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Risoluzione del contratto di mutuo, precetto

Perché si verifichi la risoluzione del contratto di mutuo è sufficiente la sola notificazione da parte del creditore, dell’atto di precetto.

Pubblicato il 12 November 2021 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

La Corte di Appello di Bari, Seconda sezione civile, composta dai signori magistrati:

ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 1950/2021 pubblicata il 11/11/2021

nella causa civile in grado di appello iscritta nel Ruolo Generale Affari Contenziosi Civili sotto il numero d’ordine 2064 dell’anno 2018 avente ad oggetto:

accertamento negativo del credito.

TRA

XXX

APPELLANTI

CONTRO

YYY s.p.a. (già ZZZ s.p.a.) derivante dalla fusione per incorporazione della “KKK s.p.a.” nella JJJ s.p.a.,

APPELLATA

*****

All’udienza collegiale del 25 giugno 2021 che si è tenuta nelle forme della trattazione scritta disposta con decreto del presidente di sezione in attuazione delle norme dirette a contrastare l’emergenza sanitaria da covid 19, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti da intendersi qui per richiamate e trascritte, la causa è stata trattenuta in decisione con la concessione dei termini di cui all’articolo 190 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

XXX e ***, premesso di avere stipulato il 31 marzo 1992 nelle rispettive qualità di mutuataria e di garante con l’ istituto bancario KKK s.p.a. un contratto di mutuo agrario di miglioramento per lire 253.031.522 eleggendo domicilio ai fini dell’esecuzione del contratto e per la notifica presso la segreteria del comune ove si trovavano gli immobili ipotecati (***), esponevano che con atto di precetto del 9 novembre 1993 l’istituto bancario KKK di Torino s.p.a. aveva intimato il pagamento di lire 269.377.822 pari a € 139.122,03 notificando l’intimazione presso la segreteria del comune di Foggia dove era stato anche indirizzato il successivo atto di pignoramento immobiliare del 6 dicembre 1993.

Convennero quindi in giudizio YYY s.p.a. e ZZZ s.p.a. sostenendo l’inesistenza della notifica degli atti predetti dichiarata anche dal tribunale con ordinanza del 12 marzo 2010, e rappresentando la mancanza di successivi atti interruttivi della prescrizione oltre alla circostanza che YYY aveva ceduto il credito al ZZZ s.p.a. con atto di conferimento di azienda del 30 giugno 2013.

Costituitasi in giudizio, YYY s.p.a. eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva essendo titolare del rapporto KKK ZZZ s.p.a. successivamente denominata ZZZ s.p.a., oltre alla infondatezza delle avverse pretese.

Si costituiva in giudizio anche ZZZ s.p.a. che evidenziava numerosi atti di interruzione della prescrizione posti in essere dall’istituto di credito oltre al riconoscimento del debito da parte dei mutuatari.

Con la sentenza impugnata, numero 2132/2018 notificata il 25 luglio 2018, il tribunale di Foggia rigettava la domanda condannando XXX e *** a rifondere le spese processuali in favore di YYY s.p.a. e ZZZ s.p.a.

Osservava il giudice di primo grado in base al principio della cosiddetta “ragione più liquida” che la pretesa degli attori era finalizzata a una pronuncia che accertasse l’estinzione del credito per intervenuta prescrizione e quindi era irrilevante la documentazione depositata dagli attori con la seconda memoria istruttoria.

Stando all’atto di citazione, la notifica dell’atto di precetto e di pignoramento immobiliare rispettivamente eseguite il 9 novembre 1993 e il 6 dicembre 1993 presso un domicilio diverso da quello contrattualmente stabilito erano giuridicamente inesistenti e l’instaurazione del presente giudizio in data 12 maggio 2010 era avvenuta quando la prescrizione quinquennale relativa agli interessi e quella decennale relativa alla sorta capitale erano ampiamente decorse in mancanza di validi atti di interruzione della prescrizione.

Infatti-proseguiva il giudice di primo grado-, al rapporto in esame si doveva applicare il termine di prescrizione ordinaria decennale trattandosi di un rapporto negoziale di carattere unitario nel quale a fronte dell’erogazione dell’intera somma mutuata, il beneficiario si obbligava a restituire la stessa unitamente agli interessi corrispettivi, mensilmente con rate costanti. Era allora ravvisabile un unico rapporto obbligatorio nascente dal medesimo prestito in forza di un unico titolo rappresentato dal contratto di mutuo e quindi non si applicava la prescrizione quinquennale prevista dall’articolo 2948 del codice civile per i crediti da pagare periodicamente.

