Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20763 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20763 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 32166/2019 R.G. proposto da
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’ avvocato NOME COGNOME, elettivamente domiciliato presso la cancelleria della Corte di cassazione, come da procura speciale allegata al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 1792/04/2019, depositata il 22.03.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Oggetto:
Tributi
La CTR del Lazio rigettava l’appello proposto da COGNOME NOME contro la sentenza della CTP di Roma che aveva rigettato il ricorso proposto dal predetto contribuente avverso l’avviso di accertamento, per imposte dirette e IVA, in relazione a ll’anno 200 9, emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e notificato anche al COGNOME, in qualità di amministratore di fatto di detta società;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
il ruolo del COGNOME quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE si desumeva dalla documentazione depositata in giudizio, dal fatto che lo stesso aveva partecipato a tutte le operazioni di verifica, firmando il relativo verbale quale amministratore di fatto, e dalla presentazione, a suo nome, dell’istanza di accertamento con adesione;
-il contribuente aveva introdotto la questione dell’interposizione fittizia solo in appello;
infondata era anche la censura sulla carenza di motivazione dell’avviso impugnato, posto che in esso erano state richiamate le risultanze del PVC che era stato anche consegnato al COGNOME all’esito RAGIONE_SOCIALE operazioni di verifica, sicché quest’ultimo ne era a conoscenza e non aveva fornito elementi utili a smentire quanto accertato;
era inammissibile, in quanto proposto per la prima volta in appello, il motivo sui poteri di firma del direttore provinciale ad interim dell’RAGIONE_SOCIALE;
il contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati con memoria;
l ‘RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso , illustrato con memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, il contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 3 6 del d.lgs. n. 546 del 1992, per motivazione apparente, non avendo la CTR spiegato perché il contribuente avrebbe dovuto rispondere della pretesa tributaria riferibile alla società, anche laddove fosse stato individuato quale amministratore di fatto della stessa;
– il motivo è infondato;
è stato più volte affermato che ‘la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ‘ (Cass., Sez. U. 3.11.2016, n. 22232);
la motivazione della sentenza impugnata non rientra affatto nei paradigmi invalidanti indicati nel citato, consolidato e condivisibile, arresto giurisprudenziale, in quanto espone in modo sintetico, ma comprensibile le ragioni per le quali il COGNOME è stato ritenuto amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE ed evidenzia la tardività della censura riguardante la questione su ll’interposizione fittizia, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto, per detta parte, il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053).
con il secondo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione de ll’ art. 7, comma 1, del d.l. n. 269 del 2003, conv. con modif. nella l. n. 326 del 2003, per non avere la CTR rilevato che l’Ufficio non aveva fornito elementi idonei a dimostrare che il contribuente fosse il reale
possessore del reddito della società e che questa fosse stata costituita artificiosamente, nell’esclusivo interesse del ricorrente ;
il motivo è inammissibile, in quanto la questione dell’applicabilità dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 è nuova;
ed invero, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712) e, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel ‘ thema decidendum’ del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass., 13 giugno 2018, n. 15430);
– con il terzo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, per non avere la CTR motivato ‘ sul perché abbia ritenuto raggiunta la prova in ordine ad esempio alla inesistenza oggettiva di operazioni richiamate (e non riportate nel loro integrale contenuto) nel PVC e non abbia dunque motivato in ordine alla eccezione del ricorrente circa il fatto che la Amministrazione aveva mancato di fornire la prova che esse fossero state emesse per operazioni inesistenti e che quindi i relativi costi
fossero stati indebitamente detratti dal reddito’ ; sostiene che i giudici di appello hanno confuso l’adeguatezza della motivazione dell’atto impugnato con la prova dei fatti posti a fondamento dello stesso, non potendo una adeguata motivazione dell’atto impositivo implicare anche la prova dei fatti sui quali lo stesso si fonda;
il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non avendo il ricorrente riportato le parti dell’atto impositivo e degli atti difensivi , necessarie per comprendere la doglianza;
il motivo è anche inammissibile perché mira ad ottenere, sotto l’apparente censura della mancanza di motivazione, una nuova valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali, contrapponendo all’apprezzamento operato dal giudice di merito quello ritenuto più corretto dalla parte e sviluppando argomenti di mero fatto che non possono essere scrutinati in sede di legittimità;
con il quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., avendo la CTR dichiarato l’inammissibilità del motivo di appello riguardante la violazione degli artt. 2697 cod. civ., 7 della l. n. 212 del 2000 e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, con il quale era stata eccepita la mancanza dei poteri del direttore provinciale ad interim , che aveva sottoscritto l’avviso di accertamento impugnato, in quanto funzionario privo della qualifica dirigenziale, sebbene si trattasse di una mera difesa o comunque di un’eccezione rilevabile d’ufficio;
il motivo è infondato;
come ha già precisato la CTR, la censura solleva una questione nuova, non proposta con il ricorso introduttivo; si tratta di questione riguardante un’eccezione in senso stretto , non rilevabile d’ufficio secondo la costante giurisprudenza di questa Corte ( ex multis , Cass. n. 18448 del 18/09/2015 e n. 9602 del 13/04/2017);
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna COGNOME NOME al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 10.700,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 30 aprile 2024