Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18583 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18583 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11241/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SICILIA-SEZ.DIST. MESSINA n. 9349/2021 depositata il 22/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La contribuente signora NOME (di cui è vedovo ed erede il sig. COGNOME NOME, qui controricorrente in uno con i figli e coeredi) presentava alla Direzione provinciale di Messina un’istanza di sgravio parziale in autotutela, relativa all’iscrizione a ruolo delle sole sanzioni scaturente da omessi versamenti delle imposte relative agli anni dal 2001 al 2005, sanzioni pagate a seguito di notifica cartella.
Rappresentava infatti di aver corrisposto al suo commercialista la provvista necessaria al pagamento dei tributi, ma evidenziava che il predetto professionista si era intascato le somme, presentando ricevute di pagamento false e pertanto era stato denunciato all’Autorità giudiziaria, rinviato a giudizio era deceduto con conseguente estinzione del processo, prima che potessero essere accertati i fatti. In ogni caso, evidenziava che il mancato pagamento dei tributi non era dovuto a sua colpa.
Dopo aver pagato quanto intimato con la cartella esattoriale eccepiva la sussistenza dei presupposti di non punibilità di cui è l’articolo 6, terzo comma del decreto legislativo numero 472 del 1997, ritenendo così di avere diritto alla restituzione delle somme relativamente alla sanzione.
Il giudice di prossimità non apprezzava le ragioni di parte contribuente, affermando che l’istanza di autotutela non era compresa nell’elenco degli atti impugnabili avanti il giudice tributario, altro essendo il silenzio serbato su di un’istanza di rimborso, altro il provvedimento espresso o tacito di diniego di (sgravio e rimborso in) autotutela.
Proponeva appello il contribuente COGNOME NOME, erede della sig. NOME, mentre l’Amministrazione si costituiva riproponendo in via pregiudiziale l’inammissibilità dell’atto introduttivo del ricorso perché non appartenente all’elenco dei provvedimenti impugnabili.
Il collegio di secondo grado accoglieva la domanda della parte privata, argomentando non potersi ritenere addebitabile il mancato pagamento delle imposte a chi aveva ritualmente fornito la provvista, tramite assegno, al commercialista che invece si era rivelato disonesto, fornendo ricevute false all’ignaro contribuente.
Avverso questa sentenza ricorre il patrono erariale affidandosi a tre motivi cassatori cui replica la parte privata spiegando contro ricorso e, in prossimità dell’adunanza, depositando memoria illustrativa a sostegno delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
Vengono proposti tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile, lamentando nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 112 dello stesso codice di rito e dell’articolo 36, secondo comma, numero 4 del decreto legislativo numero 546 del 1992. Nella sostanza, si prospetta omissione di pronuncia sull’inammissibilità del ricorso introduttivo per impossibilità di impugnare un diniego tacito su istanza di autotutela.
Con il secondo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione o falsa applicazione degli articoli 19 e 21 del decreto legislativo numero 546 del 1992 e, conseguentemente degli articoli 2 quater del d.l. n. 564/1994, nonché 21 novies l. n. 241/1990. Nella sostanza si lamenta non sia stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso introduttivo poiché era dedotto in controversia un provvedimento non suscettibile di impugnazione, quale deve intendersi la richiesta
espressa o implicita di autotutela tributaria. In altri termini, si rileva che l’autotutela può essere disposta non nell’interesse della parte contribuente, ma dove sia chiaramente dimostrato un interesse pubblico al ritiro o annullamento del provvedimento amministrativo.
Con il terzo motivo si profila ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile per falsa applicazione dell’articolo 1 della legge numero 423 del 1995 come modificato dal decreto legislativo numero 159 del 2015. Nella sostanza, si rileva che il contribuente non abbia proceduto alla richiesta di sospensione delle sanzioni in attesa della definizione del giudizio sulla responsabilità del fatto del terzo, in violazione quindi della procedura richiesta in tali circostanze, donde non può chiedere la restituzione delle somme la cui richiesta di sospensione di pagamento non ha correttamente formulato.