Il contratto di mutuo prevedeva la restituzione della somma mutuata in rate costanti semestrali per il periodo di sette anni, dal 1° gennaio 1994 al 31 dicembre 2000 e la data di decorrenza della prescrizione doveva essere individuata con riferimento alla scadenza dell’ultima rata del mutuo e non alla data di stipula del contratto (Corte di cassazione numero 17798/2011).

Non si era realizzata l’anticipazione del dies a quo della prescrizione al momento di notifica dell’atto di precetto, del 9 novembre 1993 a mezzo del quale la banca aveva dichiarato gli attori decaduti dal beneficio del termine esigendo l’immediato pagamento dell’intero importo, e neppure al momento successivo del pignoramento del 6 dicembre 1993. Questo perché il procedimento esecutivo numero 673/1993 originato da tali atti si era concluso con sentenza del tribunale di Foggia del 10 novembre 2014 passata in giudicato, con la quale era stata dichiarata l’inesistenza della notificazione dell’atto di precetto e del pignoramento per essere stati notificati presso un luogo avulso dalla residenza dei destinatari e dal domicilio contrattualmente eletto, con la conseguente invalidità di tutti gli atti esecutivi successivi compiuti in conseguenza.

Pertanto, in assenza di un valido atto di risoluzione del contratto di mutuo, l’inizio della prescrizione del credito dell’ente era coincidente con la scadenza del settennio di ammortamento del mutuo.

Individuata quindi nel 31 dicembre 2000 la data di decorrenza del termine di prescrizione, alla data della domanda notificata al ZZZ l’11 maggio 2010 e a YYY s.p.a. il 12 novembre 2010, il termine decennale non era ancora decorso.

Appariva quindi irrilevante la valutazione circa la idoneità delle missive prodotte dalle banche convenute a interrompere la prescrizione non ancora maturata.

Per la riforma della decisione, con atto di citazione notificato il 13 settembre 2018 a mezzo di posta elettronica certificata hanno proposto appello XXX e *** che hanno chiesto di annullare la sentenza numero 2132/2018 del tribunale di Foggia; dichiarare non titolare del credito il ZZZ s.p.a.; in ogni caso, dichiarare prescritto il credito vantato dal ZZZ s.p.a.; dichiarare titolare del credito YYY e per l’effetto affermare la prescrizione del credito intimato con atto di precetto del 6 novembre 1993;

in via subordinata, dichiarare prescritto il credito per maturazione del termine decennale nel corso del giudizio, nei confronti del soggetto astrattamente titolare del credito, il tutto con vittoria delle spese processuali del doppio grado di giudizio da distrarre in favore del procuratore anticipatario.

Si è costituita in giudizio YYY s.p.a. già ZZZ s.p.a., e ha chiesto di dichiarare inammissibile l’impugnazione ai sensi dell’articolo 348 bis c.p.c.; dichiarare inammissibili le domande nuove proposte; in subordine e nel merito, rigettare l’appello con la integrale conferma della sentenza di primo grado, il tutto con vittoria di spese diritti ed onorari anche ai sensi dell’articolo 96 c.p.c.

All’udienza del 25 giugno 2021 che si è tenuta nelle forme della trattazione scritta come disposto dal presidente di sezione con decreto del 4 maggio 2021 in attuazione delle disposizioni normative dirette a fronteggiare l’emergenza sanitaria da covid 19, la causa è stata trattenuta in decisione con la concessione dei termini di cui all’articolo 190 c.p.c. decorrenti dalla data di comunicazione dell’ordinanza, del 28 giugno 2021.

Con il primo motivo di gravame, premesso che l’atto di precetto risulta allegato al numero 2 del fascicolo di parte e quindi il tribunale ha errato nel non ritenerlo allegato agli atti, osservano gli appellanti che il giudizio di primo grado aveva per oggetto la prescrizione del diritto fatto valere con l’atto di precetto del 9 novembre 1993. Il diritto della banca era maturato per l’intero e quindi l’istituto bancario avrebbe potuto pretendere l’immediato pagamento dell’intero mutuo, posto che a norma degli articoli 38 e 39 del testo unico 16 luglio 1905 numero 646 l’istituto ha il diritto di ottenere immediatamente il pagamento integrale del complessivo suo credito.

