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Limiti della libertà di informazione, reputazione

Limiti della libertà di informazione, reputazione della persona, diritto alla vita privata che lo Stato ha il preciso obbligo di tutelare anche nei rapporti interprivati.

Pubblicato il 27 September 2021 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
————–
CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA

La Corte, riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati:

ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 1363/2021 pubblicata il 17/09/2021

nella causa civile in II grado iscritta al N° del Ruolo generale dell’anno 2017, promossa da:

XXX, elettivamente domiciliato in

– appellante –

CONTRO

YYY e ZZZ, rappresentati e difesi dall’avv.

– appellati OGGETTO: appello avverso sentenza n. 10/2017 del Tribunale di Vasto, pubblicata in data 13/1/2017 e notificata in data 8/2/2017.

CONCLUSIONI:

Per l’appellante: «accogliere il proposto appello e per l’effetto, in riforma della Sentenza n.

10/2017, pubblicata il 13.01.2017 nel procedimento n. R.G. 856/2011, resa dal Tribunale di Vasto il 11.01.2017, in composizione monocratica, in persona del Giudice Dott., notificata l’8.2.2017 accogliere tutte le conclusioni avanzate in prime cure e per l’effetto in via principale rigettare la domanda attorea perché infondata in fatto ed in diritto. In via gradata, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda, ridimensionare la misura delle somme richieste a vario titolo dagli attori, in ragione delle considerazioni svolte e nei limiti di quanto verrà effettivamente accertato in corso di causa e/o ritenuto di giustizia, comunque nella somma non superiore ad euro mille per ciascun appellato. In ordine alle spese di lite, condannare YYY e ZZZ, al rimborso delle spese e competenze legali di entrambi i gradi di giudizio. Condannare altresì gli appellati, per effetto dell’accoglimento dell’appello alla restituzione di ogni somma ad essi corrisposta in esecuzione della sentenza di primo grado, ma in effetti non dovuta».

Per gli appellati: «Ii via preliminare, dichiarare inammissibile, ai sensi dell’art. 342 cpc, l’appello proposto da XXX per le ragioni indicate in atto. Nel merito rigettare, in quanto inammissibili e infondati i motivi di appello proposti da XXX, confermando la sentenza n. 10/2017 R.G. resa dal Tribunale di Vasto pubblicata il 13.01.2017 oggi oggetto di gravame e tutte le statuizioni in essa contenute. Con vittoria di spese e competenze di entrambi i giudizi».

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata, decidendo sulle domande proposte dagli odierni appellati neiconfronti dell’odierno appellante, ha (rigettando la domanda di riparazione pecuniaria ex art. 12 legge 47/1948, ma onerando comunque il convenuto delle spese processuali) condannato quest’ultimo – quale autore della pubblicazione e direttore del quotidiano nel cui inserto essa era avvenuta – al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dagli attori – e liquidati in favore di ciascuno di essi nella somma di € 11.650,09, così rivalutato e maggiorato di interessi l’importo in linea capitale di € 10.000,00 – in conseguenza della pubblicazione integrale (nell’ambito di un supplemento del giornale “***” del 24/2/2007, messo in vendita nella provincia di *** al prezzo di € 3,00 con il titolo “***” e riproducente integralmente la richiesta di rinvio a giudizio datata 6/6/2006 avanzata dalla Procura della Repubblica di Bari nei confronti di ***, già magistrato nel circondario di Vasto, ed altri indagati nel procedimento n. /03/21 RGNR,) della trascrizione di una conversazione telefonica tra YYY (all’epoca brigadiere dei Carabinieri in servizio presso la stazione di ***) ed il dott. ***, intercorsa il 19/4/2004 ed attinente ad una vicenda privata del primo, il quale, essendo stato sorpreso in compagnia di ZZZ, con la quale intratteneva una relazione, dal marito geloso di costei, chiedeva all’interlocutore consigli sul comportamento da tenere per evitare o limitare le conseguenze dell’accaduto.

