fbpx
Generic filters
Parola esatta ...
Cerca nei titolo
Search in excerpt
Filtra per categoria
Codice Civile
Codice Penale

Regolamento condominiale, non ha natura contrattuale

Regolamento condominiale, non ha natura contrattuale quello avente ad oggetto l’ordinaria amministrazione e il miglior godimento della cosa comune

Pubblicato il 05 December 2019 in Diritto Civile, diritto condominiale, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
SEZIONE QUINTA CIVILE

in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa, ha pronunziato e dato lettura della seguente

SENTENZA n. 23154/2019 pubblicata il 03/12/2019

nella causa civile di primo grado iscritta al n. del Ruolo Generale per l’anno 2012,

TRA

XXX (C.F.) elettivamente domiciliato in, presso lo studio dell’Avv.ti come da procura in atti. ricorrente

E

CONDOMINIO YYY, in persona della condomina ZZZ (C.F.) anche quale erede della Signora ***, elettivamente domiciliati in, presso lo studio dell’Avv. che li rappresenta e difende unitamente all’avv. come da procura in atti. resistente

CONCLUSIONI: come in atti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

* * * * * * *

Con ricorso ex art. 1137 c.c. regolarmente notificato in data 4/2/2013, il Sig. XXX conveniva in giudizio il Condominio YYY in persona delle condomine Sig.re ZZZ e *** esponendo:

– di essere proprietario dell’appartamento situato al piano terra, con annesso terrazzo facente parte di un immobile sito in;

– che tale immobile gli era pervenuto in virtù di successione ereditaria dal Sig. *** il quale lasciava come superstiti i figli XXX e ZZZ ed il coniuge ***;

– che la Signora ***, già proprietaria della quota pari al 50% dell’edificio di, rinunciava all’eredità del coniuge accrescendo conseguentemente le quote dei figli XXX ed ZZZ i quali divenivano proprietari della quota pari al 25% ciascuno;

– che in data 21.9.1998 gli eredi di *** e la signora *** procedevano con scrittura privata alla divisione dell’immobile sito in con regolamentazione delle parti comuni;

– che, a seguito di disaccordi, le resistenti avanzavano richiesta di divisione mediante sottoscrizione di un atto notarile degli immobili ritenuti ancora cointestati pro quota;

– che sorgevano, sul punto, contrasti tra le parti e veniva avviata dalle resistenti la mediazione conclusasi, però, negativamente;

– che, veniva posta in essere un’attività di disturbo da parte delle resistenti e veniva notificato al ricorrente un atto di citazione per la divisione ereditaria del complesso immobiliare;

– che veniva indetta dalle resistenti per la data del 7.11.2012 un’assemblea di condominio comunicata a mezzo PEC per discutere 1) della designazione di un amministratore del bene pro indiviso, 2) della volontà di concedere in locazione il garage/magazzino a terzi, 3) dell’individuazione ed approvazione dei criteri di riparto delle spese comuni, 4) dell’individuazione ed approvazione di lavori straordinari ed urgenti da eseguire sulle parti comuni, 5) della libera circolazione delle aree comuni verdi, oltre alle varie ed eventuali;

– che il ricorrente faceva presente che vi era già un regolamento delle aree comuni e delle relative spese e non partecipava a detta assemblea;

– che, infine, la delibera veniva impugnata in quanto annullabile per vizi di forma (notifica tramite PEC e non per raccomandata, mancata indicazione della prima convocazione, mancata nomina di un presidente e segretario) e nulla perché contraria al regolamento tra le parti vigente.

Concludeva il ricorrente chiedendo che venisse dichiarata nulla o comunque annullabile la delibera assembleare impugnata.

Si costituivano le Signore *** e ZZZ impugnando e contestando le avverse domande chiedendone il rigetto.

Le resistenti deducevano come non vi fosse alcun condominio in quanto la proprietà dell’intero edificio era pervenuta pro quota indivisa per successione mortis causa. Assumevano, ancora, le resistenti come non esistesse alcun atto di divisione intercorso tra le parti quanto piuttosto una scrittura diretta ad individuare zone di uso e godimento personale e che, proprio a tale fine, era stata esperita un’azione per provvedere alla divisione del bene immobile con procedimento pendente innanzi al Tribunale Civile di Roma, 8^ Sezione RG n. /12.

