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Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi

Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia.

Pubblicato il 15 October 2021 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
————–
CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA 
SEZIONE PER LE CONTROVERSIE CIVILI

Composta dai seguenti magistrati:

pronunciato la seguente

SENTENZA n. 1533/2021 pubblicata il 13/10/2021

nella causa in grado di appello iscritta al n° 73/2021 del ruolo generale e promossa

DA

XXX, YYY;

– appellante-

CONTRO

ZZZ SPV s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f./p.i.) e per essa in qualità di mandataria KKK s.pa. (c.f./p.i.);

BANCA JJJ s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f./p.i. 13653361009), contumace;

– appellato-

OGGETTO

Appello avverso la sentenza 1116 del 8/9-26/10/2020 pronunciata dal Tribunale di Pescara

CONCLUSIONI DELLE PARTI

Per l’appellante: Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, per tutti i suesposti motivi, contrariis reiectis, in accoglimento dell’appello proposto, riformare la sentenza n. 1116/2020 resa dal Tribunale di Pescara – Giudice Dott.ssa– in data 08.09.2020 e pubblicata il

26.10.2020, all’esito del giudizio civile iscritto al ruolo n. 2138/2015 R .G., notificata agli odierni appellanti in data 30.10.2020, in quanto viziata da erronea motivazione e violazione di legge, in ragione dei motivi di appello rassegnati in premessa, nella parte in cui rigetta nel merito le domande attoree rilevando l’insussistenza di usura del TAEG o del tasso di mora da solo considerato, l’inidoneità della omessa/erronea indicazione del TAEG ad inficiare la validità del contratto di mutuo ex art. 117 TUB, la liceità dell’applicazione del piano di ammortamento alla francese in relazione al dedotto fenomeno anatocistico ed, infine, la congrui à ex art. 38 TUB dell’importo finanziato rispetto al valore del bene immobile ipotecato, e per l’effetto voglia quindi integralmente accogliere, nel rigetto delle avverse deduzioni ed eccezioni e sulla scorta di tutte le motivazioni espresse nel presente atto, le conclusioni rassegnate dagli appellanti in primo grado che qui di seguito comunque si riportano:

“Voglia l’On. Tribunale adito, contrariis reiectis:

nel merito

1) Accertare e dichiarare la nullità e/o invalidità e/o inefficacia delle clausole che determinano gli interessi contenute nel contratto di mutuo ipotecario fondiario condizionato stipulato fra le parti in Pescara il 26.06.2007 a rogito del Notaio () e l’infondatezza di ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta Banca per interessi, spese, commissioni e competenze (già dalla stessa illegittimamente addebitati ed incassati) per tutto quanto sopra dedotto, per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo trimestrale di riferimento, nonché anche in subordine per contrarietà al disposto di cui all’art. 1283 c.c., con l’effetto della applicazione di nessun interesse , e/o perché essi interessi risultano pattuiti, determinati ed applicati con il metodo dell’anatocismo, non convenuto fra le parti, secondo il c.d. piano di ammortamento alla f rancese.

2) Conseguentemente, condannare la convenuta BANCA JJJ SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore alla restituzione di tutte le somme il legittimamente addebitate e riscosse nella misura di € 79.828,52 – oltre interessi legali in favore degli attori dai singoli pagamenti alla effettiva restituzione – o in quella maggiore o minore ritenuta di Giustizia e che sarà accertata anche mediante apposita CTU.

3) In ogni caso condannare la Banca convenuta al risarcimento degli ulteriori danni che sono derivati e che deriveranno agli odierni attori anche a seguito della eventuale illegittima segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia a motivo del rischio ad incaglio od a sofferenza falsamente qualificato e quantificato da determinarsi in via equitativa.

4) condannare, in ogni caso, la banca convenuta al pagamento delle spese e competenze di giudizio in favore del di ensore quivi qualificatosi come antistatario.”

Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio così come del giudizio di primo grado.

Per l’appellato voglia l’Ill.ma Corte adìta accogliere, contrariis reiectis e per i motivi spiegati, le seguenti conclusioni:

nel merito,

1) dichiarare inammissibile, improcedibile ovvero rigettare l’avverso appello;

2) condannare i Sigg.ri XXX YYY al pagamento di spese e compensi legali del doppio grado di giudizio.