La prescrizione del diritto decorre ai sensi dell’articolo 2935 del codice civile, dal momento in cui il creditore può far valere il diritto e non dalla comunicazione al debitore della sua intenzione. Quindi nel caso di specie il termine di prescrizione decorreva dal novembre 1993.

Il tribunale ha individuato una data di decorrenza della prescrizione diversa da quella desumibile dalla posizione processuale delle banche, che avevano sostenuto la interruzione della prescrizione per effetto dell’atto di precetto e del pignoramento oltre che sulle missive ritenute irrilevanti dal tribunale.

L’affermazione contenuta nella seconda conclusionale del ZZZ s.p.a. in ordine alla decorrenza della prescrizione dalla scadenza del mutuo sarebbe-secondo gli appellanti-irrilevante perché si tratta di una eccezione tardiva e contrastante con tutta l’attività processuale degli istituti bancari. Essendo stata riservata la causa una prima volta per la decisione con la concessione dei termini di cui all’articolo 190 c.p.c., le parti non avrebbero potuto modificare le domande e le conclusioni già rassegnate. Né gli istituti bancari avevano dedotto il fatto nuovo della diversa decorrenza della prescrizione, nelle conclusioni formulate a verbale.

Si chiede pertanto la emanazione di una sentenza che affermi come la prescrizione decorresse dal 9.11.1993 quando la banca formalizzò il proprio diritto all’immediato pagamento dell’intero credito.

Il primo motivo di appello è destituito di fondamento.

Con la citazione introduttiva gli attori XXX e ***, assumendo che l’atto di precetto e quello di pignoramento immobiliare erano stati notificati rispettivamente il 9 novembre 1993 e il 6 dicembre 1993 presso la casa comunale di Foggia invece di quella di Ordona dove i debitori avevano eletto domicilio, e che quindi la notificazione era inesistente; che da parte dell’istituto bancario KKK di Torino non erano stati compiuti atti di interruzione della prescrizione, chiesero che venisse dichiarato prescritto il credito di cui al contratto di mutuo del 31 marzo 1992.

Si costituì in giudizio il ZZZ s.p.a. che, premesso che l’originario creditore che aveva stipulato il contratto di mutuo istituto bancario KKK di Torino aveva assunto la denominazione di KKK s.p.a. in seguito alla fusione per incorporazione di Istituto Mobiliare Italiano s.p.a. nell’Istituto bancario KKK di Torino s.p.a. e che con atto del 18 dicembre 2002 aveva fuso per incorporazione il ZZZ; che con atto del 10 aprile 2003 era stata costituita la società KKK ZZZ s.p.a. che era divenuta titolare dei crediti in seguito ad atto di conferimento del ramo aziendale afferente alla operatività bancaria nelle regioni Campania, Puglia, Calabria e Basilicata da parte di KKK s.p.a.; che il KKK ZZZ s.p.a. aveva assunto la denominazione sociale di ZZZ s.p.a. con decorrenza dal 22 ottobre 2007, sostenne l’infondatezza della domanda degli attori non essendo maturata alcuna prescrizione del credito attesi i numerosi atti di interruzione posti in essere dalla banca indicati specificamente nella comparsa di costituzione.

Quanto alla titolarità del credito in capo al ZZZ, precisò che il rapporto relativo al contratto di mutuo stipulato dagli attori con l’istituto bancario KKK di Torino il 31 marzo 1992 era stato ceduto a titolo particolare al KKK ZZZ s.p.a. (ora ZZZ s.p.a.) con atto di conferimento di ramo aziendale da parte di KKK s.p.a. che aveva incorporato il ZZZ s.p.a., in data 30 giugno 2003.

Si costituì in giudizio YYY s.p.a. che sostenne il proprio difetto di legittimazione passiva essendo titolare del credito il ZZZ s.p.a. per effetto della cessione del ramo aziendale di cui all’atto del 30 giugno 2003, oltre a contestare nel merito la fondatezza della domanda introdotta dagli attori, di accertamento della compiuta prescrizione.

