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Perdita di chance, entità patrimoniale a sè stante

La perdita di chance integra un’entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione.

Pubblicato il 03 November 2021 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI CROTONE

Sezione Civile, in composizione monocratica, in persona del giudice designato dott.ssa, ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 881/2021 pubblicata il 29/10/2021

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1829/2018 R.G., avente ad oggetto: responsabilità struttura medica e dipendente, vertente

tra

XXX,

YYY, ZZZ, e KKK, , in proprio e quali eredi legittimi di JJJ

-attori-

e

Azienda Sanitaria PPP, in persona del legale rappresentante

p.t., elettivamente domiciliata presso la sua sede in

-convenuta-

nonché
SSS;

-convenuto-

nonché

QQQ (già ***), in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata;

-terza chiamata-

nonché

Società BBB – Società Cooperativa s.p.a., p. IVA;

-terza chiamata-

Oggetto: danno da morte.

FATTO E MOTIVI

1. Con atto di citazione ritualmente notificato, gli odierni attori, in proprio ed in qualità di eredi di JJJ, esponevano: che in data 18.6.2016 JJJ si era recato, poiché accusava dolore alle spalle e alle braccia, insieme al fratello ZZZ e ad alcuni amici, presso la Guardia Medica di ***, ove era di turno il dott. SSS; che giungevano anche sul luogo l’altro fratello KKK e l’amica ***; che il dott. SSS si limitava a controllare la pressione di JJJ e lo invitava a tranquillizzarsi, in quanto in ansia, specificando che i dolori potevano essere collegati al lavoro di parrucchiere del JJJ; che, dopo aver cercato inutilmente di contattare un’altra dottoressa di loro conoscenza, i fratelli del JJJ avevano deciso di recarsi in Ospedale a *** ma JJJ, entrato in auto, si accasciava e perdeva conoscenza; che veniva richiamato il dott. SSS, che interveniva per cercare di rianimarlo e contestualmente era stato chiamato il 118; che, tuttavia, all’arrivo del 118, i sanitari non potevano far altro che constatare il decesso del JJJ; che la responsabilità per errata diagnosi incombeva sul dott. SSS e conseguentemente in capo all’A.S.P. di ***, come attestato dalla consulenza di parte in atti. Chiedevano, pertanto, il risarcimento dei danni subiti, qualificandoli in danno tanatologico iure hereditatis, danno da perdita di chances di sopravvivenza, danno iure proprio da morte di congiunto, danno da lesione della libertà di autodeterminazione medica, e quantificandoli in 2.071,810,00 o nella somma di giustizia.

2. Si costituiva, con propria comparsa, l’A.S.P. di ***, eccependo preliminarmente inammissibilità della domanda e chiedendone il rigetto nel merito. Chiedeva, inoltre, di essere autorizzata alla chiamata in causa della compagnia assicuratrice QQQ.

3. Si costituiva, altresì, con propria comparsa, anche il dott. SSS, chiedendo il rigetto della domanda, in quanto; egli, visitato il JJJ e consigliatogli di recarsi in Ospedale a ***, in quanto non avrebbe potuto procedere a svolgere un elettrocardiogramma, non avendo la strumentazione a disposizione, aveva verificato le sue condizioni, misurando la pressione arteriosa, che era nei limiti; richiamato dopo un certo lasso di tempo, in quanto il JJJ aveva perso i sensi, si era recato a soccorrerlo e aveva posto in essere le manovre di rianimazione; che tra il primo accesso alla guardia medica e lo svenimento del JJJ i suoi familiari non l’avevano accompagnato immediatamente all’Ospedale di *** ma avevano cercato dapprima di contattare un’altra dottoressa di loro conoscenza e poi erano tornati a casa, per poi uscire nuovamente. Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda e l’autorizzazione alla chiamata in causa della società assicuratrice BBB.

