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Sentenza penale di applicazione della pena patteggiata

La sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, esonera la controparte dall’onere della prova.

Pubblicato il 07 August 2021 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI
SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, in persona del Giudice dott., ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 608/2021 pubblicata il 22/07/2021

nella causa civile di primo grado iscritta al n. R.G.A.C. dell’anno 2017 promossa

DA

XXX, con il patrocinio dell’avv.

PARTE ATTRICE CONTRO

YYY, con il patrocinio dell’avv.

PARTE CONVENUTA

OGGETTO: Risarcimento del danno da reato.

CONCLUSIONI

All’udienza del 26/01/2021 le parti hanno concluso come risulta dal verbale d’udienza qui richiamato e trascritto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione ritualmente notificato XXX conveniva in giudizio YYY rassegnando – per i motivi ivi indicati, qui richiamati e trascritti – le seguenti conclusioni:

“Piaccia all’Ill.mo Giudice adito:

nel merito, accertato e dichiarato che YYY, attraverso le condotte de-scritte in narrativa, ha dolosamente eluso l’esecuzione della sentenza civile del Tribunale di Terni n. 549/2016 in danno della società *** S.r.l. di cui era amministratore e socio unico, rendendosi per ciò colpevole del reato previsto dall’art. 388 c.p. o comunque tenendo l’esatta condotta dal medesimo articolo prevista in danno di XXX, condannarlo per i titoli dedotti in narrativa al risarcimento in favore dell’attrice di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali da lei subiti in conseguenza dell’illecito del convenuto da quantificarsi, anche con ricorso a giudizio di equità, in Euro 10.000,00, oltre interessi di legge e rivalutazione, ovvero in quella somma, maggiore o minore, che in corso di causa risulterà dovuta e di giustizia, anche con ricorso a giudizio di equità, oltre interessi di legge e rivalutazione; con vittoria di spese e compensi di lite da distrarsi in favore dei procuratori che si dichiarano antistatari”.

Si costituiva in giudizio il convenuto YYY così concludendo:

” Piaccia all’Ecc.mo Tribunale adito, in persona del Giudice Unico designato, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione rigettata e disattesa:

nel merito: rigettare ogni domanda formulata dall’attrice poiché infondata in fatto ed in diritto per tutte le ragioni suesposte.

Con vittoria di spese e compenso professionale di giudizio”.

 Il giudizio veniva istruito con l’acquisizione dei documenti ritualmente depositati dalle parti e l’esame dei testi ammessi, previo espletamento dell’interrogatorio formale del convenuto.

 All’udienza del 26 gennaio 2021, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c.

*****

2.1. Nel merito la domanda è fondata e deve essere parzialmente accolta.

Parte attrice agisce per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito per effetto delle asserite condotte perpetrate dalla parte convenuta che integrerebbero il reato previsto dall’art. 388 c.p.

In particolare, dalla documentazione in atti e dalle prove assunte risulta che:

– con sentenza n. 549/2016 del 21 giugno 2016, il Tribunale di Terni accoglieva la domanda della parte attrice condannando la *** S.r.l. – di cui il YYY era amministratore e unico socio – al pagamento della somma di Euro 7.800,00 oltre interessi legali e alle spese per canoni di locazione non pagati (passata in giudicato);

– in data 21 luglio 2016 veniva notificato a *** S.r.l. atto di precetto per la somma complessiva per sorte, spese e compensi legali di Euro 11.222,33;

– decorso infruttuosamente il termine dilatorio di legge, XXX avviava un’azione esecutiva presso il terzo *** S.p.A. con esito parzialmente negativo (sul conto corrente intestato a *** S.r.l. c’era un saldo positivo di soli € 195, 29);

– in data 03/10/2016 veniva notificato un ulteriore atto di pignoramento presso terzi, nello specifico nei confronti di ***, il cui legale rappresentante dichiarava, in data 10/10/2016, che alla data di notifica del pignoramento la *** era debitrice nei confronti della Società *** S.r.l. della somma di € 2.014,60; tale somma veniva poi assegnata alla parte attrice con ordinanza del giudice dell’esecuzione di questo Tribunale del 16 marzo 2017 (doc. 1, alla prima memoria ex art. 183, comma 6 c.p.c. di parte attrice e doc. 4, fasc. convenuto);

– al fine di vagliare le possibilità di riscossione in via forzosa del credito, la parte attrice effettuava alcune indagini sulla situazione patrimoniale e finanziaria della *** S.r.l. e veniva esaminato il bilancio di esercizio della società al 31 dicembre 2015 estratto dai registri di pubblicità legale da cui emergeva che:

o nell’attivo dello stato patrimoniale risultavano immobilizzazioni materiali per € 81.782,00 al lordo degli ammortamenti per € 24.267,00 e quindi un totale per immobilizzazioni materiali pari a € 57.515,00 e nell’attivo circolante, crediti esi-gibili entro l’esercizio successivo per € 27.952,00;

o nel passivo dello stato patrimoniale, al patrimonio netto, risultavano utili dell’esercizio per € 7.046,00;

o nel conto economico risultavano ricavi delle vendite e delle prestazioni per € 314.818,00;