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Pescara ha rigettato la domanda avanzata da XXX e YYY contro la Banca JJJ delle, volta ad accertare la nullità e/o l’invalidità e/o l’inefficacia delle clausole di determinazione degli interessi contenute nel contratto di mutuo ipotecario fondiario condizionato, stipulato tra le parti in data 26/7/2007 a rogito del notaio, ed ottenere la condanna del predetto istituto di credito alla restituzione delle somme illegittimamente riscosse nella misura di € 79.828,52, maggiorate di interessi legali.

Gli originari attori hanno proposto appello, articolando i seguenti motivi: 1) erroneità del capo di sentenza che ha rigettato l’eccezione di usurarietà del TAEG applicato al contratto di mutuo, per non avere il primo giudice ricompreso nel calcolo la provvigione corrisposta all’intermediario nella misura di € 16.000,00, la penale per l’estinzione anticipata del mutuo e le voci di costo specificamente indicate nelle proprie osservazioni alla CTU; 2) erroneità del capo di sentenza nella parte in cui ha escluso la violazione dell’art. 117 TUB, con conseguente applicazione del tasso di interesse sostitutivo, nonostante la CTU svolta in primo grado abbia rilevato che il costo del credito praticato era maggiore di quello dichiarato in contratto: 3) erroneità del capo di sentenza che ha rigettato l’eccezione di usurarietà dei soli interessi moratori, risultando questi in misura pari all’8,4238% a fronte di un tasso soglia determinato nell’8,37% e ha ritenuto non provati i pagamenti effettuati a tale titolo da essi mutuatari; 4) erroneità del capo di sentenza che ha rigettato l’eccezione di usurarietà del tasso di interessi pattuito in relazione ad un contratto di mutuo con ammortamento c.d. alla francese, mai convenuto tra le parti, senza effettuare alcun confronto con gli interessi scaturenti dall’applicazione di un piano di ammortamento all’italiana o a capitale costante; 5) erroneità del capo di sentenza cha ha rigettato l’eccezione di nullità del contratto di mutuo per superamento dei limiti di finanziabilità previsti dall’art. 38 TUB e dalla delibera CICR 22/4/1995. Hanno quindi insistito per l’accoglimento delle domande già svolte in primo grado, previo rinnovo della CTU contabile.

La ZZZ SPV s.r.l. ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

La s.p.a. Banca JJJ è rimasta contumace.

Il primo motivo di appello non appare meritevole di accoglimento.

Il Tribunale, aderendo alle conclusioni della CTU contabile svolta nel corso del giudizio, ha rigettato l’eccezione di nullità del tasso di interesse fissato nel contratto di mutuo fondiario dedotto in giudizio, rilevando che il CTU aveva fatto corretta applicazione delle modalità di calcolo stabilite nelle istruzioni della Banca d’Italia, escludendo la penale prevista per l’ipotesi di estinzione anticipata del mutuo, la provvigione corrisposta all’intermediario finanziario Selezioni Mutui e alcune delle voci di costo analiticamente indicate dagli appellanti in sede di osservazioni alla CTU.

Gli appellanti, pur non impugnando l’affermazione preliminare del primo giudice, per cui ai fini della verifica del fenomeno usurario deve farsi applicazione, in via esclusiva, dei criteri elaborati da Banca d’Italia (questione sulla quale può quindi ritenersi formato il giudicato), hanno contestato innanzitutto l’esclusione dal calcolo per la rilevazione dell’usura la commissione per l’estinzione anticipata del finanziamento, richiamando alcune pronunce della giurisprudenza di merito che ritengono detta penale un vero e proprio costo connesso alla erogazione del credito.

Questa Corte è ben consapevole del dibattito ancora in atto nella giurisprudenza di merito, circa valutazione del costo in oggetto ai fini della verifica del superamento dei tassi soglia usurari al momento della pattuizione. In questa sede si ritiene di ribadire il proprio orientamento che aderisce alla tesi che esclude la rilevanza della commissione di estinzione anticipata ai fini del calcolo dell’usura.