4. Dopo le autorizzazioni alla chiamata in causa, si costituivano entrambe le compagnie assicuratrici.

La QQQ chiedeva il rigetto della domanda, non potendo essere imputabile alla condotta del dott. SSS il decesso del JJJ, ed eccepiva la sussistenza di una franchigia di € 100.000,00, come da contratto di assicurazione (art. 13).

La Società BBB di Assicurazione chiedeva il rigetto della domanda formulata nei confronti del SSS, in via subordinata l’accertamento della responsabilità esclusiva dell’A.S.P. di *** ed in via ancora più subordinata l’applicazione del massimale di cui alla polizza operante tra le parti, dott. SSS e compagnia assicuratrice.

5. Dopo l’espletamento della prova per testi e della c.t.u., all’udienza del 27.9.2021 il giudice tratteneva la causa in decisione, senza termini per espressa rinuncia delle parti.

* * *

6. La domanda degli attori è parzialmente fondata e può essere accolta nei limiti di quanto di ragione.

La fattispecie può essere storicamente ricostruita, sulla base della prospettazione delle parti, della documentazione esibita, dell’esito della prova per testi e delle risultanze della c.t.u., nel modo seguente.

JJJ, in data 18.6.2016, si era recato alla postazione di guardia medica di ***, accusando dolore al torace, alle spalle ed alle braccia. Il medico di guardia, dott. SSS, dopo averlo visitato ed effettuato due misurazioni della pressione arteriosa, non riscontrando sintomi gravi e ritenendo che i dolori fossero di origine articolare, gli aveva consigliato di recarsi presso l’Ospedale di ***, in quanto non aveva a disposizione presso la postazione della guardia medica la strumentazione necessaria per effettuare un ECG.

Dall’esame degli atti depositati (ivi compreso il verbale dei Carabinieri intervenuti sul posto) risulta che il dott. SSS visitò il JJJ all’una e venti.

Dopo aver lasciato la postazione della guardia medica, insieme a due fratelli ed un’amica, il JJJ si era recato dapprima verso l’abitazione di una dottoressa di sua conoscenza, non trovandola (in quanto era a *** in Ospedale in turno) e poi nuovamente a casa, dalla quale si era mosso con i fratelli e l’amica immediatamente dopo per recarsi in Ospedale a ***.

Giunto in auto, dopo pochi minuti, aveva lamentato mal di stomaco e si era accasciato.

Dal verbale dei Carabinieri intervenuti risulta altresì che il SSS fu richiamato per soccorrere il JJJ all’1,45 circa e che i sanitari del 118, intervenuti alle 2,30 sul posto, constatavano il decesso del JJJ.

KKK e ZZZ, fratelli di JJJ, sentiti a mezzo di interrogatorio formale, hanno confermato le predette circostanze, precisando che in realtà il dott. SSS aveva compiuto soltanto il controllo della pressione e i familiari avevano invece chiesto se fosse opportuno recarsi in ospedale a ***, domanda alla quale il dott. SSS aveva risposto che forse sarebbe stato opportuno, e che erano passati da casa solo perché il fratello JJJ voleva mettersi le scarpe al posto delle infradito che aveva ai piedi. Entrambi hanno dichiarato inoltre che il 118 fu chiamato da loro quando JJJ si sentì male.

***, sentita come teste, amica del fratello di JJJ, KKK, ha dichiarato che ella aveva anche proposto al dott. SSS di portare JJJ in una struttura sanitaria di *** ove ella lavorava per farlo sottoporre a ECG e che il dott. SSS aveva risposto che non era necessario in quanto JJJ stava bene, avendo controllato tutti i parametri vitali. La *** ha dichiarato inoltre di essere arrivata alla guardia medica attorno alle 00,40-45 e che JJJ con il fratello erano già lì da poco prima delle 00,30. Ha infine negato che il dott. SSS abbia consigliato a JJJ di recarsi presso il Pronto Soccorso di *** per effettuare un ECG.