1.2. Premesso che la pubblicazione, avente ad oggetto non il mero contenuto ma la trascrizione integrale dell’intercettazione telefonica, era avvenuta prima della conclusione dell’udienza preliminare, e dunque in violazione del divieto di pubblicazione imposto dall’art. 114 c.p.p., e che il particolare regime di pubblicabilità degli atti di indagine non più coperti da segreto impone comunque all’autore della pubblicazione, anche in presenza di un fatto di interesse pubblico, di rispettare il principio dell’essenzialità dell’informazione e di “limitare la divulgazione del contenuto dell’atto investigativo agli aspetti salienti, riportati in forma riassuntiva e non dettagliata, evitando in ogni caso di diffondere le informazioni attinenti a comportamenti strettamente personali non direttamente collegati alla inchiesta giudiziaria”, la sentenza ha ritenuto:

a) che la intercettazione integralmente pubblicata concernesse “una delicata ed imbarazzante situazione personale del YYY e della sua amante ZZZ, che non solo investe profili strettamente riservati e personali dei soggetti coinvolti, ma che appare assolutamente non essenziale per una doverosa informazione dell’opinione pubblica sulla vicenda giudiziaria in esame”;

b) che il tenore della conversazione trascritta integralmente, pur priva di specifica indicazione dell’identità degli attori, consentisse comunque di individuare costoro quali protagonisti della “relazione adulterina”, essendo il nome e la qualifica professionale del YYY riportati integralmente alla pagina 183 del testo della richiesta di rinvio a giudizio e contenendo la trascrizione elementi di fatto relativi alla donna (essere costei moglie di un noto e facoltoso albergatore di ***, proprietario di una automobile Jaguar e genitore di una bambina, all’epoca dei fatti, di quattro anni) che, tenuto conto anche delle dimensioni particolarmente modeste della comunità locale del paese in questione, permettevano agevolmente – almeno agli abitanti della zona – di risalire alla identità personale della ZZZ;

c) che la divulgazione, in tal modo operata, non di dati essenziali e indispensabili perinformare i cittadini sulle indagini in corso, ma di elementi e aspetti della vita privata di persone non coinvolte direttamente nel fatto di cronaca, “non appare giustificata dal legittimo esercizio del diritto di cronaca ed è sicuramente lesiva della riservatezza, della dignità e della reputazione personale degli odierni attori”;

d) che questi ultimi avevano “allegato con adeguata precisione ed accuratezza le modalità concui i pregiudizi patiti a seguito della pubblicazione in discorso si sono manifestati in relazione alle abitudini di vita pregresse” (avendo in particolare il YYY asserito che la diffusione della notizia della relazione adulterina con la ZZZ avesse inciso negativamente sul tentativo di riconciliazione con la moglie, dalla quale si era separato circa tre anni prima, e gli aveva provocato un “forte esaurimento psico-fisico che lo ha costretto ad allontanarsi dal lavoro per un lungo periodo di tempo, come risulta dalla certificazione medica versata in atti”; ed avendo la ZZZ allegato di essere stata costretta, a causa del forte risentimento ingenerato nel marito dalla divulgazione della notizia del tradimento, ad accettare, in sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio, “condizioni a lei sfavorevoli, che hanno previsto la rinuncia all’attività lavorativa precedentemente svolta presso la struttura alberghiera alle dipendenze del marito ed il trasferimento della stessa, insieme alla figlia ***, in un appartamento a Lanciano”);

e) che, inoltre, essendo stata diffusa la notizia in un ambito territoriale ristretto, potevaritenersi in re ipsa la sua propagazione nella “sfera dei consociati tra i quali è destinata a creare il discredito sociale”;

f) che, ai fini della liquidazione equitativa dei danni – consistiti in “modificazione in pejus del modo di estrinsecarsi della vita di relazione degli attori”, nonché nel “patimento interiore, disagio, disappunto provato nell’apprendere della pubblicazione di una notizia idonea a porre entrambi in cattiva luce nella comunità sociale di riferimento” – doveva tenersi conto della “consistente eco” – nell’ambito locale di diffusione – della notizia (riguardante una nota vicenda giudiziaria che ha coinvolto in primo luogo un magistrato; avvenuta attraverso la pubblicazione di un apposito inserto al quotidiano, di circa 200 pagine, venduto al modico prezzo di soli 3 euro per la copertura dei costi di stampa; oggetto di “grosso risalto mediatico con la pubblicizzazione mediante manifesti in tutta la Provincia di Chieti”) e della “entità del discredito sociale che ne è derivato a carico di entrambi gli attori nell’ambiente di provenienza, anche in ragione della qualifica di pubblico ufficiale dei carabinieri ricoperta dal YYY”.

