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Codice Penale

Indebito previdenziale, accertamento negativo

Indebito previdenziale, accertamento negativo della sussistenza dell’obbligo di restituire quanto percepito.

Pubblicato il 20 January 2022 in Diritto Previdenziale, Giurisprudenza Civile

TRIBUNALE D I ROMA
Sezione II lavoro
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

SENTENZA n. 330/2022 pubblicata il 18/01/2022
Ai sensi dell’art 429 Ic. c.p.c. 

Il giudice monocratico Dr.ssa Claudia Canè, Giudice della seconda sezione Lavoro, ha pronunciato e pubblicato nella causa RG. 26071/020 all’udienza del 18/1/22, mediante lettura, la seguente sentenza

TRA

XXX rappresentata e difesa anche disgiuntamente dagli avv.ti

RICORRENTE E

 

INPS in persona del Legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Gustavo Iandolo pec Avv.gustavo.iandolo@postacert.inps.gov.it, giusta procura notarile del 21/7/015 .

RESISTENTE

OGGETTO: indebito

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato il 25/9/21 la ricorrente di cui in epigrafe adiva il Tribunale di Roma, sezione lavoro, per ivi sentir dichiarare l’irripetibilità dell’indebito per euro 1822,77 , vittoria di spese da attribuire ai procuratori antistatari Deduceva che con nota del 19/12/14 l’Inps aveva comunicato alla ricorrente di aver rideterminato l’ importo della pensione a decorrere dall’ 1/1/12 sulla base della comunicazione redditi ; che, pertanto, dal gennaio 2013 al gennaio 2015 aveva ricevuto un pagamento superiore per un importo di euro 1.822,77; che il dettaglio era a pag 3, ma non si indicava alcuna spiegazione sulla quota della rata antecedente alla ricostituzione e successiva alla ricostituzione ; che in data 28/7/20 veniva nuovamente richiesto il debito ma questa volta la rideterminazione era a decorrere dall’ 1/1/12 sulla base della comunicazione redditi anno 2012; che il provvedimento non permetteva un controllo sulla correttezza della pretesa; che per le somme percepite negli anni 2013-2015 il reddito che rilevava era quello dei medesimi anni essendo la VOS un prestazione raccolta nel casellario pensioni e i redditi del 2012, di cui alla comunicazione del 28/7/20, non rilevavano; che in ogni caso il recupero doveva essere fatto al netto e non al lordo .

Si costituiva l’ Inps che controdeduceva alle osservazioni di cui al ricorso assumendone l’infondatezza.

La causa veniva discussa e decisa con pubblica lettura della sentenza .

Con lettera del 19/12/14 l’Inps scriveva alla parte ricorrente di aver rideterminato l’importo a decorrere dall’1/1/12 sulla base della comunicazione dei redditi anno 2012 ,il ricalcolo era dovuto, stante il chiaro riferimento alla comunicazione reddituale, per non avere diritto la parte ricorrente all’integrazione al minimo. Nel provvedimento veniva poi indicato l’importo come dovuto pari ad euro 425,44 e l’importo come corrisposto per euro 492,95 ; infine si indicava la somma indebita per gli anni dal gennaio 2013 al gennaio 2015 per euro 1.822,77. Si chiedeva il pagamento della predetta somma e con successiva comunicazione del 28/7/20, si comunicava che si sarebbe provveduto a trattenere, a decorrere dalla prima rata utile, l’importo indebito di euro 1822,77 relativo al periodo 1/1/13-31/1/15 in 48 rate mensili. Se questo il provvedimento dell’Inps, la Suprema Corte a sezione unite ha precisato “in tema d’indebito previdenziale, nel giudizio instaurato, in qualità d’attore, dal pensionato che miri ad ottenere l’accertamento negativo del suo obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale abbia ritenuto indebitamente percepito, l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto, è a suo esclusivo carico”(Cass sez un 4/8/010 n 18046). Una successiva pronuncia ha affermato che “ in tema di indebito previdenziale, il pensionato, ove chieda, quale attore, l’accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto alla prestazione già ricevuta, la cui esistenza consente di qualificare come adempimento quanto corrispostogli dall’Istituto convenuto, ferma, peraltro, la necessità che quest’ultimo, nel provvedimento amministrativo di recupero del credito, non si sia limitato a contestare genericamente l’indebito ma abbia precisato gli estremi del pagamento, corredati dall’indicazione, sia pure sintetica, delle ragioni che non legittimerebbero la corresponsione delle somme erogate, così da consentire al debitore di effettuare i necessari controlli sulla correttezza della pretesa, il cui accertamento ha carattere doveroso per il giudice, rispondendo a imprescindibili esigenze di garanzia del destinatario dell’atto di soppressione o riduzione del trattamento pensionistico in godimento. (In applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha rilevato che correttamente la corte territoriale aveva ritenuto incomprensibili le ragioni della pretesa restitutoria, non emergendo dalla richiesta dell’INPS indicazioni adeguate a porre in grado la pensionata di verificare se si trattasse di un trattamento attribuito “sine titulo” ovvero di una erogazione conseguente ad un calcolo errato dell’ente).” (Cass 2011/198) La massima da ultimo citata sembra contrastare l’orientamento delle stesse sezioni unite su citato che poneva un onere della prova ad esclusivo carico del pensionato, ma nella motivazione della sentenza si precisa che tanto può trovare applicazione il principio enunciato dalle sezioni unite, se “nel provvedimento di recupero emesso in via amministrativa dall’ente previdenziale siano richiamati i tratti essenziali della richiesta di restituzione, quali gli estremi del pagamento e l’indicazione, sia pure sintetica, delle ragioni che non legittimerebbero la corresponsione delle somme erogate, in modo da consentire al pensionato, presunto debitore, di effettuare il necessario controllo sulla sua correttezza”.