Innanzitutto occorre rilevare che detta esclusione dal calcolo è espressamente stabilita dalle

Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura della Banca d’Italia al punto C4.

La circostanza non è priva di rilievo poiché il giudizio sull’usurarietà di un rapporto di credito si basa su di un raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell’ambito del contratto oggetto di contenzioso) ed un dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), se detto raffronto non viene effettuato ricorrendo alla medesima metodologia di calcolo, il risultato che se ne ricava sarà inevitabilmente falsato.

Si è infatti affermato che “Le “Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura” emanate dalla Banca d’Italia, oltre a rispondere alla elementare esigenza logica e metodologica di avere a disposizione dati omogenei al fine di poterli raffrontare, hanno anche natura di norme tecniche autorizzate, posto che, da un lato, l’attribuzione della rilevazione dei tassi effettivi globali alla Banca d’Italia è stata via via disposta dai vari decreti ministeriali annuali che si sono succeduti a partire dal d.m. 23/9/1996 per la classificazione in categorie omogenee delle operazioni finanziarie, e dall’altro lato i decreti ministeriali trimestrali con i quali sono resi pubblici i dati rilevati, all’art. 3 hanno sempre disposto che le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del tasso soglia, si attengono ai criteri di calcolo indicati nelle “Istruzioni” emanate dalla Banca d’Italia. Le “Istruzioni” in parola sono pertanto autorizzate dalla normativa regolamentare e sono necessarie per dare uniforme attuazione al disposto della norma primaria di cui all’art. 644, quarto comma c.p.. Il computo nel TEG delle commissioni, delle remunerazioni e delle spese collegate all’erogazione del credito richiede necessariamente l’esercizio di una discrezionalità tecnica per la definizione della relativa formula matematica. La scelta operata dalla Banca d’Italia appare del tutto congrua e ragionevole, nell’ambito della ricordata discrezionalità” (cfr Trib. Milano,21.10.2014).

Ed ancora le “Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura” emanate dalla Banca d’Italia, oltre a rispondere alla elementare esigenza logica e metodologica di avere a disposizione dati omogenei al fine di poterli raffrontare, hanno anche natura di norme tecniche autorizzate, posto che, da un lato, l’attribuzione della rilevazione dei tassi effettivi globali alla Banca d’Italia è stata via via disposta dai vari decreti ministeriali annuali che si sono succeduti a partire dal d.m. 23/9/1996 per la classificazione in categorie omogenee delle operazioni finanziarie, e dall’altro lato i decreti ministeriali trimestrali con i quali sono resi pubblici i dati rilevati, all’art. 3 hanno sempre disposto che le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del tasso soglia, si attengono ai criteri di calcolo indicati nelle “Istruzioni” emanate dalla Banca d’Italia. Le “Istruzioni” in parola sono pertanto autorizzate dalla normativa regolamentare e sono necessarie per dare uniforme attuazione al disposto della norma primaria di cui all’art. 644, quarto comma c.p..

Il computo nel TEG delle commissioni, delle remunerazioni e delle spese collegate all’erogazione del credito richiede necessariamente l’esercizio di una discrezionalità tecnica per la definizione della relativa formula matematica. La scelta operata dalla Banca d’Italia appare del tutto congrua e ragionevole, nell’ambito della ricordata discrezionalità (cfr Trib Milano 21.10.2014).

In secondo luogo si osserva che la penale per estinzione anticipata del mutuo costituisce un elemento accidentale del negozio, di natura meramente eventuale e funzionale ad indennizzare il mutuante dei costi collegati al rimborso anticipato del credito. La sommatoria della penale in esame agli interessi corrispettivi determinerebbe pertanto la sommatoria di due voci che, pur originariamente pattuite, lo sono in relazione a due eventi radicalmente diversi e incompatibili tra loro, essendo la prima finalizzata a risarcire il mancato guadagno, conseguente alla anticipata risoluzione del rapporto, e i secondi l’ordinaria remunerazione del fisiologico svolgimento del rapporto medesimo.

