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Professionista, veste di consumatore

Nel caso esaminato dal Supremo Consesso, la corte di merito, nell’impugnata sentenza, nell’affermare che l’apposizione della partita IVA sul contratto rappresenta un indicatore evidente della circostanza che la parte è un operatore professionale e, dunque, non un consumatore, con la conseguenza che è impossibile applicare allo stesso i diritti di recesso o la disapplicazione automatica di clausole vessatorie prevista dal codice del consumo, aveva disatteso il suindicato principio. Diversamente da quanto affermato nell’impugnata sentenza, nemmeno la mera indicazione nel contratto – tra le indicazioni delle sue generalità – della partita IVA può assumere invero rilievo decisivo al fine di escludersi che il medesimo possa considerarsi consumatore e, conseguentemente, l’applicazione nel caso della relativa disciplina di tutela.

Ai fini dell’assunzione della veste di consumatore l’elemento significativo non è il non possesso, da parte della persona fisica che ha contratto con un operatore commerciale, della qualifica di imprenditore commerciale, bensì, lo scopo (obiettivato o obiettivabile) avuto di mira dall’agente nel momento in cui ha concluso il contratto, con la conseguenza che la stessa persona fisica svolgente attività imprenditoriale o professionale deve considerarsi consumatore quando conclude un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di dette attività (cfr. Cass., 5/5/2015, n. 8904; Cass., 4/11/2013, n. 24731; Cass., 18/9/2006, n. 20175. Cfr. altresì, con riferimento alla fideiussione, Cass., 15/10/2019, n. 25914).

Nel caso esaminato dal Supremo Consesso, la corte di merito, nell’impugnata sentenza, nell’affermare che l’apposizione della partita IVA sul contratto rappresenta un indicatore evidente della circostanza che la parte è un operatore professionale e, dunque, non un consumatore, con la conseguenza che è impossibile applicare allo stesso i diritti di recesso o la disapplicazione automatica di clausole vessatorie prevista dal codice del consumo, aveva disatteso il suindicato principio.

Il ricorrente svolgeva l’attività professionale di notaio, e non risultava dalla corte di merito accertato ed indicato che avesse acquistato l’autovettura in argomento al fine (esclusivo) di esplicazione della medesima, in luogo della soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee al relativo esercizio.

Diversamente da quanto affermato nell’impugnata sentenza, nemmeno la mera indicazione nel contratto – tra le indicazioni delle sue generalità – della partita IVA può assumere invero rilievo decisivo al fine di escludersi che il medesimo possa considerarsi consumatore e, conseguentemente, l’applicazione nel caso della relativa disciplina di tutela.

Trattasi di indicazione di valenza assolutamente neutra al riguardo, stante la relativa genericità ed equivocità e la mancanza di indicazione alcuna rinvenibile nell’impugnata sentenza in tal senso deponente, sicché la motivazione al riguardo si è appalesata meramente apparente (v. Cass., Sez. Un., 3/11/2016, n. 22232), e pertanto, insussistente (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e conformemente, Cass., 20/11/2018, n. 29898), non sottraendosi al controllo in sede di legittimità (cfr. Cass., 5/5/2017, n. 10973).

Corte di Cassazione, Sezione Terza, Ordinanza n. 6578 del 10 marzo 2021

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