costituitasi in giudizio, XXX Spa rilevava:

• che la sua chiamata in causa era irrituale, giacché l’unico soggetto titolare del credito di cui si chiedeva la declaratoria di accertamento negativo era ***;

• che essa non aveva responsabilità, in quanto aveva agito dietro conferimento di mandato da parte di ***;

• che della sussistenza di tale rapporto di mandato ne era a conoscenza anche controparte, giacché questa aveva ricevuto lettera di messa in mora per il pagamento della somma di € 37,00;

• che la domanda avanzata dal YYY era in ogni caso infondata ed andava rigettata;

• che l’attore andava condannato al risarcimento danni per aver azionato una lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Con la impugnata sentenza, il Giudice di Pace di Martina Franca accoglieva in parte la domanda promossa dal YYY: accertava e dichiarava che la somma di € 37,00 richiesta da XXX Spa non era dovuta; condannava XXX Spa al pagamento in favore dell’attore di € 200,00 a titolo di danni non patrimoniali; condannava la medesima parte convenuta al pagamento delle spese di lite, oltre alla somma di € 150,00 comminata ai sensi dell’art. 96, comma III c.p.c.; disponeva, infine, la estromissione dalla lite di XXX Group Spa (evocata in giudizio in prima battuta dall’attore). Avverso tale sentenza ha proposto appello XXX Spa, chiedendone la riforma per i seguenti motivi: I) violazione dell’art. 102 c.p.c. per aver il Giudice di Pace irritualmente disposto l’integrazione del contraddittorio verso di essa, a fronte della erronea citazione in giudizio di una parte estranea rispetto ai fatti di lite (XXX Group Spa); II) carenza di legittimazione passiva per aver controparte richiesto l’accertamento negativo di un credito di cui era esclusivo titolare ***; III) infondatezza della domanda risarcitoria per mancanza di prove sul danno lamentato da controparte; IV) infondatezza della stessa domanda risarcitoria per insussistenza di pregiudizi a carico del YYY, dovendosi escludere, secondo unanime giurisprudenza di legittimità e di merito, che i meri disagi da questi lamentati fossero fonte di danno; V) erroneità della condanna disposta ai sensi dell’art. 96, comma III c.p.c. dal Giudice di Pace, posto che, considerando la condotta processuale delle parti ed i fatti allegati e provati dalle stesse nel corso del primo grado di giudizio, al contrario, essa andava comminata al YYY e non a proprio carico.

Nel corpo dell’atto di appello, l’appellante ha formulato anche domanda di restituzione delle somme nelle more versate in favore della controparte in adempimento della sentenza gravata.

Costituitasi in giudizio, la parte appellata ha eccepito l’inammissibilità dell’appello ed ha insistito nel rigetto dell’impugnazione. Segnatamente, ha dedotto:

• che il gravame era inammissibile, in quanto la lite incorporava un valore inferiore ad € 1.100,00 ed era di conseguenza inappellabile ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 113-339 c.p.c.;

• che l’aver evocato in giudizio XXX Group Spa costituiva mero errore materiale;

• che la integrazione del contraddittorio disposta dal Giudice di Pace nei confronti di XXX Spa era corretta ed andava inquadrata non ai sensi dell’art. 102 c.p.c., bensì ai sensi dell’art. 107 c.p.c.;

• che l’accertamento negativo del credito richiesto in giudizio non atteneva al rapporto insorto tra lui e ***, già oggetto di transazione, bensì alla pretesa di pagamento rivoltagli da XXX Spa;

• che il risarcimento danni posto a carico della controparte era corretto ed andava confermato in virtù della fondatezza del fatto illecito da lui esposto in giudizio.

L’appello promosso da XXX Spa contro YYY è fondato e merita accoglimento per i motivi di seguito esposti.

Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità della impugnazione promossa dall’appellato.

Nel caso di specie, YYY ha richiesto in giudizio nel primo grado di lite sia la declaratoria di accertamento negativo del credito di € 37,00, di cui era stato richiesto il pagamento nei propri confronti, sia la condanna al risarcimento dei danni asseritamente subiti, che lo stesso ha quantificato nell’atto di citazione in € 900,00, “ovvero nella diversa maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, il tutto nei limiti della competenza del Giudice adito”.