2. La sentenza è stata appellata da XXX, che ne ha chiesto la riforma totale o parziale nei termini in epigrafe trascritti, censurandola per motivi (ampiamente riproduttivi delle difese già svolte in primo grado e motivatamente disattese dalla sentenza impugnata) titolati e sintetizzabili come segue:

a) “illegittimità e/o iniquità della sentenza per manifesta illogicità e contraddittorietà dellamotivazione ed errata interpretazione e applicazione degli artt. 684 c.p. e 114 c.p.p.”: sostiene l’appellante che la sentenza:

a1) avrebbe contraddittoriamente, da un lato, affermato il carattere lesivo della reputazione, dignità e riservatezza degli attori della divulgazione della intercettazione telefonica non giustificata da legittimo esercizio del diritto di cronaca e, dall’altro lato, escluso esplicitamente “la sussistenza della diffamazione” e così anche “l’ingiustizia del danno e quindi ogni pretesa risarcitoria” (ciò che, peraltro, deriverebbe, secondo l’appellante, dall’avere egli legittimamente esercitato il diritto di cronaca, limitandosi a pubblicare integralmente una richiesta di rinvio a giudizio già notificata a tutte le parti processuali – tra cui YYY – e contenente il testo delle intercettazioni telefoniche selezionate e ritenute rilevanti ai fini del procedimento penale dal PM titolare dell’indagine, non potendosi quindi dubitare della pertinenza dell’informazione intesa come interesse pubblico alla conoscenza del fatto); a2) non avrebbe, nel riconoscere un diritto risarcitorio conseguente alla violazione degli artt. 684 c.p. e 114 c.p.p., dell’orientamento nomofilattico (espresso da Cass. SU 3727/2016) che ha definitivamente escluso il carattere plurioffensivo del reato de quo, conseguentemente “negando la legittimazione del privato a far valere una pretesa risarcitoria in dipendenza della violazione della predetta norma, in assenza cioè di una concreta lesione alla sua reputazione e alla sua riservatezza”;

b) “illegittimità e/o iniquità della sentenza per vizio della motivazione, essendo la conclusionein essa raggiunta infondata e frutto di erronea e contraddittoria interpretazione ed applicazione dell’art. 115 c.p.c.”: sostiene l’appellante che la sentenza abbia ritenuto fornita la prova del danno e liquidato quest’ultimo “in maniera del tutto infondata, incoerente ed erronea”, facendo “ricorso a fatti notori e presunzioni” basate su fatti incerti (come ad esempio la indimostrata pubblicizzazione del quotidiano con manifesti in tutta la provincia di Chieti) e dando rilievo probatorio ad allegazioni attoree non solo rimaste prive di prova (anche per la mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti dagli attori), ma intrinsecamente inverosimili (essendosi entrambi gli attori separati dai rispettivi coniugi anni prima della pubblicazione della telefonata ed a distanza di pochi mesi dalla vicenda oggetto della stessa; essendo l’esaurimento psico-fisico lamentato dal YYY riconducibile al suo coinvolgimento “in varie vicende giudiziarie che maggiore eco hanno avuto a livello mediatico” ed essendo tutt’altro che sfavorevoli le condizioni del divorzio della ZZZ, peraltro non riconducibili “in alcun modo alla pubblicazione”). Ciò avrebbe dovuto e dovrebbe condurre, secondo l’appellante, al rigetto delle domande risarcitorie o, comunque, alla rideterminazione della “ingiustificata e spropositata” liquidazione equitativa del danno, nei limiti in cui quest’ultimo possa eventualmente ritenersi effettivamente accertato.

3. Gli appellati si sono costituiti e, dopo avere preliminarmente eccepito l’inammissibilitàdell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c., ne hanno chiesto comunque il rigetto per infondatezza.