Deducevano, infine, le resistenti che nel caso di specie le decisioni prese con verbale del 7.11.2012 erano state assunte nel pieno rispetto delle regole che presiedono la comunione essendo inapplicabile la disciplina del condominio.

Chiedevano, pertanto, le medesime resistenti il rigetto della domanda avanzata dal ricorrente.

All’udienza del 31.3.2016 la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. poi rimessa sul ruolo e rinviata d’ufficio al 10.1.2017. Nelle more interveniva il decesso della Signora *** ed il processo veniva dichiarato interrotto.

La causa è stata riassunta e rinviata più volte per precisazione delle conclusioni per l’avvicendamento di giudicanti.

Precisate, infine, le conclusioni all’udienza del 12 settembre 2019, la causa è stata trattenuta in decisione con concessione dei termini di legge per conclusionali e repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

* * * * * * * La domanda va rigettata per le motivazioni di cui appresso.

Dirimente, nel caso di specie, è l’individuazione della presenza o meno di un condominio, seppur minimo, come dedotto dal ricorrente.

Va al riguardo precisato che il condominio degli edifici (seppur minimo) costituisce una species del genus comunione e cioè un tipo di comproprietà contrassegnato dalla peculiarità dell’oggetto, consistente in una relazione strumentale di accessorietà tra le cose ed impianti e servizi comuni – che del condominio formano l’oggetto – e le unità abitative in proprietà individuale. Il condominio è definito come una forma particolare di comunione (detta forzosa) nella quale al fianco di parti dello stabile di proprietà esclusiva (le c.d. unità immobiliari) sussistono parti di proprietà comune.

In sostanza per aversi condominio tra edifici occorre che vi siano almeno due soggetti titolari ciascuno di proprietà esclusive che condividono parti comuni materialmente necessarie per l’esistenza o per l’uso, ovvero destinate per la funzione all’uso o al servizio delle singole unità immobiliari.

Qualora, invece, la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone si ricade nell’ipotesi di comunione nell’accezione sancita dall’art. 1100 c.c.

A caratterizzare la comunione non è, peraltro, la fonte del godimento (reale o personale) ma la contitolarità del diritto in capo a più persone della proprietà e/o del godimento stesso. Tipica ipotesi di comunione è quella ereditaria la quale si costituisce non per volontà delle parti ma per la sopravvenienza di fatti (evento morte) che determina l’attribuzione della titolarità agli eredi pro quota secondo le disposizioni di legge.

La differenza tra i due istituti è perfettamente sintetizzata in una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione laddove si è affermato che ” la specifica fisionomia giuridica del condominio negli edifici – la tipicità, che distingue l’istituto dalla comunione di proprietà in generale dalle altre formazioni sociali di tipo associativo – si fonda sulla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva e il condominio). Le norme dettate dagli artt. 1117, 1139 cod. civ. si applicano all’edificio, nel quale più piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune sono legati alle unità abitative dalla relazione di accessorietà” (Cass. SS. UU. 31 gennaio 2006 n. 2046).

Solo, dunque, se si è titolari in via esclusiva di una parte dell’edificio si può parlare di condominio mentre la contitolarità determina una comproprietà per quote.

Nel caso di specie il ricorrente assume di essere divenuto proprietario in via esclusiva dell’appartamento sito al piano terra con annesso terrazzo a livello a seguito di scrittura privata sottoscritta dalle parti in data 21 settembre 1998.

Con tale documento (cfr. doc. n. 3 allegazione parte ricorrente) effettivamente gli eredi della comunione indivisa hanno provveduto ad assegnare a ciascuno di essi i tre appartamenti ricevuti in comproprietà pro quota (nell’atto si parla di “assegnazione dei 3 appartamenti a titolo definitivo”) sciogliendo la comunione per gli appartamenti e mantenendo i restanti beni (locale garage/magazzino, giardino e terrazzo di copertura) in comunione pro indiviso. Tale scrittura, pur se avente efficacia solo tra le parti in quanto non trascritta, è da considerare idonea a determinare lo scioglimento parziale della comunione con attribuzione in via esclusiva dei tre appartamenti ai tre originari comunisti, secondo la regola generale che considera sufficiente per la validità ed efficacia di un contratto di divisione lo scambio dei consensi (art. 1350 c.c.).