– in data 3 ottobre 2016 veniva richiesto un pignoramento mobiliare, eseguito in data 5 ottobre 2016, con esito negativo;

– YYY, all’epoca socio unico e amministratore unico di *** S.r.l., dichiarava all’Ufficiale Giudiziario che i beni presenti nei locali non erano di proprietà della società, a tal fine esibendo una fattura di vendita degli stessi alla società *** S.a.s.;

– dalla fattura allegata in copia al verbale di pignoramento risultava che il negozio tra le due società sarebbe avvenuto in data 22 settembre 2016 e che il prezzo di € 7.625,00 I.V.A. compresa avrebbe dovuto essere pagato in 5 rate mensili;

– tutti i beni rimanevano nella piena disponibilità di *** S.r.l. – almeno fino ai primi mesi dell’anno 2017 – che continuava ad utilizzarli per l’attività di bar come accordato dalla stessa società acquirente, *** s.a.s. (cfr. dich. ***);

– in data 7 ottobre 2016, la parte attrice richiedeva un pignoramento dei crediti presso il terzo *** S.a.s. che, tuttavia, dichiarava di non essere debitore di *** S.r.l. di alcuna somma, essendo stato il prezzo di vendita dei beni già integralmente saldato (cfr. ordini di pagamento e bonifici in atti e dich. ***);

– in data 19 ottobre 2016 XXX sporgeva denunciaquerela nei confronti di YYY ripercorrendo i medesimi fatti di cui all’atto introduttivo del presente giudizio;

– il procedimento penale n. /2016 RGNR del Tribunale di Terni aperto a carico di YYY per violazione dell’art. 388 c.p. concludeva con sentenza di patteggiamento n. 155/2017 depositata dal Gip di Terni in data 8 giugno 2017, non impugnata e dunque divenuta irrevocabile.

*****

Ciò posto, in via preliminare occorre richiamare l’orientamento della Suprema Corte dal quale non vi è ragione di discostarsi secondo cui “La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presupponendo pur sempre una ammissione di colpevolezza, esonera la controparte dall’onere della prova”. (cfr. Cassazione civile, sez. un., 31/07/2006, n. 17289; Cass. Sez. Lav., 7.02.2019, n. 3643).

In merito alla fattispecie penale in contestazione si richiama l’orientamento della Suprema Corte secondo cui:

– “Ai fini della configurabilità del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice di cui all’art. 388, comma primo, cod. pen. non è sufficiente che gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato sui propri o altrui beni siano oggettivamente finalizzati a consentirgli di sottrarsi agli adempimenti indicati nel provvedimento, rendendo così inefficaci gli obblighi da esso derivanti, ma è necessario che tali atti abbiano natura simulata o fraudolenta, siano cioè connotati da una componente di artificio, inganno o menzogna concretamente idonea a vulnerare le legittime pretese del creditore. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha ritenuto priva di offensività, perché non fraudolenta, la vendita di una parte di beni immobili effettuata, con atto pubblico regolarmente trascritto, dal debitore intimato successivamente alla notifica dell’atto di precetto)….;

– ….Con riguardo alla nozione di “atto fraudolento” contenuta nella disposizione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, laddove, con terminologia mutuata dall’art. 388 c.p., si sanziona la condotta di chi, “al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto (…) aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”, questa Corte ha osservato che deve essere considerato atto fraudolento “ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno” (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), ovvero che è tale “ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione” (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798)….

– …non potendo, come già affermato da questa Corte con riferimento sempre al reato di cui all’art. 11 cit., l’accertamento della sussistenza del requisito, questa volta, di idoneità dell’atto, prescindere da una valutazione dell’intero patrimonio del contribuente da rapportare al debito insorto, ben suscettibile di essere ugualmente garantito. Il rischio che la pretesa creditoria non trovi capienza nel patrimonio del debitore presuppone che la diminuzione causata dall’atto realizzato comporti una riduzione significativa delle garanzia, da valutare sia in relazione al credito sia in relazione al patrimonio del contribuente (Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771)…” (cfr. SU penali Cass. penale n. 12213/2017).

Ciò evidenziato, l’applicazione della pena su richiesta dello stesso YYY costituisce un elemento di prova a suo carico anche nel presente giudizio civile che, unitamente agli altri elementi di prova forniti dalla parte attrice, a parere dello scrivente, consentono di ritenere provati gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 388 c.p.

Invero, risulta provato che, dopo la notifica dell’atto di precetto, il YYY vendeva tutti i beni mobili di proprietà della società da lui amministrata (di cui era socio unico) ad un soggetto terzo: tale circostanza viene confermata dallo stesso Galuzzi nelle memorie di cui all’art. 183, comma 6 c.p.c. (peraltro contraddicendo quanto da lui stesso affermato nella comparsa di risposta ove riferiva di aver venduto solo parte dei suddetti beni mobili).