In ogni caso, anche a voler aderire alla tesi, per cui, per valutare la rilevanza della commissione di estinzione anticipata, occorre considerare l’effettiva applicazione della medesima, occorre rilevare che gli appellati hanno provveduto al pagamento delle rate fino al 31/7/2011 (dopo aver versato in ritardo alcune rate precedenti) e che il contratto di mutuo è stato risolto per il mancato pagamento delle successive 19 rate scadute con raccomandata in data 1/3/2013 (cfr. doc. 14 nel fascicolo degli appellanti) E’ risultato quindi non solo improbabile, ma anche in radice escluso che i mutuatari, dopo aver ricevuto il finanziamento con un previsto piano di ammortamento venticinquennale, abbiano scelto di restituirlo in unica soluzione a distanza di pochi giorni, settimane o mesi dall’erogazione, addebitandosi la relativa penale. Pertanto dovendo l’incidenza della clausola di estinzione anticipata essere valutata anche in scenari ipotetici ma, per lo meno, “verosimili”, ne deriva nel caso di specie, in cui i mutuatari hanno inteso conservare la disponibilità del credito ed eseguire il piano di ammortamento (salvo poi a non provvedere ai pagamenti), l’irrilevanza del worst case e di ogni altro scenario possibile, ma non verificatosi.

La seconda censura mossa dagli appellanti è l’avvenuta esclusione dal calcolo per la rilevazione dell’usura della provvigione pagata all’intermediario finanziario Selezioni Mutui. Assumono in particolare che “il pagamento della provvigione va ad inserirsi nell’operazione di concessione del finanziamento ampiamente intesa quale onere sostenuto dal soggetto finanziato al fine di ottenere il capitale richiesto in finanziamento”.

La prospettazione non appare condivisibile.

Il pagamento del costo in esame, infatti, deriva dalla (libera ed unilaterale) decisione dei mutuatari di dare incarico ad un soggetto intermediario terzo di individuare l’istituto mutuante, che offriva le condizioni più vantaggiose ovvero più consone al loro profilo economico, decisione alla quale è rimasta del tutto estranea la banca mutuante, sicché detto costo non può che dirsi solo occasionalmente ed indirettamente connesso al contratto di mutuo per cui è causa.

Inoltre come correttamente rilevato dal primo giudice si tratta di un versamento fatto ad un soggetto terzo oltre che non ricompreso nelle norme tecniche di cui alle istruzioni della Banca d’Italia, la cui applicazione in via esclusiva, come sopra già rilevato, non è stata messa in discussione dagli appellanti.

Quanto infine alla mancata inclusione nel conteggio del TAEG per l’accertamento dell’usura degli oneri indicati nel punto 1.1 delle note del CTP rag. ***, gli appellanti in questa sede si sono limitati ad affermare che “nei calcoli eseguiti dal CTU in perizia … viene ingiustamente omessa l’inclusione di molteplici voci di costo … pur certamente collegate all’erogazione del credito, circostanza questa che naturalmente invalida i risultati a cui il CTU prima, ed il Giudice poi sono pervenuti in punto di usurarietà” (cfr. pag. 8 atto di appello).

A riguardo questa Corte si limita a rilevare che il CTU ha adeguatamente risposto alle osservazioni svolte sul punto dagli odierni appellanti, rilevando di avere escluso dal calcolo non tutte le voci di spesa indicate dal CTP, ma solo quelle di cancellazione dell’ipoteca sui mutui estinti, le spese notarili, le spese per restrizioni della garanzia, le spese per le delibere di restrizione ipotecaria, i diritti di segreteria per rinegoziazione mutuo e la commissione per ogni richiesta di sospensione, in quanto oneri del tutto eventuali, non rispondenti al principio di effettività dei pagamenti oltre che non previsti dalle istruzioni della Banca d’Italia. La mancata specifica contestazione delle ragioni poste a base della esclusione dal calcolo del TAEG delle voci in esame indicate dal CTU e recepite dal primo giudice, rende in parte qua inammissibile il motivo di impugnazione.

In ogni caso occorre rilevare che in risposta alle osservazioni il CTU ha provveduto al ricalcolo del TAEG ricomprendendo anche le voci di costo in esame (oltre alla provvigione versata

all’intermediario) accertando che in ogni caso il TAEG era contenuto nei limiti del tasso soglia. Tali conclusioni non sono state oggetto di alcuna valutazione e contestazione da parte degli appellanti in questa sede.