Come si è visto il tribunale ha affermato che non si era verificata alcuna anticipazione del momento di decorrenza della prescrizione a quello di notifica dell’atto di precetto del 9 novembre 1993, con il quale l’istituto bancario aveva dichiarato gli attori decaduti dal beneficio del termine, esigendo l’immediato pagamento dell’intero importo, e neppure al momento successivo del pignoramento in data 6 dicembre 1993, poiché il procedimento esecutivo che ne era scaturito si era concluso con la sentenza con la quale il tribunale il 10 novembre 2014 aveva dichiarato l’inesistenza della notificazione sia dell’atto di precetto che del pignoramento, notificati presso la casa comunale di Foggia rispetto alla quale non vi era alcuna relazione con i debitori. Per effetto di tale inesistenza, deve trovare quindi applicazione la regola generale secondo la quale nel contratto di mutuo la prescrizione del diritto al rimborso della somma mutuata inizia a decorrere dalla scadenza dell’ultima rata, atteso che il pagamento dei ratei configura un’obbligazione unica ed il relativo debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata. (cfr. Corte di cassazione Sez. 3, Sentenza n. 17798 del 30/08/2011, Rv. 619370 – 01).

Infatti, l’inesistenza della notificazione del precetto e del pignoramento sostenuta dagli opponenti e affermata dal tribunale con la sentenza passata in giudicato, rende priva di efficacia la dichiarazione contenuta nel precetto, di voler esigere l’intero importo mutuato formulata dall’istituto bancario e quindi non si è verificata la decadenza dal beneficio del termine in danno dei debitori, non essendo stata portata a conoscenza di questi ultimi la predetta dichiarazione che avrebbe comportato la decadenza dal beneficio del termine ai sensi degli articoli 38 e 39 del testo unico sul credito fondiario numero 646/1905 menzionato nel precetto.

Nessuna violazione dell’articolo 112 c.p.c. è stata commessa da parte del giudice di prime cure nella valutazione degli elementi di fatto portati alla sua cognizione, essendo principio ormai consolidato quello secondo il quale in tema di prescrizione estintiva, elemento costitutivo della relativa eccezione è l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, prolungatasi per il tempo previsto dalla legge, il che implica che la parte ha solo l’onere di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di voler profittare di quell’effetto, ma non anche quello di individuare direttamente o indirettamente le norme applicabili al caso di specie, che costituisce una “quaestio iuris” concernente l’identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge. Né rileva la genericità o l’errore della parte relativamente al periodo di tempo che dovrebbe intendersi coperto dalla prescrizione, nonché alla individuazione del termine iniziale, atteso il potere – dovere del giudice di esaminare l’eccezione medesima e di stabilire in concreto ed autonomamente se essa sia fondata in tutto o in parte, determinando il periodo colpito dalla prescrizione e la decorrenza di esso in termini eventualmente diversi da quelli prospettati dalla parte. (cfr. Corte di cassazione Sez. L, Sentenza n. 16573 del 23/08/2004; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21357 del 06/10/2020; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 1064 del 20/01/2014; Sez. 1, Sentenza n. 15631 del 27/07/2016).

Con il secondo motivo di gravame, si sostiene il vizio di ultrapetizione della sentenza nella parte in cui ha affrontato il tema della risoluzione del contratto che non era stato mai prospettato dalle parti.

Anche il secondo motivo è destituito di fondamento.

Il tema della risoluzione del contratto di mutuo per effetto dell’inadempimento della mutuataria è stato introdotto dagli stessi attori nel sostenere la inesistenza della notificazione dell’atto di precetto con il quale l’istituto bancario, valendosi del disposto di cui agli articoli 38 e 39 del testo unico numero 646/1905, aveva richiesto l’immediato pagamento del complessivo suo credito. Questo perché proprio la risoluzione del contratto di mutuo invocata dalla banca con l’atto di precetto giustificava il suo diritto di agire esecutivamente nei confronti dei debitori prima della naturale scadenza del contratto coincidente con l’ultima rata prevista nel piano di ammortamento.

Infatti, in tema di mutuo fondiario, in ipotesi di inadempimento del mutuatario, l’esercizio della «condizione risolutiva» da parte dell’Istituto di credito mutuante determina la risoluzione del rapporto di mutuo. Ne discende l’obbligo del mutuatario di provvedere alla immediata restituzione della intera somma ricevuta, essendo venuto meno il meccanismo di rateizzazione previsto nel contratto ormai risolto. Ciò rende inattuale ogni discussione in ordine al preteso carattere unitario ed inscindibile delle rate di mutuo. Ne consegue altresì che alla banca compete il diritto di ricevere, oltre all’importo integrale delle semestralità già scadute (non travolte dalla risoluzione, che non opera retroattivamente nei contratti di durata, quale è da ritenersi il mutuo), la sola quota di capitale residua, ma non anche gli interessi conglobati nelle semestralità a scadere e che sul credito così determinato si dovranno calcolare gli interessi di mora ad un tasso corrispondente a quello già previsto nel contratto, se superiore al tasso legale, in ossequio al disposto dell’art. 1224, comma 1, c.c.. (cfr. Cassazione civile sez. un. – 19/05/2008, n. 12639).