La natura fraudolenta della predetta vendita appare con evidenza dal prezzo a cui tali beni mobili venivano ceduti dal YYY alla società *** s.a.s.

Risulta per tabulas infatti che, a fronte di immobilizzazioni materiali per € 81.782,00 al lordo degli ammortamenti per € 24.267,00 e, quindi, a fronte di un totale per immobilizzazioni materiali pari a € 57.515,00, come risultante dal bilancio di esercizio della società al 31 dicembre 2015, il YYY vendeva i medesimi beni, dopo pochi mesi dalla redazione del bilancio, ad un prezzo irrisorio, pari ad euro 7.625,00 I.V.A. inclusa (cfr. doc. in atti).

Anche le dichiarazioni rese sul punto da parte dell’acquirente dei suddetti beni sono del tutto generiche (cfr. dich. tale *** che, fra l’altro, nemmeno ricordava il prezzo al quale li acquistò); anche lo stesso YYY, in sede di interrogatorio formale non fornisce motivazioni idonee per giustificare la notevolissima differenza tra il valore riportato nel bilancio e quello di vendita.

Tale “svendita” viene giustificata dalla parte convenuta dalla necessità di reperire liquidità attesa l’improvvisa crisi patrimoniale della società *** S.r.l. di cui tuttavia non vengono specificate le cause, né la reale consistenza. Peraltro, a dimostrazione dell’asserita segnalazione della società di proprietà del convenuto alla Centrale rischi interbancaria e dell’asserita “…impossibilità di far fronte alle obbligazioni contratte, prima fra tutte il rimborso del mutuo sottoscritto con la *** del 10.11.2015…”, il YYY non ha prodotto alcuna documentazione probatoria né le dichiarazioni rese dai testi assunti, per la loro genericità, hanno fornito alcun supporto probatorio alla tesi della parte convenuta (cfr. dich. ***).

In sostanza, per effetto della vendita “sottocosto” – idonea, quindi, a rappresentare un valore non corrispondente al vero – degli unici beni mobili di proprietà della società del YYY, la creditrice/odierna parte attrice si è vista “sfumare” gli unici beni “aggredibili” in sede esecutiva, risultando così compromessa ogni garanzia per la soddisfazione del proprio credito.

Pertanto, alla luce dei predetti elementi di prova, deve ritenersi che il comportamento del YYY – vendita “sottocosto” dei beni mobili della società ad un soggetto terzo, peraltro con l’accordo di mantenerne il possesso per alcuni mesi – aveva proprio il fine di impedire la soddisfazione dei creditori, tra cui l’odierna parte attrice.

2.2. Per quanto riguarda i danni conseguenza lamentati dalla parte attrice si osservi quanto di seguito.

Nessun dubbio in merito alla sussistenza ed all’entità del danno patrimoniale corrispondente alla perdita economica subita dalla parte attrice, pari alla differenza tra la somma precettata (euro 11.222,33) e la somma ottenuta in sede esecutiva (euro 195, 29 – coma da dichiarazione del terzo *** S.p.A. – ed euro 2.014,60 – come da dichiarazione del terzo **** – poi assegnata alla parte attrice con ordinanza del giudice dell’esecuzione di questo Tribunale del 16 marzo 2017) e, quindi, pari ad euro 9.012,44.

A tali somme dovranno essere aggiunti gli interessi legali calcolati sulle somme devalutate e rivalutate di anno in anno fino alla data di pubblicazione della presente sentenza. Sulle somme così ottenute andranno poi calcolati gli interessi legali da tale momento fino all’effettivo saldo.

Per quanto riguarda il danno non patrimoniale, si osservi che, nell’ipotesi in cui il fatto illecito si configuri come reato, come nel caso in esame, è risarcibile il danno morale, sofferto dalla persona offesa ma tale danno non patrimoniale, costituendo pur sempre un danno-conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, non potendo mai considerarsi “in re ipsa”.

Al riguardo, dalle prove documentali e testimoniali assunte, si ritiene che la parte attrice non abbia assolto all’onere probatorio sulla stessa gravante attesa la genericità delle dichiarazioni dei testi assunti (cfr. dich. dei figli della parte attrice) e l’impossibilità di ricorrere ad una liquidazione equitativa del danno che presuppone pur sempre la gravità del danno subito da escludersi nel caso concreto anche in considerazione del non ingente credito azionato in via esecutiva.

Le spese di lite, liquidate nella parte dispositiva secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, ridotte non oltre il 50%, attesa la non particolare complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Terni, definitivamente pronunciando nella causa distinta al n. 3028/2017, ogni ulteriore domanda ed eccezione disattesa:

1. accoglie parzialmente la domanda e, per l’effetto, condanna YYY al pagamento, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, della somma di Euro 9.012,44 in favore di XXX, oltre interessi legali come indicati in parte motiva;

2. condanna YYY al pagamento delle spese di lite sostenute da XXX, che liquida in Euro 2.500,00 per compenso professionale, oltre 15% spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore dei difensori dichiaratisi antistatari. Così deciso in Terni, il 22 luglio 2021

Il Giudice

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