4. Ritiene questa Corte che, anzitutto, l’appello non possa essere dichiarato inammissibile perviolazione delle prescrizioni dell’art. 342 c.p.c., in quanto consente – all’esito di una valutazione complessiva e non formalistica, sulla cui necessità si vedano Cass. SU 27199/2017; Cass. 21336/2017; 2143/2015 – di individuare chiaramente le parti (o meglio: i passaggi motivazionali) della sentenza che ha inteso impugnare, i motivi di censura in fatto ed in diritto alle stesse mosse (con sufficiente grado di specificità, salvo laddove vengono acriticamente riproposte – con riferimento alla pertinenza della pubblicazione, alla sua riconducibilità a legittimo esercizio del diritto di cronaca ed alla individuabilità dei soggetti protagonisti della vicenda privata in tal modo divulgata – difese già svolte in prime cure e motivatamente disattese dalla sentenza impugnata) e le modifiche richieste dall’appellante. Né risulta che siano rimaste sottratte a gravame parti della sentenza tali da costituire autonome (rispetto a quelle censurate nella motivazione dell’atto di appello) rationes decidendi e da inficiare, sotto tale profilo, l’ammissibilità dell’appello.

5. In secondo luogo, l’appello, pur infondato quanto al primo motivo, è invece, quanto alsecondo motivo, parzialmente fondato e deve condurre ad una riforma, ancorché solo parziale, della sentenza gravata.

6. L’infondatezza del primo motivo deriva dalla insussistenza della lamentata contraddittorietà tra esclusione della ravvisabilità – sotto il profilo soggettivo – del reato di diffamazione ed accertamento – sotto il profilo soggettivo ed oggettivo – dell’illecito civile (e non solo penale) consistito nella divulgazione, tramite pubblicazione integrale della trascrizione di una telefonata intercettata nel corso di un procedimento penale pacificamente non ancora pervenuto alla conclusione dell’udienza preliminare (quindi tramite una pubblicazione di per sé vietata), di notizie attinenti una vicenda privata (relazione extraconiugale tra il YYY e la ZZZ, come tali ben individuabili, sia pure indirettamente), assolutamente non essenziale ai fini della informazione dell’opinione pubblica sulla vicenda giudiziaria oggetto di quel procedimento e lesiva della riservatezza e della reputazione dei soggetti in questione.

6.1. In proposito, nel rimandare alle diffuse e condivisibili argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata (che valgono a superare le difese dell’originario convenuto, il quale si è limitato con l’appello ad una loro acritica ed assertiva riproposizione), deve osservarsi:

a) che la omissione – eventualmente anche solo parziale – della intercettazione telefonica illegittimamente divulgata attraverso la integrale pubblicazione della sua trascrizione non avrebbe in alcun modo privato l’opinione pubblica di informazioni rilevanti sulla “vicenda ***”, cui il supplemento del quotidiano era dedicato;

b) che, in senso contrario, non può rilevare la circostanza che quella trascrizione era contenutanella richiesta di rinvio a giudizio per scelta del Pubblico Ministero, che la aveva ritenuta rilevante ai fini dell’indagine, posto che la pubblicazione integrale di quella richiesta integrava, a sua volta, violazione dell’art. 114 c.p.p. e dell’art. 684 c.p. ed in ogni caso non esimeva il giornalista da un vaglio teso alla eliminazione delle informazioni attinenti a comportamenti strettamente personali e non direttamente collegati alla inchiesta giudiziaria;

c) che altrettanto irrilevante è la conoscenza che della richiesta di rinvio a giudizio e del suocontenuto avevano le parti del procedimento penale (tra le quali non solo il YYY, ma anche *** – autore della pubblicazione e direttore del quotidiano cui essa venne allegata – ivi indicato come parte offesa), giacché, da un lato, è pacifico che la pubblicazione avvenne prima della conclusione dell’udienza preliminare e, dall’altro, è del tutto evidente come essa abbia reso conoscibile le notizie ivi riportate (tra cui quella della relazione extraconiugale cui si riferiva la trascrizione della intercettazione telefonica) alla più estesa ed indifferenziata platea dei lettori del supplemento;