Perché si verifichi la risoluzione del contratto di mutuo poi, è sufficiente la sola notificazione da parte del creditore, dell’atto di precetto come è stato affermato dalla Corte di cassazione (cfr. Cass. 21 ottobre 2005 n. 20449) secondo la quale, la notificazione da parte della banca di un atto di precetto al mutuatario inadempiente per il pagamento del credito vantato, anche residuo, comporta la risoluzione del contratto, in quanto con questo atto la banca manifesta la propria volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista dell’art. 15 d.P.R. n. 7, cit., dovendo essere così qualificata quella testualmente indicata dalla norma come «condizione risolutiva».

Con riferimento alle norme in vigore alla data di stipulazione del contratto di mutuo, si è altresì affermato che l’art. 39 r.d. 16 luglio 1905 n. 646 – che costituisce l’immediato antecedente alla disciplina contenuta nell’art. 7 d.P.R. n. 7, cit. – comporta che la decisione dell’istituto mutuante di avvalersi della condizione risolutiva prevista dal ricordato art. 39 non preclude la prosecuzione del rapporto di mutuo, ma implica solo la decadenza del debitore moroso dal beneficio del termine per il pagamento delle somme a scadere con la conseguenza che durante tale periodo gli interessi convenzionali, ancorché convertiti in interessi di mora, continuano a decorrere al tasso pattuito. (cfr. Corte di cassazione Sez. 3, Sentenza n. 3763 del 10/04/1991, Rv. 471610 – 01).

Il tribunale quindi non ha fatto altro che applicare alla fattispecie oggetto della controversia le norme di legge esercitando il potere-dovere che gli derivava direttamente dall’ordinamento.

Con il terzo motivo di appello, sostengono gli appellanti che il tribunale avrebbe dovuto individuare la banca titolare del diritto riconoscendo il difetto del diritto in capo al ZZZ s.p.a. che avrebbe dovuto condannare al pagamento delle spese processuali, anche tenuto conto della data di costituzione del 1° febbraio 2011 del soggetto astrattamente legittimato (YYY s.p.a.), successiva alla maturazione della prescrizione indicata dal tribunale.

Proseguono gli appellanti rilevando che i mandati di pagamento dei contributi regionali in conto capitale e in conto interessi venivano emessi in favore dell’istituto KKK di Torino e non già in favore della filiale di Foggia, contrariamente a quello che avveniva rispetto alle altre banche in cui i mandati venivano emessi in favore delle filiali. Con la conseguenza che il ZZZ s.p.a. non poteva collegare la posizione degli Stella- Pisciola alla filiale di Foggia essendo la posizione intrattenuta direttamente presso la sede di Torino non trasferita al ZZZ s.p.a.

Il terzo motivo di gravame è parimenti privo di fondamento.

Sono stati gli stessi attori con l’atto di citazione introduttivo a convenire in giudizio sia l’YYY s.p.a. che il ZZZ s.p.a. evidenziando che YYY aveva sostenuto di avere “passato” il credito al ZZZ s.p.a. con il conferimento di azienda del 30 giugno 2003.

Di fronte alle allegazioni del ZZZ s.p.a. e della stessa YYY s.p.a. dirette a documentare la titolarità del credito in favore del ZZZ s.p.a., la difesa degli attori nulla osservava fino alla comparsa conclusionale con la quale sosteneva che le banche non avevano fornito la prova del trasferimento del credito in favore del ZZZ s.p.a., non avendo il ZZZ s.p.a. depositato alcun elenco delle succursali cedute, nessun elenco dei crediti ceduti e nessun documento contabile che provasse la titolarità del credito in capo alla succursale alla data del trasferimento del ramo d’azienda, di talché si doveva escludere la successione del credito in capo al soggetto incorporante l’istituto KKK s.p.a. e cioè YYY s.p.a. (si veda la memoria di replica depositata nell’interesse degli attori il 28 maggio 2015).