Le considerazioni che precedono impongono il rigetto dell’ulteriore questione relativa alla mancata considerazione da parte del primo giudice delle ipotesi di usurarietà ai sensi dell’art. 40 TUB per il mancato pagamento della 7° rata e del pagamento delle rate con 180 giorni di ritardo.

Dai conteggi svolti dal CTU nominato in primo grado, sulla base della corretta applicazione delle modalità di calcolo stabilite dalla Banca d’Italia, emerge infatti che in nessun caso risulta mai superato il tasso soglia in vigore nel terzo trimestre del 2007, data di conclusione del contratto di mutuo fondiario in esame.

Le considerazioni che precedono impongono l’integrale rigetto del primo motivo di appello.

 Infondato appare anche il secondo motivo di gravame, con il quale gli appellanti reiterano l’eccezione di nullità del tasso di interessi, risultando il costo del credito in concreto praticato maggiore di quello dichiarato in contratto.

Il Tribunale ha rigettato l’eccezione in esame aderendo alla giurisprudenza di merito che ritiene che l’omessa o erronea indicazione del TAEG non incida sulla validità del contratto ai sensi dell’art. 117 TUB, ma può al più rilevare sotto il profilo della responsabilità precontrattuale, svolgendo una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi.

In punto di fatto questa Corte dà atto che il CTU nel confrontare il TAEG/ISC indicato in contratto con quello da lei ricalcolato ha rilavato una differenza pari allo 0,02%.

In punto di diritto questa Corte è ben consapevole del dibattito in atto sull’argomento, ma, in conformità a questo già affermato dal primo giudice, ritiene di aderire a quella parte (peraltro maggioritaria) giurisprudenza di merito (cfr. Trib. di Roma sent. n. 43/20 e n. 18427/20; Trib. Torino sent. 3226/20; C.App. Torino sent. 464/20; Trib. Verona sent. n. 1473/2018; C. App. Milano ord. del 05/05/2018) che, sulla considerazione che il TAEG/ISC è un indicatore sintetico dei costi complessivi del contratto (e non soltanto degli interessi), ritiene che la sua eventuale errata indicazione non possa condurre, come chiesto dagli appellanti, alla nullità parziale del contratto limitatamente agli interessi. Il TAEG/ISC, infatti, non costituisce un tasso d’interesse da applicare al contratto di mutuo, ma svolge una mera funzione informativa, sicché l’obbligo della sua indicazione quale regola di comportamento può al più legittimare, ricorrendone i presupposti, l’esperimento dei rimedi ablativi contro i vizi del consenso (annullamento per errore) o quelli risarcitori previsti a tutela della libertà contrattuale (art. 1337 c.c.).

A diversa conclusione potrebbe addivenirsi soltanto nei casi di credito ai consumatori rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 122 TUB, stante la speciale disposizione prevista dall’art. 125 bis, sesto comma, l. cit., che, proprio per il suo carattere di specialità, da un lato avvalora la tesi interpretativa qui sostenuta con riferimento alla disciplina di ordine generale, dall’altro non è applicabile in via estensiva o analogica al caso di specie.

Siccome nella presente causa gli appellanti non hanno formulato alcuna domanda di annullamento del contratto o risarcitoria per responsabilità precontrattuale, l’erronea indicazione del TAEG/ISC risulta quindi nella specie irrilevante.

Infine anche a voler estendere al contratto per cui è causa la disciplina a tutela del consumatore prevista dall’art. 125 bis del TUB, che sanziona al comma 6 con la nullità la non corretta indicazione del TAEG rispetto a quello realmente applicato, questa Corte non può non rilevare come detta disciplina non potrebbe trovare applicazione in quanto entrata in vigore soltanto con il d.lgs n.140/2010 e quindi in epoca successiva alla sottoscrizione del contratto di mutuo per cui è causa.

 Non meritevole di accoglimento è anche il terzo motivo di impugnazione, con il quale gli appellanti deducono l’erroneità del rigetto dell’eccezione di usurarietà del tasso di mora in sé considerato.