Ciò posto, per effetto della formulazione della domanda attrice, il valore della causa non va ritenuto inferiore ad € 1.100,00 (limite previsto dal combinato disposto degli artt. 113-339 c.p.c. per la inappellabilità delle sentenze emesse dal Giudice di Pace secondo equità), ma deve, invece, essere considerato pari alla soglia massima di competenza del giudice adito di € 5.000,00 prevista all’art. 7 c.p.c..

Sul punto, la Suprema Corte, con indirizzo dal quale non vi è motivo di discostarsi, ha osservato che:”In tema di determinazione della competenza per valore, nell’ipotesi in cui una domanda di risarcimento danni venga proposta avanti al giudice di pace con la richiesta della condanna della controparte al pagamento di un importo indicato in una somma inferiore (o pari) al limite della giurisdizione equitativa del giudice di pace ovvero della somma maggiore o minore che risulti dovuta all’esito del giudizio, la formulazione di questa seconda richiesta alternativa non può essere considerata – agli effetti dell’art. 112 c.p.c. – come meramente di stile, in quanto essa (come altre consimili), lungi dall’avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all’ammontare della somma determinata che venga indicata nelle conclusioni specifiche. Ne discende che la suddetta richiesta alternativa si risolve in una mancanza di indicazione della somma domandata, con la conseguenza che la domanda, ai sensi della seconda proposizione dell’art. 14 c.p.c., si deve presumere di valore eguale alla competenza del giudice adito e che, ai sensi del comma 3 della stessa norma, in difetto di contestazione da parte del convenuto del valore così presunto, quest’ultimo rimane “fissato, anche agli effetti del merito, nei limiti della competenza del giudice adito”, cioè nel massimo della competenza per valore del giudice di pace sulla tipologia di domande fra cui rientra quella proposta” (Cass. Civ. 25.8.2021, n. 23434).

Pertanto, l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dal YYY va rigettata.

Con il primo motivo di gravame, XXX Spa ha lamentato la irrituale evocazione in giudizio disposta dal giudice di prime cure nei propri confronti; si duole del fatto che, a fronte della erronea citazione di XXX Group Spa (soggetto che, costituitosi, aveva eccepito la sua estraneità rispetto ai fatti di lite), il giudice di prime cure avesse, poi, autorizzato la integrazione del contraddittorio verso di essa.

La censura è infondata e va respinta.

Al fine di valutare tale doglianza occorre analizzare, l’iter processuale che ha caratterizzato il giudizio di primo grado antecedentemente all’ordine di integrazione del contraddittorio disposto dal Giudice di Pace.

Ebbene, con l’atto introduttivo, risulta che il YYY, nella esposizione del petitum e della causa petendi, ha imputato la condotta illecita dedotta alla XXX Srl; dal medesimo atto, emerge, tuttavia, la evocazione in giudizio di una parte diversa da quella indicata in premessa, ossia la XXX Group Spa; dal contenuto della comparsa di costituzione e risposta depositata dalla XXX Group Spa dinanzi al giudice di primo grado, è rilevabile, altresì, che questa, nel costituirsi in giudizio, si è limitata a dichiararsi estranea rispetto ai fatti di causa, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva senza indicare come responsabile un’altra parte terza (la visura camerale allegata alla sua memoria di costituzione ha evidenziato oltretutto che tale società non operava nel settore del recupero crediti e che non disponeva della autorizzazione all’uopo prescritta dall’art.115 R.D. 18.6.1931, n. 773).

Sullo sfondo di tale quadro processuale si è, poi, innestato l’ordine, qualificabile a titolo di chiamata in causa di terzo ex art. 107 c.p.c., con cui il giudice di prime cure ha disposto la evocazione in giudizio della XXX Spa; ordine a cui ha dato attuazione il YYY, notificando il relativo atto all’appellante, ed a cui è successivamente seguita la costituzione in giudizio di quest’ultima.

Così ripercorsa la singolare vicenda processuale da cui deriva la censura in esame, si ritiene che, sebbene la chiamata in causa ordinata dal primo giudice sia irrituale, non ricorrano comunque i presupposti per ritenere che la stessa sia affetta da nullità.

Ad avviso dello scrivente, il Giudice di pace avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità delle domande proposte dall’attore per carenza di una delle condizioni dell’azione, vale a dire la legittimazione passiva del convenuto, atteso che vi era una divergenza tra il soggetto indicato dall’attore quale titolare del rapporto sostanziale (XXX s.r.l.) e quello concretamente evocato in giudizio e di cui si chiedeva la condanna (XXX Group Spa).

