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Procura alle liti nulla: il giudice deve sanarla

La vittoria di un contribuente contro una cartella di pagamento viene annullata in appello a causa di una procura alle liti ritenuta generica. La Corte di Cassazione ribalta la decisione, affermando il principio secondo cui nel processo tributario il giudice ha sempre il dovere di concedere un termine per sanare i vizi della procura, anche dopo la Riforma Cartabia, prima di dichiarare inammissibile il ricorso.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Procura alle liti viziata: il giudice tributario ha l’obbligo di favorirne la sanatoria

L’ordinanza n. 12831 del 10 maggio 2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale a tutela del diritto di difesa del contribuente: un vizio nella procura alle liti non può determinare automaticamente la fine di un processo tributario. Al contrario, il giudice ha il dovere di invitare la parte a regolarizzare l’atto, garantendo così che la controversia sia decisa nel merito e non per un cavillo formale. Questa decisione assume particolare rilevanza perché conferma la validità di tale principio anche dopo l’entrata in vigore della Riforma Cartabia.

I fatti di causa

Un contribuente impugnava una cartella di pagamento relativa alle spese di un precedente giudizio e otteneva ragione davanti alla Commissione Tributaria Provinciale. L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, proponeva appello, sostenendo che la procura alle liti rilasciata dal contribuente al proprio difensore in primo grado fosse nulla perché troppo generica e non specificamente riferita a quel giudizio.

La Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello dell’Agenzia, dichiarando la nullità della procura originaria e ritenendo che la produzione di una nuova procura in appello non fosse sufficiente a sanare il vizio iniziale. Di conseguenza, il ricorso introduttivo del contribuente veniva considerato inammissibile, ribaltando l’esito del primo grado.

La questione della procura alle liti nel processo tributario

Il cuore della controversia ruota attorno all’articolo 182 del codice di procedura civile, che conferisce al giudice il potere-dovere di segnalare i vizi relativi alla costituzione delle parti e di assegnare un termine per la loro sanatoria. La corte d’appello aveva adottato un’interpretazione restrittiva, considerando il vizio della procura originaria come un difetto insanabile a posteriori.

Il contribuente, ricorrendo in Cassazione, ha contestato questa visione formalistica, sostenendo che il giudice d’appello avrebbe dovuto concedere un termine per la regolarizzazione, come peraltro richiesto implicitamente con la produzione di una nuova procura specifica nel secondo grado di giudizio.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto pienamente le ragioni del contribuente. Richiamando un orientamento consolidato, inclusa una pronuncia delle Sezioni Unite, ha affermato che l’interpretazione delle norme processuali deve essere orientata a garantire il diritto di accesso alla giustizia, sancito anche a livello europeo.

Il punto centrale della decisione risiede nell’enunciazione di un principio di diritto specifico per la materia tributaria. La Corte ha stabilito che: «il giudice tributario, ove la procura alle liti […] manchi o sia invalida, prima di dichiarare l’inammissibilità del ricorso, è tenuto anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 149 del 2022 (c.d. Riforma Cartabia) al rispetto delle speciali norme degli artt. 12, comma 5, e 18, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, […] e deve invitare la parte a regolarizzare la situazione, e, solo in caso di inottemperanza, pronunciare la relativa inammissibilità».

In sostanza, le norme speciali del processo tributario prevalgono su quelle generali e impongono al giudice un ruolo attivo nel promuovere la sanatoria dei vizi formali. La Riforma Cartabia, che pure ha esteso la sanatoria anche ai casi di inesistenza della procura, non ha modificato questa specificità del rito tributario, che già da tempo, grazie anche a una sentenza della Corte Costituzionale del 2000, prevedeva un’ampia possibilità di regolarizzazione.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione è di fondamentale importanza pratica. Essa rafforza le tutele per il contribuente, impedendo che un errore formale, peraltro facilmente sanabile, possa compromettere l’esito di un intero giudizio. Viene così valorizzato il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, assicurando che le liti tributarie vengano decise sulla base del diritto e dei fatti, non su tecnicismi procedurali. La sentenza cassa quindi la decisione d’appello e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale affinché proceda a un nuovo esame del merito della controversia, dopo aver considerato sanato il vizio della procura.

Una procura alle liti generica nel processo tributario è un vizio insanabile?
No, non è un vizio insanabile. La Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice tributario, prima di dichiarare l’inammissibilità del ricorso, deve sempre invitare la parte a regolarizzare la procura difettosa concedendo un termine per farlo.

Il giudice può ordinare la regolarizzazione della procura anche in grado di appello?
Sì. La Corte ha confermato che la disposizione dell’art. 182 del codice di procedura civile, che prevede la sanatoria dei vizi della procura, si applica pienamente anche nel giudizio d’appello.

Le nuove regole della Riforma Cartabia cambiano questo principio per la materia tributaria?
No. Secondo la Corte, la Riforma Cartabia non ha inciso sulle norme speciali previste per il processo tributario (D.Lgs. 546/1992), le quali impongono già al giudice di favorire la sanatoria della procura difettosa. Tale obbligo, pertanto, persiste immutato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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