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Infanticidio in condizione di abbandono materiale e morale

E’ questa un’autonoma ipotesi di reato riportata nel Titolo dodicesimo “Delitti contro la persona”, capo primo “Delitti contro la vita e l’incolumità individuale” del Codice Penale, del 1930, meglio conosciuto come codice Rocco. In questa specifica sezione si provvede alla tutela di beni strettamente inerenti alla persona umana considerata nel suo aspetto fisico e morale, […]

Pubblicato il 20 October 2006 in Diritto Penale

E’ questa un’autonoma ipotesi di reato riportata nel Titolo dodicesimo “Delitti contro la persona”, capo primo “Delitti contro la vita e l’incolumità individuale” del Codice Penale, del 1930, meglio conosciuto come codice Rocco. In questa specifica sezione si provvede alla tutela di beni strettamente inerenti alla persona umana considerata nel suo aspetto fisico e morale, ove per “PERSONA”, secondo un condiviso orientamento di dottrina e giurisprudenza, si intende, un insieme di beni, interessi e diritti, giuridicamente tutelabili. In particolare, i “Delitti contro la vita”, consistono in condotte lesive del bene individuale dell’esistenza, mentre, i” Delitti contro l’incolumità individuale” riguardano aggressioni che ledono e, pongono in pericolo l’integrità del singolo. Addentrandoci nel vivo della materia, “ L’infanticidio in condizione di abbandono materiale e morale” è disciplinato dall’articolo 578 cp, ai sensi del quale: “ La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da 4 a 12 anni. A coloro che concorrono nel fatto si applica una reclusione non inferire a 21 anni. Tuttavia, se essi, hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi. Non si applicano le aggravanti stabilite dall’art 61 del codice penale” L’articolo in questione è stato novellato dalla legge 5 Agosto 1988, n. 442 che ha abrogato la rilevanza penale della causa d’onore, infatti con la nuova formulazione si sostituisce la cd causa sceleris, in passato la causa d’onore, oggi, in palese disarmonia con le mutate condizioni sociali, ritenuta circostanza attenuante con la condizione di abbandono materiale e morale. In sostanza infanticidio e feticidio, richiamati dal codice penale all’art 578 sono ipotesi parimenti punibili, ciò che li distingue è il mero elemento cronologico; infatti,l’infanticidio consiste nell’omicidio del nascituro immediatamente dopo il parto, mentre il feticidio è definibile come la soppressione del feto durante al gestazione materna. Per l’infanticidio, soggetto passivo è il nascituro, cioè un soggetto nato vivo mentre soggetto attivo è la madre che secondo la norma codicistica deve versare in uno stato di abbandono materiale e morale; si presuppone dunque la necessaria configurabilità di una situazione obiettiva e psicologica, pertanto è necessario l’accertamento, nella madre, di uno stato di angoscia e prostrazione, dovuto, non tanto alla nascita di un figlio, ma alle poco rosee prospettive di assistenza, per sé ed il neonato, dopo il parto, se così non fosse si ricadrebbe nella spera prevista ex art 575 cp. Altro requisito indispensabile per l’infanticidio è l’immediatezza della condotta dopo il parto, rilevata caso per caso in relazione al rapporto tra condotta materna e condizioni di abbandono. E’ punibile a titolo di dolo generico secondo l’art 43 cp, in quanto manca una espressa previsione legislativa della sua punibilità a titolo di colpa, perciò se la madre cagiona per colpa la morte del suo infante, risponderà di omicidio colposo ex art 589 cp. Si rileva che la condotta omicida non necessariamente deve consistere in un’azione, ma può consistere anche in un’omissione come ad esempio nel caso di una madre che non alimenta il proprio figlio, o, non gli presta le dovute cure al fine di cagionargli la morte. Si ritiene opportuno, in merito all’argomento, richiamare un’autorevole sentenza della Corte Ass App di Milano del 1988, che aveva ritenuto non punibile la madre ventenne che immediatamente dopo il parto, in uno stato di shock, derivante da una nascosta gravidanza, aveva gettato il neonato fuori dalla finestra del bagno della propria abitazione, cagionandogli in tal modo lesioni mortali. In questo caso la Corte aveva ritenuto sussistente un vizio totale di mente, ossia un’apprezzabile alterazione mentale, anche se temporanea, tale da alterare la personalità dell’imputata escludendo così la sua punibilità. Per quanto riguarda il feticidio è importante sottolineare che esso non va assolutamente confuso con “l’aborto” tipico esempio di interruzione della gravidanza introdotto nel nostro sistema dalla legge 19478, strettamente dipendente dalla volontà della donna. La fattispecie soggiace a precisi limiti di natura temporale, infatti, in via ordinaria deve essere praticato non oltre 90 giorni ( o ventiquattro settimane) di vita del feto, in via eccezionale, esempio nel caso in cui si presentino situazioni di pericolo di vita o, per la salute psicofisica della donna, oltre il predetto termine. Resta, in ogni caso, esclusa la pratica interruttiva qualora sussista la possibilità di vita autonoma del feto. Il termine di 90 giorni è, ovviamente da considerarsi, convenzionale, infatti decorso senza che si prospettino casi eccezionali, ma comunque praticato , si incorre nella sanzione penale, prevista dall’art 19 della legge 19478, che punisce con la reclusione fino a tre anni : chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza l’osservanza delle modalità stabilite dalla legge stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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