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Indennità di trasferta: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando che l’indennità di trasferta percepita da un lavoratore dipendente è parzialmente esente da tassazione quando non ricorrono i presupposti per qualificarlo come ‘trasfertista’. La sentenza chiarisce i requisiti specifici, basati sulla prova dell’effettivo svolgimento delle trasferte e sulle condizioni contrattuali, distinguendo il regime fiscale applicabile e dando ragione al contribuente che aveva ricevuto un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2010.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Indennità di Trasferta: Quando è Tassabile? La Cassazione Fa Chiarezza

L’indennità di trasferta rappresenta una voce fondamentale nella busta paga di molti lavoratori, ma la sua corretta gestione fiscale è spesso fonte di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali, delineando nettamente la differenza tra ‘lavoratore in trasferta’ e ‘lavoratore trasfertista’ e le relative conseguenze fiscali. Questa decisione consolida un importante principio a tutela dei contribuenti.

I fatti del caso: un’indennità di trasferta contestata

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un lavoratore dipendente di una società di logistica. L’Ufficio contestava la non imponibilità parziale di una somma di circa 9.000 euro, percepita dal lavoratore nel 2010 a titolo di indennità di trasferta. Secondo l’Amministrazione finanziaria, tale somma avrebbe dovuto essere interamente assoggettata a tassazione IRPEF.

Il contribuente, il cui lavoro consisteva nella distribuzione di materiale stampato e richiedeva per sua natura continui spostamenti, ha impugnato l’atto impositivo. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale gli hanno dato ragione, annullando la pretesa fiscale. I giudici di merito hanno ritenuto che il lavoratore avesse fornito prova adeguata dell’effettivo svolgimento delle trasferte (attraverso note spese, buste paga e lettera d’incarico) e che il datore di lavoro avesse correttamente applicato il regime fiscale previsto per il ‘lavoratore in trasferta’ (art. 51, comma 5, del TUIR).

La decisione della Cassazione sulla corretta tassazione dell’indennità di trasferta

L’Agenzia delle Entrate ha portato la questione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che il lavoratore dovesse essere qualificato come ‘trasfertista’, con l’applicazione di un diverso e meno favorevole regime fiscale (art. 51, comma 6, del TUIR). La Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando la decisione dei giudici d’appello e condannando l’Agenzia al pagamento delle spese legali.

La Corte ha stabilito che l’Amministrazione finanziaria non aveva adeguatamente contestato le prove documentali prodotte dal contribuente e che il tentativo di rinegoziare la qualifica del lavoratore in sede di legittimità era inammissibile. La valutazione dei fatti, correttamente operata dalla Commissione Tributaria Regionale, non poteva essere messa in discussione.

Le motivazioni: la distinzione tra lavoratore in trasferta e trasfertista

Il cuore della decisione risiede nella netta distinzione tra le due figure di lavoratore. La Corte ha richiamato l’art. 7-quinquies del D.L. n. 193/2016, norma di interpretazione autentica che fissa i paletti per definire un ‘lavoratore trasfertista’. Per rientrare in questa categoria, devono sussistere contestualmente tre condizioni:

1. Mancata indicazione della sede di lavoro nel contratto o nella lettera di assunzione.
2. Svolgimento di un’attività lavorativa che richiede continua mobilità.
3. Corresponsione di un’indennità o maggiorazione in misura fissa, senza distinzione tra i casi in cui il dipendente si sia effettivamente recato in trasferta e dove.

Nel caso specifico, l’Amministrazione finanziaria non ha fornito alcuna prova che queste tre condizioni fossero presenti. Anzi, le prove documentali suggerivano il contrario. Di conseguenza, non potendo applicare la disciplina del ‘trasfertista’ (comma 6), la Corte ha confermato la correttezza dell’applicazione del regime previsto per il ‘lavoratore in trasferta’ (comma 5).

Questo regime prevede che le indennità di trasferta fuori dal territorio comunale siano esenti da imposte fino a un importo di 46,48 euro al giorno (77,47 per l’estero), riconoscendo la natura risarcitoria di tali somme.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per lavoratori e aziende

Questa ordinanza rafforza la certezza del diritto in materia di indennità di trasferta. Le aziende e i lavoratori possono trarre le seguenti conclusioni pratiche:

* La prova è fondamentale: È essenziale conservare tutta la documentazione che attesti l’effettivo svolgimento delle trasferte (note spese, lettere di incarico, fogli di viaggio).
* La qualifica contrattuale conta: La corretta definizione del rapporto di lavoro nel contratto è decisiva. La qualifica di ‘trasfertista’ deriva da precise condizioni legali e non può essere presunta.
* Onere della prova: Spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare la sussistenza dei requisiti per un regime fiscale diverso da quello applicato, non potendosi limitare a contestazioni generiche.

In definitiva, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in assenza dei requisiti specifici per il ‘trasfertista’, il lavoratore che si sposta occasionalmente per esigenze di servizio ha diritto al più favorevole regime di parziale esenzione fiscale per la sua indennità di trasferta.

Qual è la differenza fiscale cruciale tra un ‘lavoratore in trasferta’ e un ‘lavoratore trasfertista’?
Per il ‘lavoratore in trasferta’, l’indennità è parzialmente esente da tasse (fino a 46,48 euro al giorno in Italia) perché ha natura di rimborso spese per uno spostamento occasionale. Per il ‘lavoratore trasfertista’, la cui attività è strutturalmente itinerante, l’indennità è imponibile al 50%, a prescindere dal suo ammontare, perché considerata parte integrante della retribuzione.

Quali sono le tre condizioni che devono essere presenti contemporaneamente per definire un lavoratore come ‘trasfertista’?
Secondo la legge (art. 7-quinquies D.L. 193/2016), le tre condizioni sono: 1) la mancata indicazione di una sede di lavoro fissa nel contratto; 2) lo svolgimento di un’attività che richiede per sua natura una mobilità continua; 3) la percezione di un’indennità fissa, non legata all’effettivo svolgimento e luogo della trasferta.

Cosa deve dimostrare un lavoratore per difendersi da un accertamento fiscale sull’indennità di trasferta?
Il lavoratore deve dimostrare l’effettivo svolgimento delle trasferte. La sentenza conferma che produrre documentazione come note spese, buste paga che riportano l’indennità e la lettera d’incarico del datore di lavoro costituisce prova sufficiente per giustificare l’applicazione del regime fiscale di parziale esenzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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