Il Giudice di primo grado ha rigettato l’eccezione in esame, da un lato, facendo proprie le conclusioni raggiunte sul punto dal nominato CTU, che ha escluso ogni profilo di usura (sia considerando l’ipotesi del mancato rimborso di tutte le rate del mutuo con applicazione del tasso di mora su tutte le rate a scadere, sia considerando l’ipotesi del rimborso da parte del cliente di tutte le rate a scadere sia considerando l’ipotesi del rimborso da parte del cliente di tutte le rate con un ritardo di un mese e calcolando quindi la mora per ogni mese) e, dall’altro rilevando che in ogni caso gli attori, che ne erano onerati, non avevano prodotto documenti dai quali evincere il calcolo degli interessi moratori e il loro effettivo pagamento.

Gli appellanti hanno censurato le ragioni della decisione, affermando che il tasso moratorio stabilito in contratto era pari all’8,4238% e quindi superiore al tasso soglia dell’8,37% e stigmatizzando la mancata valutazione da parte del CTU e del Tribunale del documento da loro prodotto sub 11 “contenente la lista dei pagamenti eseguiti da cui evincere anche l’effettiva applicazione di interessi moratori”.

Sotto il primo profilo questa corte si limita a rilevare che la percentuale del tasso di mora indicato dagli appellanti non è corretto, avendo gli stessi proceduto al relativo calcolo ponendo a base il TAEG come ricalcolato da proprio consulente di parte, in difformità rispetto alle istruzioni della Banca d’Italia, come ribadito in relazione al primo motivo di appello.

Sotto il secondo profilo, occorre rilevare che l’invocato doc. 11 non costituisce prova dei pagamenti, ma è una semplice tabella riassuntiva predisposta dagli stessi appellanti del tutto priva di valore probatorio e del tutto scollegata dalla tabella riportata a pag. 10 del corpo dell’atto di citazione di primo grado.

Anche il capo di sentenza in esame deve pertanto essere confermato.

 Non meritevole di accoglimento è anche il quarto motivo di appello con il quale si censura l’avvenuto rigetto dell’eccezione di illegittimità del sistema di ammortamento c.d. alla francese.

In particolare gli appellanti eccepiscono da un lato che “il piano di ammortamento alla francese non è stato contrattualmente esplicitato” e dall’altro che lo stesso ha dato luogo ad un indebito effetto anatocistico, costituito dall’applicazione di interessi di mora su quote di debito già comprensive di interessi corrispettivi.

Quanto al primo profilo questa Corte si limita a rilevare che l’art. 4 del finanziamento testualmente prevede: “Dette rate mensili vengono (attualmente) determinate in € 1.928,69 ed avranno scadenza l’ultimo giorno di ogni mese. Ciascuna rata è composta di una quota crescente di interessi, computati questi sulla somma di capitale gradualmente residua […]”.

Il piano di ammortamento, allegato nella sua interezza al contratto sub lettera C con la sottoscrizione in ciascuna pagina di entrambi i mutuatari, reca la specifica indicazione, per ciascuna rata, della scadenza, dell’ammontare totale, della quota interessi, della quota capitale e del debito residuo.

Tali emergenze consentono di affermare che il contratto di mutuo fondiario in esame delineava con estrema precisione il meccanismo di rimborso della somma finanziata, riconducibile con evidenza ad un sistema di ammortamento alla francese, con conseguente specifica formazione dell’accordo contrattuale su detto sistema di rimborso.

Quanto al secondo profilo gli appellanti reiterano le considerazioni già svolte in primo grado per cui il piano di ammortamento alla francese, per sue caratteristiche intrinseche, comporta il prodursi di un fenomeno anatocistico.

Tale assunto, però, non coglie nel segno e di conseguenza non può essere condiviso.

La questione, in effetti, ha costituito ed ancor oggi rappresenta terreno di confronto in ambito giurisprudenziale (di merito) dove sono adottate soluzione divergenti fra loro.

Passando in rapida rassegna le decisioni che si sono occupate della questione, deve ritenersi senza dubbio prevalente la soluzione che esclude l’anatocismo nel metodo dell’ammortamento alla francese.