Risulta innegabile, pertanto, sulla base della ricostruzione fattuale, che il JJJ uscì dalla postazione della guardia medica di *** con una sola indicazione, neppure urgente a quanto pare, di recarsi in ospedale a *** per effettuare accertamenti e che poi morì senza aver il tempo di arrivare in ospedale.

Dal punto di vista dell’inquadramento giuridico della fattispecie, deve premettersi, sulla scorta dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, la seguente regola generale idonea a fissare il fondamentale criterio decisionale delle cause di danno basate sulla responsabilità professionale dell’Azienda sanitaria: l’obbligazione assunta nei confronti del paziente ha natura contrattuale, sicché incombe sul debitore provare che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile; più specificamente, dimostrato dal paziente danneggiato il contratto (o il contatto sociale) nonché l’aggravamento della patologia sofferta o l’insorgenza di un’altra affezione e allegato dallo stesso l’inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno, compete a questi dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato o che esso, pur esistendo, è stato eziologicamente non rilevante o comunque a lui non imputabile. Dal che consegue che, in definitiva, spetta alla struttura sanitaria provare l’inesistenza del nesso causale, e non al paziente l’esistenza dello stesso (tra le altre, Cass., sez. un., n. 577/2008; Cass., sez. III, n. 1538/2010 e n. 15993/2011).

Sempre in termini generali, va altresì rimarcato, ancora una volta sulla scorta di ormai pacifici insegnamenti giurisprudenziali, che la responsabilità professionale per inadempimento della prestazione medica si estende certamente alla struttura sanitaria, pubblica o privata, presso la quale il medico stesso operava, la quale, proprio in ragione del complesso di obblighi scaturenti dal cosiddetto contratto di spedalità, risponde in relazione sia a propri fatti d’inadempimento sia ai comportamenti inadempienti direttamente posti in essere dal medico a norma dell’art. 1228 c.c., in forza del quale il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, ancorché non alle sue dipendenze, è responsabile anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi (tra le molte, Cass. n. 13066/2004, n. 8826/2007 e n. 13953/2007).

Ciò chiarito in via di inquadramento giuridico della fattispecie, deve rilevarsi che la domanda attorea è parzialmente fondata e deve essere accolta, per quanto di ragione.

Il thema decidendum impone, secondo l’ordine logico di accertamento dei presupposti costitutivi della dedotta responsabilità medico-chirugica, di verificare se le condotte (commissive ed omissive) dell’Ospedale di *** abbiano causato attraverso il ritardo diagnostico della vera patologia che affliggeva il JJJ non prontamente diagnosticata il peggioramento delle conseguenze quanto alle condizioni di salute del JJJ rispetto a quelle che sarebbero state in presenza di condotte accorte e tempestive.

In proposito, le risultanze dell’istruttoria tecnica d’ufficio convergono nel ritenere che vi sia stato un ritardo diagnostico sia pure, come esplicato dal c.t.u., non sia semplice identificare la carenza nelle condotte del medico.

La consulenza espletata viene integralmente condivisa, in quanto congruamente e logicamente motivata, non essendovi dubbi in ordine agli accertamenti svolti dal c.t.u. Si può quindi fare integrale ed espresso riferimento alla stessa, fondata su una rigorosa analisi della disciplina in materia e della documentazione allegata dalle parti, oltreché contenente valutazioni improntate a rigore scientifico e logico.

Al riguardo, il c.t.u. ha accertato, analizzata la documentazione in suo possesso, che il comportamento del dott. SSS, sanitario della guardia medica, in occasione del primo intervento su JJJ appare censurabile in quanto egli “in tale occasione, non avrebbe dovuto tenere un comportamento permissivo di ‘contrattazione’ nella strategia da seguire consentendo il rientro al domicilio, bensì si sarebbe dovuto procedere all’immediato avvio in PS chiamando il 118 e, qualora il paziente avesse rifiutato, se ne sarebbe dovuto segnalare il chiaro dissenso anche se non erano presenti fattori discriminanti specifici di rischio cardiologico.

