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Accertamento bancario: presunzioni sui conti correnti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11350/2024, ha rigettato il ricorso di un contribuente contro un accertamento bancario basato su movimentazioni di conti correnti personali e societari. La Corte ha ribadito che la presunzione legale di maggior reddito si applica anche ai conti di terzi se l’Agenzia delle Entrate prova che il contribuente ne aveva l’effettiva disponibilità. L’onere di fornire la prova contraria, dimostrando la natura non imponibile delle somme, spetta interamente al contribuente.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Bancario: La Cassazione e la Prova sui Conti di Terzi

Un accertamento bancario può estendersi anche ai conti correnti di società riconducibili al contribuente? E chi deve provare la natura di tali movimentazioni? La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 11350 del 29 aprile 2024, offre chiarimenti cruciali su questi temi, ribadendo la forza della presunzione legale a favore del Fisco e il gravoso onere della prova che ricade sul contribuente.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un contribuente, esercente un’attività di commercio di preziosi, che ha ricevuto un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2008. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di indagini finanziarie, aveva recuperato a tassazione maggiori redditi d’impresa (ai fini IRPEF, IVA e IRAP) basandosi su numerose movimentazioni bancarie. La particolarità della vicenda risiedeva nel fatto che l’accertamento non si limitava ai conti personali del contribuente, ma includeva anche quelli intestati a due società di capitali di cui egli era socio e amministratore unico.

Nei primi gradi di giudizio, la Commissione Tributaria Provinciale aveva parzialmente accolto il ricorso, escludendo la riconducibilità dei conti societari all’attività individuale del contribuente per carenza di motivazione. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale, riformando la decisione, aveva ritenuto legittimo l’accertamento anche per i movimenti sui conti delle società, escludendo solo la pretesa ai fini IRAP per intervenuta decadenza. Il contribuente ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Presunzione nell’Accertamento Bancario sui Conti Societari

Il cuore della controversia ruota attorno all’applicazione dell’articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973. Questa norma stabilisce una presunzione legale secondo cui sia i versamenti che i prelevamenti non giustificati su un conto corrente costituiscono reddito imponibile. La Corte Suprema ha chiarito alcuni punti fondamentali:

1. Estensione a Conti di Terzi: La presunzione non si applica solo ai conti formalmente intestati al contribuente. L’Amministrazione Finanziaria può estenderla anche a conti di terzi (persone fisiche o società) a condizione di fornire la prova, anche tramite presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti), che il contribuente avesse l’effettiva disponibilità di tali conti.
2. Onere della Prova del Fisco: Spetta all’Ufficio dimostrare il legame tra il contribuente e il conto del terzo. Nel caso di specie, l’Agenzia ha evidenziato che il contribuente era socio e amministratore unico delle società, che una di esse non era operativa nonostante le numerose movimentazioni e l’altra dichiarava ricavi pari a zero. Questi elementi sono stati ritenuti sufficienti per provare la riconducibilità dei conti all’attività individuale del soggetto accertato.

L’Onere Invertito a Carico del Contribuente

Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha assolto al proprio onere probatorio, la palla passa al contribuente. Quest’ultimo ha l’onere di superare la presunzione legale fornendo una prova analitica e specifica. Non è sufficiente una giustificazione generica. Il contribuente deve dimostrare, per ogni singola operazione contestata, che le somme:

* Sono già state considerate nella determinazione del reddito dichiarato; oppure
* Sono fiscalmente irrilevanti e non si riferiscono a operazioni imponibili.

La Corte sottolinea che l’assoluzione in un processo penale per reati tributari non vincola automaticamente il giudice tributario. Sebbene possa essere considerata come fonte di prova, la sua rilevanza deve essere valutata autonomamente nel contesto del giudizio fiscale.

Le motivazioni della Corte

La Cassazione ha ritenuto infondati i motivi di ricorso del contribuente, confermando la decisione della Commissione Tributaria Regionale. I giudici di legittimità hanno affermato che la C.T.R. ha correttamente valutato gli elementi forniti dall’Agenzia delle Entrate come idonei a dimostrare la disponibilità di fatto dei conti societari da parte del contribuente. Di fronte a tali elementi, il contribuente non ha fornito alcuna prova contraria specifica per giustificare le movimentazioni bancarie contestate.

La Corte ha ribadito che la giurisprudenza costante considera i dati bancari come prove presuntive di maggiori ricavi, senza che sia necessaria una previa dimostrazione da parte del Fisco che il contribuente rivesta la qualifica di imprenditore. Anzi, le stesse indagini possono servire a dimostrare l’esistenza di un’attività occulta. Il ricorrente, secondo la Corte, ha tentato di ottenere una inammissibile rivalutazione dei fatti di merito, trasformando il giudizio di legittimità in un terzo grado di giudizio.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida un principio fondamentale in materia di accertamento bancario: la presunzione legale di cui all’art. 32 del D.P.R. 600/1973 è uno strumento molto potente a disposizione del Fisco. Per i contribuenti, e in particolare per amministratori e soci che operano attraverso schermi societari, emerge con chiarezza la necessità di mantenere una documentazione contabile e giustificativa rigorosa per ogni movimentazione finanziaria. In assenza di una prova analitica e convincente che dimostri l’estraneità delle operazioni alla produzione di reddito, il rischio di vedersi attribuire maggiori ricavi sulla base delle sole risultanze bancarie è estremamente elevato.

I movimenti su un conto corrente intestato a una società possono essere imputati come reddito a un socio o amministratore?
Sì, è possibile. L’Amministrazione Finanziaria può attribuire le movimentazioni sul conto di una società al socio o amministratore se fornisce la prova (anche presuntiva) che quest’ultimo avesse l’effettiva disponibilità e controllo del conto, e che le operazioni fossero riconducibili a una sua attività in proprio.

Cosa deve fare un contribuente per superare la presunzione di reddito derivante da un accertamento bancario?
Il contribuente deve fornire una prova analitica e specifica per ogni operazione contestata. Deve dimostrare che le somme sono già state incluse nel reddito dichiarato oppure che derivano da operazioni non rilevanti fiscalmente. Una giustificazione generica non è sufficiente.

Una sentenza di assoluzione in un processo penale per reati tributari ha valore nel processo tributario?
No, non ha un’efficacia vincolante automatica. Una sentenza penale di assoluzione, anche con formula piena come ‘perché il fatto non sussiste’, può essere considerata dal giudice tributario come una possibile fonte di prova, ma quest’ultimo deve valutarne autonomamente la rilevanza nel contesto specifico del giudizio fiscale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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