Con la medesima scrittura, le parti hanno concordato anche le modalità d’uso delle restanti parti rimaste in comunione (locale garage/magazzino, terrazzo di copertura e giardino) statuendo anche in ordine alle relative spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria. In particolare le parti hanno stabilito nella scrittura che al Signor XXX è assegnato l’uso in comodato gratuito “del giardino situato sul retro dell’immobile (lato dell’immobile opposto a quello che si affaccia su Via), del forno esterno e della ulteriore porzione di giardino compreso tra il forno esterno ed il portone di accesso alle rampe delle scale dell’immobile” (cfr. art. B-1 della scrittura del 21.9.1998 – doc. n. 3 allegazione parte ricorrente). Hanno stabilito che “alla Sig.ra *** viene assegnato l’uso, in comodato gratuito, della restante parte del giardino” (cfr. art. B-2 della scrittura del 21.9.1998 – doc. n. 3 allegazione parte ricorrente), mentre alla Sig.ra ZZZ “viene assegnato l’uso, in comodato gratuito, del terrazzo sovrastante il secondo e ultimo piano dell’immobile e della stanza attualmente adibita a contenere i cassoni dell’acqua” cfr. art. B-3 della scrittura del 21.9.1998 – doc. n. 3 allegazione parte ricorrente).

In correlazione a tale assegnazione le parti hanno convenuto quanto segue: “tutte le spese (ordinarie, straordinarie, voluttuarie) sostenute in relazione alle parti assegnate in comodato d’uso gratuito, spettano ai rispettivi assegnatari, ad eccezione delle spese straordinarie non voluttuarie, necessarie alla mera conservazione delle parti stesse, che spettano ai Sigg.ri XXX e ZZZ”.

Infine viene precisato in detta scrittura, sempre in ordine alle spese, che quelle per la “manutenzione ordinaria e/o straordinaria delle altre parti comuni non assegnate in comodato d’uso gratuito (scale, vie di accesso/transito, garage magazzino e relativa rampa di accesso, muro di cinta e relativa recinzione sovrastante, etc.) sono a carico dei Sigg.ri XXX e ZZZ” con esclusione della Signora *** la quale, in base a detta scrittura risulta esonerata anche delle spese relative alle parti assegnate in comodato gratuito ai sigg.ri XXX e ZZZ.

Tali disposizioni, dunque, nella volontà delle parti denotano l’interesse di mantenere in comunione alcune parti dell’immobile attribuendosi la proprietà esclusiva solo in ordine ai singoli appartamenti.

Nel caso di specie, dunque, la divisione delle singole unità abitative in capo ai partecipanti ha determinato la nascita di un condominio minimo e ad esso dovrà applicarsi la relativa disciplina rappresentando, come detto, il condominio una species del genus comunione. Viceversa, per i restanti beni non costituenti impianti e servizi comuni e privi del requisito dell’accessorietà delle singole unità abitative, le parti hanno inteso mantenere la comunione seppur disciplinandone l’uso e il riparto delle singole spese e ad esse andrà applicata la disciplina della comunione.

Fatta tale doverosa premessa, occorre ora analizzare il contenuto della delibera impugnata del 12.11.2012 al fine di verificarne la sua legittimità secondo quanto contestato da parte ricorrente.

Il contenuto decisorio di detta delibera riguarda solo i punti 2, 3 e 4 portati all’ordine del giorno.

L’attrice lamenta, innanzitutto, una serie di vizi riferiti alla convocazione e al relativo verbale.

Ritiene, in particolare, che la convocazione sarebbe affetta da vizio di annullabilità per essere stato il relativo avviso comunicato a mezzo PEc e non con raccomandata.

Va osservato che all’epoca dei fatti di causa (convocazione dell’assemblea del 12.11.2012) non era ancora entrata in vigore la legge 220/2012 la quale ha statuito la necessità di specifiche forme di comunicazione dell’avviso. Essendo l’avviso un atto recettizio è sufficiente che lo stesso sia pervenuto all’indirizzo del destinatario, secondo la presunzione legale di cui all’art. 1335 c.c., salva la prova contraria dell’impossibilità, senza colpa del destinatario, di averne avuto notizia.