Ha inoltre precisato che il dott. SSS non disponeva di elettrocardiografo, non riteneva si trattasse di paziente a rischio, essendo lo stesso in buona salute, senza sospette pregresse patologie ma comunque consigliò al paziente ed ai parenti di recarsi al P.S. a ***. Aveva pertanto concordato una strategia operativa che prevedeva il ricorso al P.S., ma permise al paziente di derogare all’immediata partenza per l’ospedale, perdendo tempo inferiore a 30 minuti.

Ha inoltre precisato che: “La gestione del paziente con dolore toracico deve essere volta all’esclusione di quelle patologie maggiormente incidenti sul pericolo di vita e fino a quando ciò non viene appurato la somministrazione di farmaci, senza precisa indicazione, non è prevista. Appare inoltre congruo, pur se inefficace, il trattamento rianimatorio prestato nel secondo intervento del dott. SSS, conclusosi con il decesso del “de cuius” avvenuto prima che venisse trasportato in Pronto soccorso.

Anche se non è possibile avvalersi di un eventuale utile contributo diagnostico dell’esame autoptico, mancando i presupposti anatomo-morfologici della diagnosi di infarto (assenza del dato obiettivo delle condizioni anatomiche del circolo coronarico e della presenza di necrosi del muscolo cardiaco ad un esame istologico che non è stato effettuato), l’analisi ex post del caso permette di ritenere più che verosimile, ma non certa, l’ipotesi che il sig. JJJ sia deceduto per insufficienza cardio respiratoria da edema polmonare conseguente ad infarto del miocardio”.

Il c.t.u. ha concluso nel senso che “Tale comportamento ha determinato un probabile danno alla salute del sig. JJJ esitato nel decesso dello stesso per arresto cardio circolatorio, decesso che si sarebbe forse potuto evitare con molta probabilità se lo stesso fosse giunto in tempo in ambiente idoneo. E’ censurabile, quindi da considerare colposa la scelta operata, il trasferimento in struttura di secondo livello avrebbe potuto sortire migliori risultati, tale evenienza è da ritenere, più che possibile, altamente probabile secondo l’assunto “più probabile che non”. Come più volte rimarcato magari la richiesta di intervento da parte del 118 non avrebbe sortito migliore risultato, ma questa era la procedura che il dott. SSS avrebbe dovuto adottare.

Nelle controdeduzioni alle osservazioni delle parti, il c.t.u. ha confermato le proprie valutazioni, peraltro già decisamente chiare sin dalla prima stesura della bozza peritale.

Considerato, pertanto, che secondo la valutazione del c.t.u. l’esito probabilmente sarebbe stato lo stesso anche con un comportamento adeguato da parte del sanitario, non può essere addebitata alcuna responsabilità a carico del dott. SSS sulla base dei criteri ordinari della responsabilità ex art. 2043 c.c., applicabile nel rapporto medico-paziente, non avendo gli attori assolto all’onere della prova sugli stessi incombenti.

Nel rapporto attori/A.S.P. di ***, considerato invece che si applicano i criteri della responsabilità contrattuale, non avendo l’A.S.P. dimostrato che il danno non sia derivato da colpa medica, la domanda degli attori può essere accolta, solo tuttavia con riferimento al danno da c.d. perdita di chances di sopravvivenza.

La controversia si sposta infatti sul tema della perdita di chance, in quanto il termine di riferimento della causalità, nel caso che ci occupa, non può essere individuato nell’evento morte, quanto nella perdita, da parte del JJJ, della possibilità di sopravvivere.

Appare opportuno specificare al riguardo che la perdita di chance integra “un’entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, onde la sua perdita, id est la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto ed attuale” (Cass., n. 4400/04).