Le contestazioni sollevate dagli attori circa la titolarità del credito in favore del ZZZ sono inammissibili in quanto tardive tanto che sulle stesse il giudice di primo grado non si è nemmeno pronunciato e anzi nella parte della sentenza dedicata allo svolgimento del processo ha espressamente indicato che da parte degli attori era stata rappresentata la circostanza che YYY aveva ceduto il credito al ZZZ s.p.a. con l’atto di conferimento di azienda del 30 giugno 2013.

Come si è visto, l’unica domanda proposta con l’atto di citazione introduttivo era diretta a far accertare l’avvenuta prescrizione del credito vantato da ZZZ s.p.a., mentre gli stessi attori avevano evidenziato nell’atto di citazione che YYY s.p.a. aveva sostenuto di avere ceduto il credito al ZZZ s.p.a. con il conferimento di azienda del 30 giugno 2003. Gli attori non avevano contestato la cessione del credito al ZZZ s.p.a. e neppure la titolarità dello stesso in capo alla cedente YYY s.p.a. e anzi avere convenuto entrambi gli istituti bancari costituisce una implicita affermazione della titolarità del credito in capo agli stessi. Non avrebbe avuto senso l’accertamento di una prescrizione nei confronti di chi non era titolare del diritto asseritamente prescritto.

Dovendosi pertanto ritenere non contestate le circostanze di fatto allegate dal ZZZ s.p.a. circa la titolarità del credito in proprio favore, il motivo di appello introduce un tema di indagine inammissibile perché non ha costituito oggetto del giudizio di primo grado.

L’eccezione proposta con la comparsa conclusionale da parte degli attori ora appellanti, con la quale si contesta il difetto di prova dell’avvenuta cessione del credito è evidentemente tardiva e quindi inammissibile alla stregua del principio affermato dalla Corte suprema di cassazione (cfr. Corte di cassazione Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24798 del 05/11/2020) secondo il quale la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ha (è vero) anche l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta (cfr. in senso conforme Corte di cassazione Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8975 del 15/05/2020, che ha ripreso il pronunciamento dei giudici di legittimità di cui a Cassazione Sez. U, Sentenza n. 11650 del 18/05/2006 che aveva già statuito come la società che propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello emessa nei confronti di un’altra società, della quale affermi di essere successore (a titolo universale o particolare), è tenuta a fornire la prova documentale della propria legittimazione, nelle forme previste dall’art. 372 cod. proc. civ., a meno che il resistente non l’abbia – nel controricorso, e non successivamente, nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. – esplicitamente o implicitamente riconosciuta, astenendosi dal sollevare qualsiasi eccezione in proposito e difendendosi nel merito dell’impugnazione. Dal che si ricava il principio che chi intende contestare la successione a titolo particolare nel diritto controverso come nel caso di cessione del credito è tenuto a farlo nel rispetto delle preclusioni stabilite dal codice di rito, trattandosi di una eccezione in senso proprio che non può essere oggetto di rilievo d’ufficio).

Analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento a quella che appare essere una contestazione della legittimazione sostanziale della filiale di Foggia del ZZZ s.p.a. in quanto il rapporto controverso secondo gli appellanti faceva capo alla sede centrale dell’istituto bancario KKK in Torino, filiale non trasferita al ZZZ s.p.a. Si tratta di una contestazione tardiva in quanto non ha costituito oggetto della domanda proposta con l’atto di citazione, come si è detto più volte avente per oggetto unicamente l’accertamento della prescrizione del diritto riveniente dal contratto di mutuo in favore del ZZZ s.p.a. cessionario del credito originariamente dell’istituto bancario KKK.

Con il quarto motivo di appello, in via subordinata gli appellanti contestano la decisione del tribunale secondo la quale la prescrizione non era maturata nel corso del processo e si dovesse fare riferimento alla data di notifica degli atti di citazione, l’11 maggio 2010 per il ZZZ e il 12 novembre 2010 per l’istituto KKK.

Questo perché le banche non avevano rivendicato alcun pagamento nel giudizio in questione per cui la prescrizione sarebbe maturata nel corso del processo; inoltre, YYY si era costituita il 1° febbraio 2011 per cui alla data della costituzione la prescrizione maturata secondo il tribunale il 31 dicembre 2010, si era già verificata.

Il motivo di appello è destituito di fondamento, anche se la motivazione assunta dal tribunale deve essere corretta.