d) che, ancorché la trascrizione integralmente pubblicata non contenesse le generalità dei protagonisti della relazione extraconiugale, questi erano identificabili sulla scorta degli elementi già evidenziati dalla sentenza impugnata, rimasta in parte qua priva di specifiche censure;

e) che la diffusione della notizia di una relazione extraconiugale integra certamente lesione della riservatezza, della reputazione e della dignità – cioè di diritti inviolabili – dei soggetti coinvolti (come si può agevolmente desumere dal carattere diffamatorio di siffatta divulgazione costantemente ravvisato dalla giurisprudenza penale, che sottolinea come leda la reputazione altrui “non solo l’attribuzione di un fatto posto in essere contro il divieto imposto da norme giuridiche, assistite o meno da sanzione, ma anche la divulgazione di comportamenti che, alla luce dei canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati, siano suscettibili di incontrare la riprovazione della communis opinio”: Cass. pen. 33106/2020; e come “i valori della riservatezza e della dignità possono essere compressi nel bilanciamento con il diritto all’informazione espresso dal pubblico interesse alla notizia, ma non possono essere compromessi oltre la soglia imposta dalla destinazione della notizia a soddisfare un bisogno sociale di conoscenza”: Cass. pen. 27616/2019) e vale, dunque, a perfezionare (ove connessa ad una condotta colposa, quale indubbiamente quella posta in essere dall’appellante) un illecito civile ex art. 2043 c.c., a prescindere da quale possa essere, sul piano penalistico, il reato ravvisabile nelle modalità di divulgazione.

6.2. Le considerazioni che precedono valgono altresì a dare ragione della infondatezza della censura con la quale l’appellante vorrebbe valorizzare il carattere monoffensivo del reato di cui all’art. 684 c.p. (cioè dell’unico reato ipotizzabile ed ipotizzato dalla sentenza impugnata, pur priva di qualsiasi espresso riferimento a tale norma incriminatrice), ormai affermato dalla giurisprudenza nomofilattica (Cass. SU 3727/2016 e 15815/2016; Cass. 28500/2018), che ritiene obiettivo della norma, prima della conclusione delle indagini preliminari, quello di non compromettere il buon andamento delle stesse e, dopo tale momento, quello di salvaguardare i principi propri del processo accusatorio, con la conseguenza che la sola violazione della norma incriminatrice de qua non attribuisce alcuna autonoma pretesa risarcitoria alla parte coinvolta nel processo. Invero – come la stessa giurisprudenza appena ricordata precisa, nel fare salva l’ipotesi che “dal fatto non sia derivata la lesione di beni della persona autonomamente tutelabili in base ad altre norme dell’ordinamento”- la non plurioffensività del reato in discorso non esclude che la condotta che lo integra (nella specie, la pubblicazione integrale di atti di un procedimento penale prima della conclusione dell’udienza preliminare) possa rilevare quale elemento costitutivo di altro ed autonomo illecito ove – come è avvenuto nella specie – da essa derivi la lesione della reputazione, della dignità, della riservatezza, cioè di diritti della persona tutelati da altre norme dell’ordinamento, che non sono (soltanto) le norme che sanzionano penalmente la diffamazione o l’ingiuria, ma – prima e sopra di esse – le norme costituzionali e sovranazionali che sanciscono l’inviolabilità di quei diritti anche nei rapporti interprivati. E’ sufficiente, in proposito, ricordare quanto si legge nella recente sentenza 132/2020 della Corte costituzionale, in tema di limiti della libertà di informazione, tra i quali “si colloca, in posizione eminente, la reputazione della persona, che costituisce al tempo stesso un diritto inviolabile ai sensi dell’art. 2 Cost. (sentenze n. 37 del 2019, n. 379 del 1996, n. 86 del 1974 e n. 38 del 1973) e una componente essenziale del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU (ex multis, Corte EDU, sentenza 6 novembre 2018, *** contro ***), che lo Stato ha il preciso obbligo di tutelare anche nei rapporti interprivati (in questo senso la menzionata sentenza Cumpn della Corte EDU, paragrafo 91), oltre che un diritto espressamente riconosciuto dall’art. 17 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. Un diritto, altresì, connesso a doppio filo con la stessa dignità della persona (sentenza n. 265 del 2014 e, nella giurisprudenza di legittimità, ex plurimis Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 28 ottobre 2010, n. 4938), e suscettibile di essere leso dalla diffusione di addebiti non veritieri o di rilievo esclusivamente privato”.