La richiesta con cui l’attore ha chiesto di essere autorizzato a chiamare in causa XXX S.p.a., quale effettiva titolare del rapporto dedotto in giudizio, non poteva giustificarsi né ai sensi dell’art. 102 c.p.c., venendo in rilievo rapporti obbligatori di carattere scindibile, né ai sensi degli artt. 106 e 107 c.p.c., non ravvisandosi i presupposti di comunanza della causa o di chiamata in garanzia propria. E allo stesso modo non poteva dirsi che l’esigenza di chiamare in causa XXX S.p.a. fosse sorta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 106, 183, co. 5, e 269, co.3, c.p.c. dalle difese del convenuto, in quanto, da un lato, come detto, non vi erano le premesse per ritenere comune la causa ad entrambi i soggetti evocati in giudizio, e, dall’altro, XXX Group Spa non aveva indicato alcun titolare del rapporto sul piano passivo.

Più semplicemente, si era trattato di un errore commesso da parte attrice, che il giudice avrebbe dovuto rilevare dichiarando inammissibile l’originaria domanda, senza alcuna estensione del contraddittorio.

Tuttavia, come detto, la chiamata in causa di XXX S.p.a., ancorché irrituale, non dà luogo a nullità, in quanto tale atto presenta i requisiti di forma e di sostanza di un atto introduttivo del giudizio, potendosi qualificare come un atto di citazione che ha peraltro raggiunto il proprio scopo, dal momento che la società in questione è stata evocata in giudizio ed è stata messa nelle condizioni di costituirsi regolarmente e di spiegare le proprie prerogative difensive.

Ne consegue che, in forza di quanto previsto dall’art. 156, 3 comma, non può farsi luogo ad alcuna declaratoria di nullità della chiamata in causa di XXX S.p.a.. Peraltro, per effetto della sua costituzione in lite, ogni eventuale invalidità deve ritenersi sanata.

E’ bene rammentare che, al di fuori dei casi in cui la sanzione della nullità è espressamente comminata dalla legge, circostanza che non ricorre nel caso di specie, la nullità di un atto processuale per difetto dei suoi requisiti formali può essere dichiarata solo nel caso in cui lo stesso non sia più idoneo al raggiungimento del proprio scopo.

Merita accoglimento, invece, il secondo motivo di appello.

Il capo di domanda con cui YYY ha chiesto di dichiarare la non debenza della somma di € 37,00 è qualificabile come un’azione di accertamento negativo di un credito nascente dal rapporto sostanziale insorto tra lui e ***; rapporto rispetto al quale XXX Spa è rimasta del tutto estranea.

Da quanto esposto dallo stesso appellato, emerge che questi era a piena conoscenza del fatto che il pagamento della somma a lui richiesta derivasse dal contratto di somministrazione stipulato con ***; questi, infatti, aveva chiesto ed ottenuto la risoluzione del titolo negoziale, giungendo poi ad una transazione con la società di telefonia per le somme residuate a suo debito. Nel caso di specie, non vi è prova che *** abbia ceduto ad XXX S.p.a. il credito di cui si chiede l’accertamento negativo nei confronti dell’appellante e, inoltre, è emerso che la stessa XXX S.p.a. agiva in nome e per conto di *** in adempimento di un mandato con rappresentanza (vedasi il contratto allegato al doc. n. 2 del suo fascicolo di parte di primo grado, e segnatamente quanto riportato a pag. 4 dello stesso:

“*** nomina il fornitore quale mandatario con rappresentanza, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1704 c.c., affinché il Fornitore, a mezzo di delega a propri dipendenti, subappaltatori e altri soggetti terzi autorizzati da *** ai sensi dell’Accordo Quadro, compia per conto della stessa le seguenti attività: i) sollecitare il pagamento dei crediti dovuti a *** attraverso comunicazioni telefoniche e/o comunicazioni scritte…ii) inviare lettere di sollecito al pagamento e di diffida e messa in mora…”).

Per quanto sopra esposto, in accoglimento del secondo motivo di appello, la sentenza emessa dal Giudice di Pace va sul punto riformata, in quanto è emerso nel corso del giudizio che XXX S.p.a. non è titolare, dal lato passivo, del rapporto giuridico dedotto in giudizio, non essendo appunto titolare del credito di cui YYY asserisce l’inesistenza. Conseguentemente, la domanda da questi proposta va respinta.