Pertanto in presenza di un chiaro provvedimento dell’Inps, spetta al ricorrente provare il possesso dei requisiti per ottenere la prestazione ritenuta indebita. Nel caso in esame il riferimento alla comunicazione dei rediti anno 2012 ,il riferimento all’integrazione al minimo , l’indicazione dell’importo come pagato e come spettante, rendono edotto il ricorrente sui motivi dell’indebito mettendolo in grado di controllare l’operato dell’ente ,per cui spettava a parte ricorrente provare che i redditi percepiti per gli anni di cui all’indebito erano tali da dover mantenere l’integrazione al minimo del trattamento pensionistico . Tale prova non è stata data e tale considerazione supera ogni questione relativa alle annualità dei redditi da prendere come riferimento.

Per quanto attiene poi alla dedotta irripetibilità per assenza di dolo l’art 52 L 88/89 prevede:

“1. Le pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidita’, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni nonche’ la pensione sociale, di cui all’articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153 possono essere in ogni momento rettificate dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione,erogazione o riliquidazione della prestazione.

2. Nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. Il mancato recupero delle somme predette puo’ essere addebitato al funzionario responsabile soltanto in caso di dolo o colpa grave” L’art 13 L 412/91 interpreta autenticamente l’art 52 sopra citato e dispone :

“1 . Le disposizioni di cui all’articolo 52, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88, si interpretano nel senso che la sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all’interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all’ente erogatore, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. L’omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall’ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite. 2 . L’inps procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza.”

L’applicazione del comma uno deve essere esclusa . Infatti non risulta un provvedimento definitivo viziato da errore imputabile all’Inps, essendo l’indebito maturato nel corso degli anni a causa dei redditi annuali percepiti dall’interessata.In particolare,poi, l’indebito per essere ripetibile deve essere imputabile ad un errore dell’ente oppure occorre che il percettore sia in dolo o abbia omesso la trasmissione di comunicazioni dovute rispetto a dati noti .

Ora secondo la Suprema Corte all’art 13 c 1 “si aggiunge quanto stabilito dall’art. 13, co. 2, L. 412/1991, secondo cui l’I.N.P.S. «procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza».