6.3. Né può venire in rilievo (nel senso precisato dalla stessa giurisprudenza nomofilattica invocata dall’appellante) la “limitatezza e marginalità della riproduzione testuale di un atto processuale”, nella specie insussistente, essendosi trattato della integrale riproduzione di una richiesta di rinvio a giudizio di circa 200 pagine, ovvero la tollerabilità di una lesione minima, tale non potendosi considerare quella dei diritti fondamentali della persona di cui si è detto.

7. Confermate, dunque, la sussistenza e l’attribuibilità all’odierno appellante di una condottacolposa causalmente connessa alla lesione di diritti degli odierni appellati aventi rilevanza costituzionale, occorre verificare – scrutinando il secondo motivo di appello – se da tale fatto illecito siano derivate agli appellati stessi apprezzabili conseguenze pregiudizievoli suscettibili di risarcimento.

7.1. Sotto questo profilo, la sentenza impugnata si rivela solo parzialmente condivisibile, allaluce dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha chiarito come la risarcibilità del pregiudizio all’onore ed alla reputazione non è in re ipsa, giacché il danno risarcibile si identifica non con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, “sicchè la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima” (così, ad esempio, Cass. ord. 8861/2021; si vedano anche, tra molte, ordd. 4005/2020; 25420/2017; 13153/2017 e sent. 24474/2014).

7.2. I suddetti parametri di riferimento consentono di ritenere sufficientemente, ancorchépresuntivamente, provato il solo pregiudizio (allegato con l’atto di citazione introduttivo del giudizio) tradottosi nel turbamento e nella sofferenza interiore derivanti dal timore che la diffusione del supplemento (messo in vendita a prezzo quasi irrisorio nel ristretto ambito locale – sia stato esso il “territorio vastese”, come sostiene senza ulteriori specificazioni l’appellante, ovvero la intera provincia teatina, come ritenuto dalla sentenza – nel quale vivevano ed operavano anche gli attori e pubblicizzato anche mediante apposite locandine, una delle quali prodotta come doc. 13 nel fascicolo degli attori-appellati) e la agevole (nel medesimo ristretto ambito locale) identificabilità dei protagonisti della vicenda oggetto della telefonata ivi integralmente trascritta mettessero a repentaglio la stima sociale – e quanto al YYY anche professionale – degli attori medesimi, rivelando ad un pubblico indiscriminato una relazione extraconiugale che (per quanto certamente già nota all’allora coniuge della ZZZ, analoga certezza non potendosi invece esprimere in ordine alla pregressa conoscenza della vicenda da parte della coniuge del YYY) è ancora suscettibile di incontrare la riprovazione della communis opinio e di screditare l’immagine morale dei protagonisti. E, con riferimento al YYY, può anche ritenersi che quel turbamento e quella sofferenza abbiano quanto meno concorso a determinare lo stato di ansia documentatamente diagnosticato dalla CMO di Chieti il 15/5 ed il 19/7/2007, pochi mesi dopo la pubblicazione del supplemento allegato al quotidiano del 24/2/2007.

7.3. Ma i suddetti parametri, in mancanza di ulteriori elementi anche solo indiziari, nonconsentono di ritenere – pur mediante il ricorso a presunzioni semplici – che alla soggettiva sofferenza interiore si sia accompagnato un effettivo discredito sociale (nessuna manifestazione tangibile del quale è stata allegata) e, più in generale, le “modificazioni in pejus del modo di estrinsecarsi della vita di relazione degli attori” che la sentenza ha, invece, ritenuto altresì accertate.