Pertanto, in casi quale quello di specie, sussiste il nesso causale se l’errore medico ha comportato la perdita della possibilità di una vita più lunga da parte del paziente, statisticamente accertata, in caso di condotta medica corretta, sulla base di indagini epidemiologiche. Come affermato dalla giurisprudenza (Cass., n. 7195 del 27.3.2014, “in pratica, evento di danno e conseguenze dannose astrattamente risarcibili coincidono, poichè altro è la perdita di chance intesa come danno, in sè, risarcibile, quale è quella di cui qui si discute; altro è il danno da perdita di chance, quale conseguenza dannosa risarcibile di un diverso evento di danno, dato dalla lesione di altro bene giuridico, quale ad esempio – per restare nel campo del danno alla persona da responsabilità medica – il diritto alla salute. In questa seconda accezione, la perdita di chance rileva soltanto sotto il profilo della consequenzialità immediata e diretta ex art. 1223 c.c., rispetto alla lesione, già accertata come causalmente connessa alla condotta dell’agente, dell’integrità psico- fisica; nella prima accezione la perdita di chance è, in sè, danno evento causalmente connesso alla condotta dell’agente. Tuttavia, trattandosi di risarcibilità in astratto, essa necessita di un’operazione di quantificazione che non può prescindere dalla situazione concreta. Soltanto in questa fase successiva ed ulteriore, che è quella della quantificazione del risarcimento, torna rilevante l’idoneità della chance a produrre il risultato utile, nel senso che l’entità del risarcimento andrà commisurata al danno quantificato in ragione della maggiore o minore possibilità di ottenere quel risultato, misurata eventualmente in termini percentuali. Nel caso della responsabilità medica, in particolare per intervento terapeutico o chirurgico errato, occorre verificare se questo abbia comportato, per quanto qui rileva, la perdita della possibilità di vivere più a lungo, anche soltanto per poco tempo (omissis…) Una volta accertato il nesso causale tra l’errore medico ed il mancato rallentamento della progressione della malattia o comunque tra l’errore medico e l’accorciamento della possibile durata della vita, secondo quanto sopra, la perdita di questa chance è comunque, in ipotesi, risarcibile, quale entità a sè, giuridicamente ed economicamente valutabile. La percentuale astratta di realizzabilità della chance (omissis…) diventa oggetto di indagine, in un secondo momento, quando, tenuto conto della particolare situazione concreta, si dovrà addivenire alla quantificazione del risarcimento. Ed, invero, nel giudizio di liquidazione del danno da perdita della chance verranno ad assumere rilievo sia l’aspetto della prossimità della situazione fattuale al conseguimento del risultato sperato, sia il profilo della maggiore o minore idoneità a garantire questo risultato. Sotto il primo aspetto, il valore della perdita dipenderà dalla sufficienza del comportamento tenuto o mancato, da parte del responsabile, a determinare il risultato sperato (ovvero dalla necessità, al contrario, dell’intervento di ulteriori evenienze, da valutarsi caso per caso quanto alla probabilità o solamente alla possibilità del loro accadimento); sotto il secondo aspetto, rileverà l’idoneità in concreto della situazione a determinare il risultato sperato, cioè la probabilità o la mera possibilità del conseguimento del risultato, anche in termini percentuali”.

Ebbene, applicando tali principi, sulla base della c.t.u., va riconosciuta la sussistenza di nesso di causalità materiale tra la condotta omissiva dell’A.S.P. di ***, caratterizzata da colpa, e la possibilità di permanenza in vita del JJJ; la liquidazione del danno, da effettuare necessariamente in via equitativa, nel caso di specie non può essere ancorata ad alcun parametro, in quanto non è possibile percentualizzare le probabilità di sopravvivenza del JJJ ove egli fosse stato immediatamente avviato all’Ospedale di ***.