Come noto, trattasi di una particolare modalità di rimborso del prestito caratterizzato dalla presenza di una rata (proprio come verificatosi nel caso di specie) ad importo costante composta da una duplice componente: una quota di interessi via via decrescente ed un’altra, in linea capitale, invece progressivamente crescente.

La più recente giurisprudenza, che si è in effetti occupata della questione, ha chiarito che “la quotainteressi si ottiene moltiplicando per il tasso I il debito residuo del periodo precedente, tenendo presente che al tempo zero il debito residuo coincide con quello iniziale e, pertanto, applicando la formula dell’interesse semplice (Interessi = Capitale x tasso x tempo); 3. la quota-capitale è la

differenza fra la rata del prestito e la quota-interessi dello stesso periodo; 4. il debito estinto alla fine del periodo è dato dalla somma del debito estinto alla fine del periodo precedente e della quotacapitale versata; 5. il debito residuo, che al tempo zero coincide con il debito iniziale si calcola per differenza fra il debito iniziale e quello estinto. Ne consegue che gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente per il periodo corrispondente a ciascuna rata, al tasso nominale indicato in contratto e che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti” (cfr Corte Appello Roma, 30.1.2020 n. 731).

Le principali ragioni che sono state indicate a supporto di tale opzione possono essere così sintetizzate:

a) nel metodo dell’ammortamento alla francese, gli interessi sono calcolati sul debito residuo e non sugli interessi pregressi;

b) in ogni rata è garantito il pagamento di tutti gli interessi dovuti a quel momento;

c) gli interessi sulla rata con scadenza successiva riguardano unicamente il capitale residuo;

d) la formula matematica (definita di sconto composto) che presiede all’applicazione di tale ammortamento che consente di individuare la quota capitale da restituire in ciascuna delle rate prestabilite, così che la somma dei valori capitale compresi in tutte le rate del piano di ammortamento sia uguale al capitale mutuato, ma non va ad incidere sul separato conteggio degli interessi, che risponde alle regole dell’interesse semplice, venendo conteggiato ad ogni rata sul solo capitale che residua dopo la restituzione del capitale effettuato tramite le rate precedenti;

e) l’applicazione, rispetto al diverso metodo dell’ammortamento all’italiana, di interessi risulta giustificata dal fatto che le rate computate comprendono da subito una quota capitale maggiore;

f) il sistema così congegnato risulta aderente al disposto di cui all’art. 1194 cod civ.;

g) a difettare è quindi il presupposto stesso dell’anatocismo, vale a dire la presenza di un interesse giuridicamente definibile come scaduto sul quale operare il calcolo dell’interesse composto ex art. 1283 c.c.;

A fronte di tali considerazioni, le generiche argomentazioni svolte dagli appellanti non si rivelano persuasive e comunque dotate di un’estrinseca rilevanza giuridica tale da consentire un diverso inquadramento dei fatti.

Anche il capo di sentenza in esame deve pertanto essere confermato.

 Infine, non fondato appare anche l’ultimo motivo di appello, con il quale si deduce l’erroneità del capo di sentenza che ha rigettato l’eccezione di nullità del mutuo per violazione dei limiti di finanziabilità fissati dall’art. 38 TUB.

Il Tribunale in particolare ha ritenuto rispettato il limite dell’80% fissato dalla citata disposizione sulla base delle seguenti circostanze: che l’importo mutuato era pari a complessivi € 300.000,00; che l’immobile concesso in ipoteca era stato acquistato contestualmente alla stipulazione del contratto di mutuo per il prezzo di € 380.000,00; che all’art. 7 del contratto di mutuo le parti si erano date atto che il valore dell’immobile cauzionale era tale da garantire il rispetto del limite di finanziabilità previsto dalla vigente normativa in materia di credito fondiario; che la circostanza che il bene concesso in garanzia fosse già gravato da una ipoteca in favore di un terzo non era idonea a incidere sulla determinazione del valore dello stesso e del limite di finanziabilità in quanto ai sensi dell’art. 6 del contratto di mutuo parte mutuataria si era impegnata a cancellare detta ipoteca “autorizzando sin d’ora all’uopo la Banca ad utilizzare, in tutto o in parte, la somma rinveniente dallo svincolo del deposito cauzionale per l’estinzione dei debiti garantiti dalle stesse iscrizioni”.