7.3.1. In particolare, quanto allegato dagli attori circa le conseguenze negative che la diffusione della notizia avrebbe prodotto nei loro rapporti con i rispettivi coniugi, dai quali essi erano già da alcuni anni separati, ovvero nelle loro condizioni di lavoro e di vita, non solo

non ha trovato alcuna conferma testimoniale (non essendo state ammessi i mezzi istruttori all’uopo richiesti), ma non è neanche evincibile dai documenti prodotti, che attestano soltanto:

a) quanto al YYY, la separazione personale consensuale omologata dal Tribunale di Vasto con decreto del 16/11/2004 (ma non anche tentativi di riconciliazione falliti per effetto della pubblicazione qui in esame) ed una prolungata assenza dal lavoro per malattia (ma non anche conseguenze di carattere disciplinari connesse alla relazione adulterina rivelata dalla pubblicazione);

b) quanto alla ZZZ, la cessazione degli effetti civili del matrimonio dichiarata, su ricorsocongiunto, dal Tribunale di Lanciano con sentenza del 20/3/2008 (facente seguito a decreto di omologazione di separazione consensuale del 29/9/2004) a condizioni tutt’altro che sfavorevoli per la suddetta (posto che il recesso dal rapporto di lavoro con la srl Il Castello – peraltro iniziato il 10/3/2005, dopo la separazione personale – è stato ivi formalizzato a fronte del riconoscimento di un contributo di mantenimento a carico dell’ex coniuge di € 1.200,00 mensili, pari alle retribuzioni lavorative attestate dalle due buste paga prodotte) ed il trasferimento della residenza da *** (comune ove si svolgeva il rapporto di lavoro) a Lanciano risalente al 19/5/2005, epoca ben anteriore alla pubblicazione di cui qui si discute.

7.4. Conseguentemente, pur non potendosi pervenire alla riforma totale della sentenza impugnata ed al rigetto delle domande risarcitorie dalla stessa accolte, l’entità del risarcimento del danno cui essa è pervenuta deve essere rideterminata, per adeguare la liquidazione equitativa ai soli pregiudizi morali che il compendio allegatorio ed istruttorio consente di ritenere provati.

7.5. Tenuto conto di quanto precede, la liquidazione equitativa del danno morale può attestarsi– conformemente a quelle operate da questa Corte in casi analoghi – in € 2.500,00 (in valore rapportato all’epoca di pubblicazione della sentenza qui impugnata) in favore di ciascuno degli attori-appellati, somma da maggiorare di interessi compensativi da calcolare sull’importo devalutato all’epoca del fatto e quindi anno per anno rivalutato, secondo i criteri esposti dalla sentenza impugnata e non contestati dalle parti. Applicando alla somma come qui determinata i fattori di calcolo sviluppati in tale sentenza, il risarcimento dovuto a ciascuno degli odierni appellati alla data del 13/1/2017 (comprensivo dei suddetti interessi), è pari ad € 2.910,57 (capitale iniziale devalutato: € 2.175,81; totale rivalutazioni successive: € 324,20; totale interessi: € 410,56), cui accedono interessi legali dal 14/1/2017 al saldo.

8. In tali termini, in riforma parziale della sentenza gravata, va rideterminata la condanna diXXX.

8.1. Quanto al regolamento delle spese processuali, che la riforma – ancorché parziale – della sentenza impugnata rende necessario estendere anche a quelle del primo grado in base all’esito complessivo della lite risultante dalla riforma medesima, la soccombenza reciproca ravvisabile nell’accoglimento rilevantemente parziale delle iniziali domande risarcitorie (quantificate in € 25.000,00 per ciascuno degli attori), valutata anche tenendo conto del rifiuto della proposta conciliativa formulata in primo grado (prevedente la corresponsione in favore degli attori della somma di € 5.000,00 oltre spese processuali), che all’esito della presenta riforma si rivela ingiustificato, induce la Corte a disporne l’integrale compensazione tra le parti.

8.2. Non essendo stati documentati esborsi sostenuti in esecuzione della sentenza riformata,nessuna condanna restitutoria può in questa sede essere pronunciata.

P.Q.M.

La Corte d’appello, definitivamente decidendo:

1. in accoglimento parziale dell’appello ed in riforma parziale della sentenza impugnata, ridetermina la condanna di XXX al pagamento della somma di € 2.910,57, oltre interessi legali dal 14/1/2017 al saldo, in favore di ciascuno degli appellati YYY e di ZZZ;

2. dichiara interamente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

Così deciso in L’Aquila nella camera di consiglio dell’8 settembre 2021.

Il Consigliere relatore

Il Presidente

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