Secondo un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte, la prova del danno-evento e, dunque, della chance, intesa quale “perdita della possibilità di conseguire un risultato utile”, non richiede che si raggiungano determinate percentuali di verificazione dell’occasione perduta, essendo sufficiente che si dimostri la lesione, in sé, della chance, anche “in presenza di margini statistico-probabilistici inferiori alla soglia del 50%” (Cass. 27 marzo 2014, n. 7195).

Nella specie, proprio in funzione del riconoscimento delle probabilità di sopravvivenza, per come condivisibilmente valutate dal consulente, è possibile dedurre che la condotta negligente del medico della guardia medica di *** ha comportato la perdita della possibilità di una vita più lunga, che può valutarsi, date le circostanze di fatto, nei termini del 15%, in caso di intervento tempestivo e corretto.

E pertanto i danni subiti dagli attori vanno calcolati come di seguito indicato.

Per quanto riguarda il danno non patrimoniale, subito iure proprio dagli attori a causa della morte del congiunto, agli stessi spetta in primo luogo il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, a causa della lesione di un interesse essenziale della persona, che trova i suoi riferimenti normativi negli artt. 2,29 e 30 Cost.

Trattasi di voce autonoma di danno non patrimoniale posto a tutela della “… libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito della formazione sociale che è la famiglia” “alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto personale ispira, sia generando bisogni e doveri, sia dando luogo a gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati” (Cass. 31 maggio 2003, n. 8827).

Ai fini della liquidazione del quantum, occorre considerare che la perdita di uno stretto congiunto determina gravissime conseguenze nella sfera soggettiva e una sofferenza, straordinariamente intensa, specie se al rapporto si associa la convivenza.

Pertanto, facendo riferimento alla Tabella del Tribunale di Roma (tabelle 2019), considerato che la stessa prevede a favore del genitore, per la morte del figlio, un valore di € 284.394,30, e in ossequio ai principi enunciati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte del 2008, e applicata la percentuale riconosciuta del 15%, in via equitativa, a XXX e YYY (genitori di JJJ) va riconosciuta la somma di € 42.659,14 ciascuno; per i fratelli non conviventi ZZZ e KKK, la somma di € 19.123,06 ciascuno (con partenza dal valore di cui in tabella di € 127.487,10).

Tale somma, che viene calcolata in via equitativa, tenuto conto del riconoscimento della perdita della chance di sopravvivenza, non sarà aumentato degli interessi legali.

Il superiore importo risulta congruo, tenuto conto sia dell’intensità del vincolo familiare, come pure della situazione della convivenza, e correttamente conteggiato, comprendendo sia il riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale che quello relativo al danno morale soggettivo, non essendo ammissibile una duplicazione di risarcimento per danno morale, “poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita, e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita, altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato” (Cfr. Cass. 17 dicembre 2015, n. 25351; Cass. 8 luglio 2014, n. 15491).

Anche per il calcolo della perdita di chances di sopravvivenza del JJJ, che si trasmette agli eredi iure hereditatis, può essere fatta una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.

Tenuto conto dell’età del JJJ (49 anni) al momento del decesso ed evidenziato che la liquidazione del danno da perdita di chance di aspettativa di vita deve essere inferiore a quella minima prevista per il danno della perdita della vita, e ragionevolmente minore della metà di tale danno; risulta, pertanto, equo individuare, quale danno non patrimoniale da perdita di chance di sopravvivenza del JJJ, e riconoscere iure hereditatis a favore degli eredi la somma complessiva di € 50.000,00.

Quanto alla possibilità di risarcire il danno biologico iure hereditatis maturato dalla vittima nel suo patrimonio e trasmesso agli eredi, la domanda deve essere rigettata.

Infine, in relazione al risarcimento del danno biologico iure hereditatis, è noto che, secondo principi ormai consolidati nella giurisprudenza, tale voce di danno è configurabile ove ”intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causa delle stesse, essendo irrilevante, al riguardo, la circostanza che, durante tale periodo di permanenza in vita, la vittima abbia mantenuto uno stato di lucidità, il quale costituisce, invece, il presupposto del diverso danno morale terminale” (Cass. 19 ottobre 2016 n. 21060).

