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Accertamento integrativo: quando è legittimo? La Cass.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società e dei suoi soci contro un accertamento integrativo emesso dall’Agenzia delle Entrate. L’ordinanza chiarisce che un secondo avviso di accertamento è legittimo se basato su fonti diverse dalle prime, come le indagini bancarie, anche in assenza di elementi “sopravvenuti”. La Corte ha sottolineato che spetta al contribuente dimostrare la natura, parziale o integrale, del primo accertamento per contestare il secondo e ha ribadito la legittimità delle indagini sui conti dei soci in società a ristretta base partecipativa.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Integrativo: Quando è Legittimo un Secondo Controllo Fiscale?

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 20761 del 2024 offre importanti chiarimenti sulla legittimità di un accertamento integrativo, ovvero un secondo avviso di accertamento fiscale per lo stesso periodo d’imposta. La pronuncia analizza i presupposti che consentono all’Agenzia delle Entrate di emettere un nuovo atto impositivo, basato in questo caso sulle risultanze di indagini bancarie, e definisce i confini del principio di unicità dell’accertamento. La Corte si sofferma anche sulla validità delle verifiche sui conti correnti dei soci di società a ristretta base partecipativa e sui limiti del principio di non contestazione.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata riceveva dall’Agenzia delle Entrate due avvisi di accertamento per IVA, IRES e IRAP relativi agli anni 2004 e 2005, basati su un primo processo verbale di constatazione (p.v.c.) della Guardia di Finanza.

Successivamente, a seguito di indagini sui conti correnti bancari della società e dei suoi soci, veniva redatto un secondo p.v.c. Sulla base di queste nuove risultanze, l’Amministrazione finanziaria notificava alla società tre ulteriori avvisi di accertamento, definiti come integrativi dei precedenti, per gli anni 2004, 2005 e 2006. Essendo una società a “ristretta base partecipativa”, venivano emessi avvisi di accertamento anche nei confronti dei singoli soci.

La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) accoglieva parzialmente i ricorsi dei contribuenti, annullando gli atti per il 2004 e 2005. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale (CTR), in sede di appello, riformava la decisione e dava piena ragione all’Agenzia delle Entrate, ritenendo legittimi tutti gli atti impositivi.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La società e i soci proponevano ricorso per Cassazione, basandolo su due principali motivi:

1. Violazione del principio di non contestazione e dei presupposti dell’accertamento integrativo: I ricorrenti sostenevano che l’Agenzia non avesse contestato in primo grado la documentazione prodotta per giustificare le movimentazioni bancarie, sollevando obiezioni solo in appello. Contestavano inoltre la legittimità dell’accertamento integrativo, affermando che l’Ufficio fosse già a conoscenza di tutti gli elementi fin dal primo controllo, mancando quindi il requisito della “sopravvenuta conoscenza” richiesto dalla legge.
2. Violazioni procedurali: Veniva dedotta l’illegittimità degli avvisi per presunti vizi di notifica degli atti originari, per la mancata instaurazione di un corretto contraddittorio preventivo e per l’erronea estensione delle indagini bancarie ai conti correnti personali dei soci.

Le Motivazioni della Suprema Corte sull’Accertamento Integrativo

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo una disamina dettagliata di ogni censura.

Sull’Accertamento Integrativo e Parziale

Il punto cruciale della decisione riguarda la distinzione tra accertamento integrativo (art. 43, comma 3, d.P.R. 600/1973) e accertamento parziale (art. 41-bis, d.P.R. 600/1973). La Corte ha chiarito che, sebbene la regola generale sia l’unicità dell’azione accertatrice, la legge prevede delle deroghe.

Un accertamento successivo è legittimo se fondato su fonti diverse da quelle del primo. In particolare, se il primo accertamento era di tipo “parziale”, un secondo atto basato su fonti differenti (come in questo caso le indagini bancarie) è sempre consentito, senza che sia necessaria la “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”.

Nel caso di specie, i ricorrenti hanno omesso di specificare e provare se il primo accertamento fosse parziale o integrale. Questa omissione ha reso il motivo di ricorso inammissibile, in quanto ha impedito alla Corte di verificare se i presupposti per l’emissione del secondo atto fossero rispettati.

Sul Principio di Non Contestazione e il Contraddittorio

La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’onere di contestazione riguarda le allegazioni sui fatti storici, non i documenti prodotti o la loro valenza probatoria. La valutazione delle prove documentali spetta esclusivamente al giudice. Pertanto, la presunta mancata contestazione da parte dell’Agenzia in primo grado era irrilevante.

Per quanto riguarda il contraddittorio, la Corte ha ritenuto la censura generica. Dai documenti emergeva che un contraddittorio c’era stato prima dell’emissione degli atti, mentre la lamentela dei ricorrenti sembrava riferirsi alla fase successiva dell’accertamento con adesione, che è facoltativa e non obbligatoria per l’Ufficio.

Sulle Indagini Bancarie ai Soci

Infine, è stata confermata la legittimità dell’estensione delle indagini bancarie ai conti dei soci. Secondo la giurisprudenza, in una società a ristretta base partecipativa, si presume che le operazioni sui conti personali dei soci siano effettuate nell’interesse della società stessa. Questa presunzione giustifica l’estensione dei controlli, salvo prova contraria da parte del contribuente.

Conclusioni

L’ordinanza n. 20761/2024 consolida importanti principi in materia di accertamenti fiscali. In primo luogo, rafforza la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di effettuare accertamenti successivi basati su fonti di prova diverse, come le indagini bancarie, ponendo a carico del contribuente l’onere di dimostrare la natura dell’atto originario per poterne contestare l’integrazione. In secondo luogo, circoscrive l’applicazione del principio di non contestazione ai soli fatti, lasciando al giudice piena autonomia nella valutazione delle prove documentali. Infine, ribadisce la solidità della presunzione che lega le finanze personali dei soci a quelle della società in contesti a base partecipativa ristretta, legittimando controlli incrociati sui conti correnti.

Quando l’Agenzia delle Entrate può emettere un secondo avviso di accertamento (accertamento integrativo) per lo stesso anno d’imposta?
L’Agenzia può emettere un secondo accertamento quando questo si fonda su fonti diverse da quelle usate per il primo (ad esempio, indagini bancarie successive a un primo controllo documentale) o sulla base di elementi di cui sia venuta a conoscenza successivamente. Se il primo accertamento era “parziale”, il secondo è sempre possibile se basato su fonti diverse, senza necessità di provare la “sopravvenuta conoscenza”.

Il principio di non contestazione si applica anche ai documenti prodotti dal contribuente?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il principio di non contestazione riguarda le allegazioni sui fatti storici, non i documenti prodotti né la loro valenza probatoria. La valutazione delle prove documentali è riservata esclusivamente al giudice, indipendentemente dal fatto che la controparte le abbia specificamente contestate.

In una società a ristretta base partecipativa, le indagini bancarie possono essere estese ai conti correnti personali dei soci?
Sì. Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, in presenza di una compagine sociale ristretta, si presume che le operazioni bancarie effettuate sui conti personali dei soci siano state compiute nell’interesse della società. Questa presunzione giustifica l’estensione delle indagini fiscali a tali conti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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