Risulta provato che XXX ha ricevuto il predetto avviso, come dimostra lo scambio epistolare in atti e come dichiarato dallo stesso ricorrente nel proprio atto introduttivo. Ciò è sufficiente per rigettare l’eccezione sollevata da quest’ultimo. Del pari infondata è l’eccezione in ordine alla mancata nomina del presidente e del segretario. La nomina del presidente e del segretario, difatti, non è prevista a pena di invalidità della deliberazione dell’assemblea che è validamente costituita sol che sussista la maggioranza prescritta dalla legge (cfr. Cass. n. 5709/1987)

Quanto, infine, al dedotto vizio di annullabilità per mancata indicazione nella convocazione della prima e seconda adunanza, va osservato che tale omissione non determina un vizio della delibera in quanto le previsioni codicistiche (art. 1136, comma 3, c.c., nonché il comma 4 dell’articolo 66 delle disp. att. c.c.c), che sanciscono implicitamente il principio della doppia convocazione, sono dettate esclusivamente da evidenti ragioni pratiche: quale la scarsa partecipazione alle assemblee condominiali e la conseguente notevole difficoltà nel raggiungimento delle maggioranze numeriche e di valore prescritte dal primo e dal secondo comma dell’art. 1136 c.c..

Va anche detto che il codice, pur prevedendo e disciplinando diversamente i due tipi di assemblee, non prescrive che l’assemblea di prima convocazione sia necessariamente tenuta, quale condizione per l’esistenza e la regolarità dell’assemblea di seconda convocazione, né detta norme che ne facilitino lo svolgimento (tra le tante, Cassazione civile 22 gennaio 2000 n. 697).

Ciò comporta che la mancata indicazione della doppia convocazione non determina un vizio di annullabilità ma solo l’inapplicabilità delle maggioranze di legge (quorum costitutivo e quorum deliberativo) previste per le delibere assunte in seconda convocazione, dovendosi ritenere valide le decisioni prese in prima convocazione secondo i quorum per essa previsti. Nel caso di specie i quorum costitutivi e deliberativi sono stati ampiamente rispettati secondo quanto prescrive l’art. 1136 c.c.

Quanto alle ulteriori censure il ricorrente lamenta il mancato rispetto degli accordi presi con la scrittura privata del 1998 in ordine alle spese sui beni rimasti in uso comune e l’illegittimità della conseguente delibera adottata.

Ritiene l’attore che la scrittura privata del 1998 statuendo non solo i criteri d’uso delle parti comuni ma anche il criterio di riparto delle relative spese rappresenta un regolamento condominiale di natura contrattuale al quale tutte le parti hanno inteso obbligarsi.

Ed invero, premesso che l’interpretazione del contratto, è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o per vizio di motivazione, il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo contenuto nell’art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici (Cass. 16181/2017).

Sulla scorta di tale principio ben può dirsi che le parti con la scrittura privata del 1998 hanno inteso non solo attribuirsi la proprietà esclusive degli immobili facenti parte dello stabile ma hanno inteso, altresì, regolamentare l’uso di parti rimaste in comunione e le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria di tali beni dando vita ad un vero e proprio regolamento della comunione di natura contrattuale tutt’ora valido in quanto non impugnato.

Essendo tale, il regolamento può essere modificato in ordine all’uso ed alle spese solo con l’unanimità dei consensi. Sul punto è chiara la Cassazione che con la sentenza n. 13632/10 ha precisato che ” in tema di comunione, non ha natura contrattuale il regolamento che, avendo ad oggetto l’ordinaria amministrazione e il miglior godimento della cosa comune (art. 1106 c.c.), rientra nelle attribuzioni dell’assemblea e, come tale, seppure sia stato approvato con il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, può essere modificato dalla maggioranza dei comunisti; ha invece natura di contratto normativo plurisoggettivo, che deve essere approvato e modificato con il consenso unanime dei comunisti, il regolamento quando – contenendo disposizioni che incidono sui diritti del comproprietario ovvero stabiliscono obblighi o limitazioni a carico del medesimo o ancora determinano criteri di ripartizione delle spese relative alla manutenzione diversi da quelli legali – lo stesso esorbita dalla potestà di gestione delle cose comuni attribuita all’assemblea” (così Cass. 4 giugno 2010 n. 13632).

Ne consegue che la delibera dell’assemblea dei comunisti può dirsi validamente assunta solo allorché non risulti in contrasto con quanto prescritto nel suddetto regolamento contrattuale.

Assume il ricorrente che la delibera sarebbe affetta da nullità in ordine alle decisioni prese ai punti 3 e 4 portati all’ordine del giorno.

Con riferimento al punto 3 dell’ordine del giorno l’assemblea ha deliberato in ordine alle spese di manutenzione ordinaria facendo riferimento ai criteri di cui all’art. 1123 c.c. e comunque alla quota di contribuzione pari ad un terzo ciascuno.

