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Controlli del datore di lavoro, agenzia investigativa

La Corte di Appello riteneva infondati, inoltre, i rilievi attinenti al mancato rispetto dell’obbligo di consegna della documentazione richiesta dal lavoratore e all’intempestività della contestazione dell’addebito. Ne resta giustificato l’intervento, pertanto, solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass.

Pubblicato il 25 September 2022 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Nel caso esaminato, al ricorrente, la cui attività lavorativa era connotata da una certa flessibilità riguardo all’orario e alla sede di svolgimento dell’attività, era stato contestato di essersi allontanato dal luogo di lavoro, in orario lavorativo, per compiti estranei al suo inquadramento professionale, essendo stati registrati, mediante controlli effettuati da agenzia investigativa, incontri estranei all’area o sede di lavoro (supermercati e palestre), non connessi all’attività lavorativa, in luoghi distanti anche decine di chilometri dalla sede di lavoro.

La Corte di Appello riteneva legittimi i controlli effettuati mediante agenzia investigativa – avuto riguardo alla posizione del lavoratore, dipendente di una banca, nell’ambito di un rapporto richiedente un più rigoroso rispetto dell’obbligo di fedeltà e dei correlati canoni di diligenza e correttezza, nonché in relazione alla circostanza che le investigazioni che avevano interessato il lavoratore erano sorte nell’ambito della più ampia indagine avente ad oggetto la violazione dei permessi ai sensi della L. n. 104 del 1992, articolo 33, da parte della collega, con la quale il ricorrente era stato ripreso più volte.

La Corte di Appello riteneva infondati, inoltre, i rilievi attinenti al mancato rispetto dell’obbligo di consegna della documentazione richiesta dal lavoratore e all’intempestività della contestazione dell’addebito.

Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione il lavoratore.

La Suprema Corte (ex multis Cass. n. 15094 del 11/06/2018) ha affermato, in ordine alla portata della L. n. 300 del 1970, articoli 2 e 3, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (articolo 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (articolo 3) – che essi non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti, esterni (come, nella specie, un’agenzia investigativa), ancorché il controllo non possa riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta a tale vigilanza.

Il controllo esterno, quindi, deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (cfr., in tali termini, Cass. n. 9167 del 2003).

Tale principio è stato costantemente ribadito, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’articolo 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.

Ne resta giustificato l’intervento, pertanto, solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. n. 3590 del 2011; Cass. n. 15867 del 2017).

Ai controlli al di fuori dei confini indicati ostano sia il principio di buona fede sia il divieto, di cui all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, nella formulazione applicabile ratione temporis, vigendo il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l’eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (come l’esercizio durante l’orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi su cui v. Cass. nn. 5269 e 14383 del 2000).

Risulta, dunque, erronea la sussunzione della fattispecie concreta nella norma astratta operata dalla Corte, poiché l’attività investigativa mediante controllo esterno, ancorché occasionata da analogo, pur legittimo, controllo nei confronti di altro dipendente, esplicandosi nell’orario di lavoro del ricorrente, cioè durante l’espletamento dell’attività lavorativa da parte sua, finisce con l’incidere direttamente e, quindi, al di fuori dei limiti consentiti, su detta attività (Cass. n. 23732 del 2021).

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 25287 del 24 agosto 2022

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