In proposito si è affermato il principio per cui «l’obbligo del/’I.N.P.S. di procedere annualmente alla verifica dei redditi dei pensionati, prevista dall’art. 13 della legge n. 412 del 1991 quale condizione per la ripetizione, entro l’anno successivo, dell’eventuale indebito previdenziale, sorge unicamente in presenza di dati reddituali certi, sicchè il termine annuale di recupero non decorre sino a che il titolare non abbia comunicato un dato reddituale completo» (Cass. 24 gennaio 2012, n. 953, ma v. anche Cass. 20 gennaio 2011, n. 1228 e Cass. 26 luglio 2017, n. 18551, su cui poi anche infra).Da ciò il corollario che la questione attinente alle modifiche reddituali di cui l’ente previdenziale venga autonomamente a conoscenza in ragione della propria attività istituzionale o che siano ad esso regolarmente rese note dall’interessato, non appartiene in sé all’ambito degli errori I.N.P.S. e quindi alla sfera della non ripetibilità, soggiacendo invece alla regola di ripetibilità, ma in un termine decadenziale stabilito appunto dall’art. 13, co. 2.” (Cass 3802/19). Ciò in quanto tra la percezione di un prestazione legata al reddito e la verifica sul mantenersi dei redditi al di sotto del limite legale che condiziona la stessa prestazione nell’an e nel quantum, vi è una sfasatura temporale.

Pertanto, il fatto che l’istituto sia venuto per la sua attività istituzionale o per comunicazione dell’interessato a conoscenza dei redditi percepiti, non viene in rilevo come errore INPS e non esclude la ripetibilità Quanto poi alla decadenza, come sopra indicato, il termine annuale oltre a quanto affermato sopra secondo cui il termine non decorre sino a che il titolare non abbia comunicato un dato reddituale completo, va precisato che :“per un verso, la decadenza di cui all’art. 13, co. 2, riguarda il mancato rispetto del termine finale per l’attività di recupero e non il termine stabilito per le attività di verifica annuali, rispetto al quale la previsione ha la portata di una mera norma di azione della P.A., finalizzata a scandirne l’incedere accertativo.

Per altro verso, sulla scia della citata giurisprudenza secondo cui la verifica può aversi solo allorquando l’ente sia in possesso di dati reddituali certi (Cass, 953/2012 cit. e le altre pronunce sopra richiamate), il senso della previsione è quello per cui il termine, nel suo complesso, ha decorrenza dall’anno in cui l’ente ha avuto conoscenza (o conoscibilità) dei dati da cui emerge il superamento dei limiti reddituali e quindi li ha anche potuti verificare.

D’altra parte e proseguendo nell’esegesi della norma, essa non afferma che il recupero debba intervenire “entro un anno” dalla verifica, ma “entro l’anno successivo”, ove l’aggiunta di un aggettivo (“successivo”) risulterebbe pleonastica se il senso fosse quello di fare riferimento al termine di un anno calcolato dal momento di conoscibilità dei redditi.

Pertanto l’art. 13, co. 2, si interpreta nel senso che, nell’anno civile in cui si è avuta conoscibilità dei redditi, deve procedersi alla “verifica” e che entro l’anno civile successivo a quello destinato alla verifica deve procedersi, a pena di decadenza, al recupero.”(Cass 3802/19)

Nel caso in esame, in assenza di puntuale indicazioni sulla conoscenza dell’Inps dei redditi della ricorrente , ed pur in assenza di eccezioni sul punto di parte ricorrente in ordine alla decadenza, si ritiene che avendo l’inps conosciuto dei redditi nel 2013, essendo in tale anno presentata la dichiarazione redditi anno 2012, entro l’anno civile 2014 doveva procedere al recupero ed a tale recupero la parte ricorrente è stata invitata con la lettera del 19/12/14.In ordine poi alla richiesta di restituzione al lordo e non al netto , corretta appare la deduzione di parte ricorrente . La Suprema corte ha affermato con la sentenza del 2019, n. 517, il principio secondo cui il datore di lavoro non può pretendere dal lavoratore la restituzione di somme retributive indebitamente percepite al lordo delle relative ritenute fiscali, in quanto gli importi corrispondenti a dette ritenute non sono mai entrati nella sfera patrimoniale del dipendente. Pertanto la restituzione doveva essere chiesta al netto e, come precisato dall’ Inps con la nota appositamente richiesta e depositata il 12/10/21 la restituzione è stata proprio chiesta al netto .Il ricorso deve essere respinto e si dichiara l’irripetibilità delle spese stante la presenza di dichiarazione reddituale

PQM

Definitivamente pronunciando,ogni contraria eccezione e/o istanza disattese:

rigetta il ricorso

dichiara irripetibili le sperse di lite

Roma 18/1/22 Il giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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