Gli appellanti hanno contestato le ragioni poste a base della decisione, rilevando che il giudice di primo grado non aveva considerato che, in assenza di una perizia volta a determinare e verificare preventivamente il reale valore cauzionale dell’immobile oggetto di garanzia rispetto al finanziamento erogato, doveva ritenersi violato il disposto dell’art. 38 TUB. Il valore effettivo dell’immobile infatti non poteva desumersi dal prezzo pattuito tra le parti, bensì doveva essere determinato sulla base del prudente apprezzamento della futura negoziabilità del bene, tenuto conto degli aspetti durevoli a lungo termine e delle condizioni di mercato, dell’uso corrente e dei suoi appropriati usi alternativi, senza riferimento né al valore di mercato in un determinato momento né a considerazioni speculative.

I rilievi non appaiono condivisibili.

Costituisce infatti principio di diritto assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui, allorché la pretesa fatta valere in giudizio sia ancorata all’assunta invalidità del contratto, ma la nullità di questo non risulti dal suo stesso contenuto, bensì derivi da circostanze ad esso estranee, costituisce onere dell’attore fornire la prova delle stesse senza che il giudice possa assumere iniziative volte a reperire, nell’inerzia della parte, detti elementi. Nella specie l’affermata nullità del contratto di mutuo fondiario non è desumibile in sé dal tenore delle sue clausole, atteso che le stesse al contrario, come evidenziato dal primo giudice, affermano il rispetto del limite di finanziabilità previsto dall’art. 38 TUB sia espressamente (art. 7) sia indirettamente mediante il confronto tra l’importo del mutuo erogato ed il valore dell’immobile concesso in ipoteca. Era quindi onere degli appellanti provare che tale ultimo valore era inferiore al c.d. valore cauzionale, tenendo conto degli invocati criteri fissati dalla direttiva comunitaria n. 32 del 22/6/1998, la direttiva n. 12 del 20/3/2020, la direttiva n. 48 del 14/6/2006, la direttiva n. 575 del 26/6/2013, la direttive della Banca d’Italia n. 263 del 27/12/2006, la circolare della Banca d’Italia n. 285 del 17/12/2013 e le linee guida delle valutazioni immobiliari ABI. Tuttavia detto onere nella specie non risulta essere stato assolto, non avendo gli appellanti prodotto alcuna relazione di stima e non avendo neppure in radice allegato circostanze di fatto specifiche relative alle effettive condizioni del bene, al suo uso corrente, ai possibili usi alternativi ed alla sua futura negoziabilità con prudente apprezzamento.

Né in senso contrario può valorizzarsi la sola circostanza che la banca nella fase precontrattuale di istruttoria della pratica non abbia fatto svolgere una perizia estimativa, tenuto conto del fatto che un simile obbligo è stato introdotto solo con il DL n° 72/2016 in attuazione della direttiva 2014/17/CE, ed è applicabile soltanto ai contratti successivi all’entrata in vigore della novella (il contratto dedotto in giudizio risale al 26/7/2007).

Anche tale capo della sentenza deve pertanto essere confermato, con conseguente integrale rigetto dell’appello.

Le spese del di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in base ai valori medi indicati nelle tabelle allegate al d.m. n. 55 del 2014 per le cause del relativo scaglione di valore.

Stante la soccombenza integrale dell’appellante ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 1, comma 17 L. 228/2012.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di L’Aquila, definitivamente pronunciando sull’appello proposto avverso la sentenza n. 1116 del 8/9-26/10/2020 pronunciata dal Tribunale di Pescara, così decide nel contraddittorio delle parti:

rigetta l’appello; condanna gli appellanti al rimborso in favore della ZZZ SPV s.r.l. delle spese di lite, liquidate nella misura di € 9.600,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15% IVA e CPA; dichiara parte appellante tenuta pagamento di una somma pari a quella già versata a titolo di contributo unificato ex art. 1, comma 17, L. 228/2012.

Così deciso nella camera di consiglio tenuta da remoto in data 8/10/2021

Il Presidente

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