Nel regolamento contrattuale appena citato, viceversa, le parti hanno convenuto che le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria non riguardanti le parti assegnate in comodato d’uso siano di spettanza dei soli Sig.ri XXX e ZZZ escludendo la partecipazione della Sig.ra *** alla contribuzione di tali spese (cfr. allegato n. 3 produzione parte ricorrente).

Come noto il regolamento condominiale può legittimamente stabilire un criterio particolare di ripartizione delle spese, sia in generale, sia per alcuni servizi e manutenzioni, vincolante per tutti i partecipanti al condominio e ciò nei limiti di quanto dispone l’art. 1138 c.c. in base al quale “le norme del regolamento di condominio non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni…”.

Un’eventuale “diversa convenzione” stipulata all’unanimità dai condomini, potrebbe adottare una differente ripartizione delle spese (diverse quote di partecipazione, limitare il pagamento della quota dei 2/3, dovuta dai titolari delle unità immobiliare coperte ad alcuni soltanto di loro, escludere il titolare del diritto esclusivo dal pagamento della quota di 1/3 delle spese ecc.).

Difatti attraverso l’inciso finale “salvo diversa convenzione” inserito nel primo comma dell’art. 1123 c.c., il legislatore non pone alcun limite alle parti, con la conseguenza che deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini di partecipare alle spese medesime (Cass., Civile 23 dicembre 2011, n. 28679 e Cass., Civile 16 dicembre 1988, n. 6844).

Ora se è vero che la delibera di cui al punto 3 ha adottato un criterio di ripartizione diverso da quello convenzionalmente stabilito, ripartendo le spese per un terzo ciascuno dei tre proprietari, vi è che il ricorrente difetta dell’interesse ad agire per l’annullamento della delibera essendo quet’ultima a lui maggiormente favorevole e carente di qualsivoglia pregiudizio.

Come noto, infatti il condomino, il quale intenda proporre l’impugnativa di una delibera dell’assemblea, per l’assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese di gestione, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, interesse che presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale (Cass. n. 6128 del 09.03.2017).

Difetta, dunque, nella specie il presupposto dell’interesse ad agire per l’azione di annullamento della delibera di cui al punto 3 dell’ordine del giorno.

Del pari difetta il medesimo interesse ad agire in ordine al punto 4 laddove si prevede di ripartire le spese di manutenzione straordinaria sul lastrico solare (infiltrazioni dalla copertura del fabbricato) nella misura pari ad un terzo ciascuno rispetto alla misura del 50% ciascuno a carico dei soli fratelli *** come previsto nella scrittura privata del 1998: “ tutte le spese (ordinarie, straordinarie, voluttuarie) sostenute in relazione alle parti assegnate in comodato d’uso gratuito spettano ai rispettivi assegnatari, ad eccezione delle spese straordinarie non voluttuarie, necessarie alla conservazione delle parti stesse, che spettano ai Sigg.ri XXX e ZZZ” (cfr. doc. n. 3 produzione parte ricorrente). Sicchè: a) considerato che l’interesse ad impugnare la delibera deve essere concreto, dovendo esso concernere la posizione di vantaggio effettivo che dalla pronunzia di merito può derivare, e non solo astratto (cfr. Cass., 1.12.2000, n. 15377); b) rilevato che, laddove anche il Tribunale, in accoglimento delle censure svolte dal ricorrente, annullasse in parte qua la impugnata delibera, da ciò comunque non deriverebbe alcun concreto vantaggio in favore del ricorrente in quanto non conseguirebbe a tale annullamento l’eliminazione di un effetto pregiudizievole per lo stesso, da ciò discende l’inammissibilità dell’impugnazione proposta in parte qua, anche per manifesta carenza di interesse (cfr. art. 100 cod. proc. civ.). Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo secondo quanto dispone il DM 55/2014.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitamente pronunciando, disattesa o assorbita ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

– rigetta le domande avanzate dal Sig. XXX per le ragioni di cui in motivazione;

– condanna XXX al pagamento in favore di parte resistente alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi euro 3.972,00, oltre spese generali, IVA e CPA nella misura di legge.

Così deciso in Roma il 3 dicembre 2019

Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

LexCED
Desideri approfondire l’argomento ed avere una consulenza legale?

Articoli correlati