In via preliminare di rito va esaminata l’eccezione di giudicato sollevata in controricorso e ribadita da parte contribuente nella memoria depositata in prossimità dell’odierna adunanza, laddove argomenta che delle tre analoghe sentenze della CTR che hanno trattato la stessa controversia fra le medesime parti e per lo stesso titolo, ancorché su cartelle diverse, una non sia stata impugnata e sia quindi divenuta definitiva, accertando quindi implicitamente la l’impugnabilità del diniego tacito di sgravio e rimborso in autotutela dopo il pagamento spontaneo ed il buon diritto del contribuente di vedersi sanzionato per il comportamento fraudolento del proprio commercialista da cui ha preso le distanze prontamente.
L’eccezione non può essere accolta. Ove anche la mancata pronuncia della CTR sull’esperibilità di ricorso avverso l’istanza di sgravio in autotutela debba considerarsi rigetto implicito della relativa eccezione erariale, non di meno gli effetti riflessi del giudicato su altre controversie (c.d. giudicato esterno) si esplicano solo in base ad esplicite statuizioni e non mai su profili impliciti od assorbiti, richiedendosi -per la certezza e la stabilità dei rapporti,
oltre che per il rispetto del contraddittorio- che gli effetti riflessi siano circoscrivibili in maniera univoca e definita. Ed infatti, è ormai principio acquisito che i l giudicato esterno opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione, presupponendo che soggetti, petitum e causa petendi siano comuni alla causa anteriore e a quella successivamente intrapresa. Per converso, la mera identità delle questioni giuridiche o di fatti da esaminare non crea alcun vincolo a carico del giudice investito del secondo giudizio -non applicandosi la regola dello “stare decisis” -, ma è al più suscettibile di venire in considerazione ai fini della condivisione delle argomentazioni svolte nella precedente sentenza, nella misura in cui le stesse appaiano pertinenti anche alla fattispecie oggetto del nuovo giudizio e risultino dotate di efficacia persuasiva tale da giustificare l’adesione ad esse (cfr. Cass. I., n. 211/2024; cfr altresì Cass. T, n. 5822/2024).
L’eccezione non può essere accolta ed il ricorso può essere esaminato.
In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., vanno esaminati ed accolti il secondo e terzo motivo del ricorso, strettamente legati, la cui fondatezza assorbe ogni altra questione dibattuta fra le parti. La causa, infatti, può essere decisa sulla base della questione di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, secondo l’indirizzo espresso da questa Corte: “a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità di giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.” (Cass. V, n. 363/2019; Cass. n. 11458/2018; Cass. n. 12002/; Cass. S.U. n. 9936/2014).
Il secondo e terzo motivo sono fondati, laddove l’impugnazione del diniego di autotutela, in deroga all’elencazione di cui all’art. 19 d.lgs. n. 546/1992, sconta requisiti assai specifici, da eseguirsi in via pregiudiziale di rito dal giudice investito della controversia.
Ed infatti, già da tempo è stato affermato che in tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo.(Nella specie, in applicazione del principio, la RAGIONE_SOCIALE ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto inammissibile l’impugnazione, da parte del contribuente, del diniego di annullamento di alcuni atti impositivi in sede di autotutela in virtù del passaggio in giudicato di una sentenza che aveva operato una ricostruzione incompatibile con quella compiuta in detti atti ormai inoppugnabili, poiché i vizi prospettati erano quelli originari, che il contribuente avrebbe potuto far valere impugnando i relativi atti; cfr. Cass. V, n. 7616/2018). Più recentemente si è affinato il tema, precisando che il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo o un provvedimento sanzionatorio, già divenuti definitivi, non può limitarsi alla deduzione, ormai preclusa, di eventuali vizi dell’atto, ma è tenuto a prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dello stesso; ne consegue che, contro il diniego opposto dall’Amministrazione all’esercizio del potere di autotutela, può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del
rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (Cass. T., n. 161/2024).
Nel caso in esame, non è controverso in atti che il contribuente non abbia proceduto con la rituale richiesta di sospensione dell’esecuzione delle sanzioni, prevista per circostanze riferibili al fatto doloso del terzo, rappresentando invece un interesse proprio e non di carattere generale- alla riforma dell’atto impugnato. Donde ha errato il collegio di secondo grado, il ricorso è fondato e merita accoglimento e, non risultando ulteriori accertamenti in fatto, il giudizio può essere definitivo con il rigetto del ricorso introduttivo di parte contribuente. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della parte contribuente.
Compensa integralmente fra le parti le spese dei gradi di merito e condanna la parte contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.duemilatrecento/00, oltre a spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 17/04/2024.