Come si è visto, il giudice di primo grado ha osservato che il termine di prescrizione del diritto riveniente dal contratto di mutuo per cui vi è processo doveva decorrere dal 31 dicembre 2000, data dell’ultima rata contrattualmente stabilita cosicché la prescrizione decennale non si era ancora compiuta alla data di notificazione al ZZZ dell’atto di citazione (l’11 maggio 2010) e a quella di notificazione dello stesso atto a YYY s.p.a. (il 12 novembre 2010). La motivazione appare incongrua, tenuto conto del fatto che l’atto di citazione con il quale gli attori avevano sostenuto l’estinzione per prescrizione del diritto di richiedere il pagamento del mutuo non aveva certamente efficacia interruttiva del corso della prescrizione non essendo equiparabile a una richiesta di pagamento proveniente dall’istituto bancario creditore.

Si è tuttavia affermato che la richiesta del convenuto di mero rigetto della altrui domanda di accertamento negativo di un debito può costituire domanda idonea a svolgere efficacia interruttiva della prescrizione del diritto vantato nei confronti del debitore, ex art. 2943, comma 2, c.c., se è volta, in concreto, a ribadire le ragioni del proprio credito e a chiederne giudizialmente l’accertamento, con i consequenziali effetti permanenti di cui all’art. 2945 comma 2 c.c., ben potendo un’azione di accertamento negativo dell’altrui negazione del credito contenere implicitamente un’azione di accertamento della titolarità della situazione giuridica dedotta in giudizio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva negato efficacia interruttiva alla memoria di costituzione, con cui l’INPS chiedeva solo il rigetto dell’azione di accertamento negativo di un obbligo contributivo, senza accertare se tale richiesta trovasse fondamento in un’affermazione positiva delle sue ragioni creditorie). (cfr. Corte di cassazione Sez. L – , Sentenza n. 21799 del 29/07/2021, Rv. 661847 – 01).

Venendo al caso di specie, con la comparsa di costituzione e risposta depositata dal ZZZ il 26 ottobre 2010, quindi quando non era ancora spirato il termine di prescrizione decennale decorrente dal 31 dicembre 2000, la difesa dell’istituto bancario nel contestare la eccezione di prescrizione sollevata dagli attori faceva rilevare che costoro erano stati destinatari di plurimi atti di interruzione della prescrizione oltre ad avere riconosciuto l’esistenza del credito limitandosi in uno dei giudizi di merito instaurato in seguito ad opposizione alla esecuzione, a proporre la riduzione della somma pretesa dalla banca.

Il ZZZ espressamente affermava che non vi erano dubbi sull’esistenza del proprio credito che non poteva essersi estinto per prescrizione a causa degli atti di interruzione e di riconoscimento del credito da parte dei debitori.

Come si è visto inoltre, il ZZZ allegava le vicende in forza delle quali era divenuto titolare del credito originariamente dell’Istituto bancario KKK di Torino.

Alla stregua del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione pertanto, si deve ritenere che la comparsa di costituzione del ZZZ abbia validamente interrotto i termini di prescrizione fino alla definizione del presente giudizio.

Le spese processuali seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo ai sensi del decreto ministeriale numero 55/2014 omessa la fase della trattazione/istruttoria che non ha avuto svolgimento, in base al valore della controversia compreso nello scaglione fra € 52.001,00 e € 260.000,00.

Non si ritiene di applicare la sanzione prevista dall’articolo 96 c.p.c. tenuto conto della discreta complessità della controversia e della necessità di rettificare la motivazione della sentenza impugnata nel senso precisato innanzi.

P.Q.M.

La Corte rigetta l’appello proposto da XXX e *** con l’atto di citazione notificato nei confronti di YYY s.p.a. e ZZZ s.p.a. ora fusi nella YYY s.p.a. a seguito di atto del 10 ottobre 2018, avverso la sentenza numero 2132/2018 del tribunale di Foggia pubblicata il 25 luglio 2018;

condanna in solido fra loro gli appellanti XXX e *** a rifondere le spese processuali di secondo grado in favore di YYY s.p.a., liquidate in € 9515,00 oltre al rimborso forfettario del 15%, Iva e contributo previdenziale come per legge;

dichiara che nei confronti degli appellanti ricorrono le condizioni per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’articolo 13 comma 1 bis d.p.r. 30 maggio 2002 numero 115.

Così deciso nella camera di consiglio tenutasi in videoconferenza il 10 novembre 2021.

Firmato digitalmente da

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