E, nella specie, il lasso di tempo (inesistente) tra la percezione da parte del JJJ della gravità delle sue condizioni e la morte non consente di determinare alcuna lesione verificatasi a suo carico e poi trasmessa agli eredi.

7. In accoglimento della domanda di manleva formulata dall’A.S.P. convenuta, salvi i limiti della franchigia, la compagnia assicuratrice Amtrus deve essere pertanto condannata a tenere indenne l’A.S.P. per la somma eccedente quanto indicato nella franchigia.

8. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza e le spese sono liquidate ai sensi del D.M. 55/2014; sono applicati nel caso di specie i valori medi della tariffa, tenuto conto dell’importo di risarcimento danni riconosciuto quantificato in via equitativa.

Analogamente, per quanto concerne le spese di c.t.u., come liquidate in corso di causa, che possono essere poste definitivamente a carico della parte soccombente, A.S.P. di Crotone, con manleva della società assicuratrice.

Appare opportuno, in ragione della peculiarità della fattispecie in esame, disporre la compensazione delle spese nei rapporti processuali tra attori e convenuto SSS e tra quest’ultimo e la compagnia Società BBB di Assicurazioni.

P.Q.M.

Il Tribunale di Crotone, nella suddetta composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da XXX, YYY, ZZZ e KKK, in proprio e quali eredi legittimi di JJJ, e deceduto in *** il 18.6.2016 (R.G. n. 1829/2018), contro Azienda Sanitaria PPP, cod. fisc., in persona del legale rappresentante p.t., e contro SSS, nato a, con atto di citazione ritualmente notificato, nonché nei confronti dei terzi chiamati QQQ (già ***), in persona del legale rappresentante p.t. e Società BBB – Società Cooperativa s.p.a., p. IVA, in persona del legale rappresentante p.t., così provvede:

1) In accoglimento parziale della domanda giudiziale, accerta la responsabilità dell’Azienda Sanitaria PPP per colpa professionale e, per l’effetto la condanna al risarcimento dei danni a titolo di perdita di chances subiti dagli attori per la somma di € 42.659,14 per ciascuno in favore dei genitori XXX e YYY, oltre interessi come per legge dalla data di pubblicazione della presente ordinanza all’effettivo pagamento e della somma di € 19.123,06 per ciascuno in favore dei fratelli ZZZ e KKK, oltre interessi come per legge dalla data di pubblicazione della presente ordinanza all’effettivo pagamento, oltre che per la somma di € 50.000,00 complessivi in favore degli attori, oltre interessi come per legge dalla data di pubblicazione della presente ordinanza all’effettivo pagamento;

2) In accoglimento della domanda di manleva formulata da A.S.P. di ***, condanna la compagnia assicuratrice QQQ al pagamento delle somme suddette, detratte le somme coperte dalla franchigia del contratto in essere tra le parti;

3) Rigetta la domanda formulata nei confronti di SSS e dichiara assorbita la domanda di manleva formulata da SSS nei confronti di Società BBB di Assicurazioni Soc. Coop.;

4) Condanna l’A.S.P. di *** al pagamento delle spese di lite sostenute dagli attori, con manleva della compagnia assicuratrice QQQ, che quantifica in € 545,00 per esborsi ed € 13.430,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge;

5) Compensa le spese nel rapporto processuale tra gli attori e SSS e tra SSS e la terza chiamata Società BBB di Assicurazioni;

6) Pone definitivamente il compenso liquidato in favore del c.t.u. in corso di causa a carico dell’A.S.P. di ***, con manleva della compagnia assicuratrice QQQ.

Così deciso in Crotone, il 29 ottobre 2021.

Il Giudice

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