Meritano accoglimento anche il terzo ed il quarto motivo di gravame.

Ed invero, va escluso il risarcimento danni disposto dal giudice di prime cure in favore dell’appellato.

Ai sensi dell’art. 2697 c.c., incombeva sulla parte appellata l’onere di dimostrare in giudizio, nel primo grado di lite, gli elementi costitutivi del fatto illecito dedotto.

A tale onere non ha adempiuto il YYY; infatti, non vi è prova che a fronte dei solleciti di pagamento lamentati, questi abbia subito una compromissione della sua sfera psico-fisica e che ciò abbia determinato la insorgenza di un danno non patrimoniale a suo carico.

Inoltre, si osserva che il ricevimento dei solleciti di pagamento documentati in atti non potevano in ogni caso costituire fonte di danno.

La giurisprudenza è unanime nel ritenere che il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge ai sensi dell’art. 2059 c.c. (e quindi ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno), oltreché in ipotesi di compromissione di diritti costituzionali inviolabili. Tuttavia, in quest’ultimo caso, la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il pregiudizio conseguentemente sofferto; inoltre, la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone che la lesione sia grave (e cioè superi la soglia minima di tollerabilità, imposta dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario (vedasi Cass. Civ. S.U. 19.8.2009, n. 18356, in ambito di richiesta risarcitoria di danni c.d. “bagatellari”, formulata a seguito di solleciti di pagamento ritenuti, appunto, non costituenti ingiustizia costituzionalmente qualificata).

Va parzialmente accolto l’ulteriore motivo di doglianza con cui si chiede la riforma del capo di sentenza statuente la condanna a carico dell’appellante ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Per effetto dell’accoglimento dei motivi di appello di cui sopra, deve, infatti, escludersi che l’appellante abbia resistito in giudizio con mala fede o colpa grave; pertanto, deve revocarsi la condanna emessa a suo a carico dal giudice di prime cure.

Non può, invece, accogliersi la richiesta di parte appellante di porre tale condanna a carico dell’appellato ai sensi del medesimo disposto normativo, giacché neppure verso di questi è rilevabile una condotta processuale tale da giustificarne l’applicazione.

La riforma della pronuncia di primo grado comporta anche l’accoglimento della ulteriore richiesta di restituzione delle somme corrisposte dall’appellante in favore dell’appellato in adempimento di essa; domanda, questa, che si ritiene ammissibile anche nel presente grado di giudizio, in quanto espressamente richiesta nelle conclusioni dell’atto di appello (Cass. Civ. 15.3.2021, n. 7144).

Le spese di entrambi i gradi di lite vanno compensate; si rinvengono, infatti, gravi e giustificati motivi sia nel fatto che l’appellante è stata evocata in giudizio solo a seguito della chiamata irritualmente disposta dal Giudice di Pace; sia nel fatto che le richieste di pagamento inviate al YYY, sebbene rivoltegli da un soggetto estraneo rispetto al rapporto sostanziale da cui derivavano, attenevano ad un credito antecedentemente estinto (è pacifico che tra questi e *** vi era stata una transazione a tacitazione di ogni reciproca pretesa in epoca precedente rispetto al ricevimento di esse).

P.Q.M.

Il Tribunale, uditi i procuratori delle parti costituite; ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa; definitivamente pronunciando:

• accoglie l’appello e, per l’effetto, a parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta le domande proposta da YYY nei confronti di XXX S.p.a.;

• condanna YYY alla restituzione in favore di XXX S.p.a. di quanto dalla stessa versato in suo favore in adempimento della sentenza impugnata;

• compensa integralmente tra le parti le spese processuali di lite di entrambi i gradi di giudizio

• revoca la condanna disposta ai sensi dell’art. 96, comma III c.p.c. nei confronti di XXX Spa nella sentenza impugnata.

Così deciso in Taranto, in data 12/05/2022 .


Il presente provvedimento viene redatto su documento informatico e sottoscritto con firma digitale dal Giudice dr. Daniele Gallucci, in conformità alle prescrizioni del combinato disposto dell’art. 4 del D.L. 29/12/2009, n. 193, conv. con modifiche dalla L. 22/2/2010, n. 24, e del decreto legislativo 7/3/2005, n. 82, e succ. mod. e nel rispetto delle regole tecniche sancite dal decreto del ministro della Giustizia 21/2/2011, n. 44

 

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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