Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11350 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 11350 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2024
IRPEF AVVISO ACCERTAMENTO
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4092/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMENOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME che lo rappresenta e difende unitame nte all’AVV_NOTAIO,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale AVV_NOTAIO Sta to che la rappresenta e difende,
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA, n. 6391/2018, depositata il 29/06/2018;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 aprile 2024 dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi ricorso.
sentito l’ AVV_NOTAIO per l’RAGIONE_SOCIALE.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorr e nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. ha rigettato l’ appello principale del contribuente ed accolto parzialmente l’appello incidentale dell’RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza con la quale la C.t.p. di Benevento aveva parzialmente accolto il ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale , per l’anno 2008 , era stato recuperato a tassazione un maggior reddito derivante dall’eserci zio di attività imprenditoriale ed era stato accertato un maggior valore della produzione ai fini Irap. La RAGIONE_SOCIALE, per l’effetto, dichiarava legitt imo l’accertamento con l’esclusione dell’Irap.
L’Ufficio, a seguito di indagini finanziarie per gli anni dal 2004 al 2012, disposte nell’ambito di un procedimento penale , ed attraverso l’esame della doc umentazione bancaria acquisita, rideterminava in capo al contribuente, per l’anno di imposta 2008, ai fini irpef, iva ed irap, redditi d’impresa , derivanti dall’esercizio di un’attività imprenditoriale di commercio di orologi, accertati in ragione di movimentazioni bancarie, sia su conti correnti personali che su conti correnti intestati a società riconducibili allo stesso, per le quali non era stata fornita giustificazione.
La C.t.p. di Benevento accoglieva parzialmente il ricorso. In particolare, quanto all’Irap rilevava la decadenza dal potere impositivo stante l’inapplicabilità del c.d. raddoppio dei termini. Per il resto, invece riduceva il maggior imponibile accertato dall’Ufficio, rilevando che l’atto impositivo non era adeguatamente motivato in merito alla riconduzione al contribuente anche dei conti corrente intestati a due società e, precisamente, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE
Avverso della pronuncia proponeva appello principale il contribuente e appello incidentale l’Ufficio.
La RAGIONE_SOCIALE conferma va la decadenza quanto all’Irap e, per il resto, riteneva legittimo l’atto impositivo .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il contribuente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Assume il vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui ha accolto il secondo motivo dell’appello incidentale con il quale l’Ufficio aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva escluso il recupero a tassazione in ragione RAGIONE_SOCIALE movimentazioni sui conto correnti RAGIONE_SOCIALE due società. Deduce che la RAGIONE_SOCIALE si è limitata sul punto a rimandare acriticamente a quanto sostenuto dall’Ufficio .
Con il secondo motivo il contribuente muove quattro censure così rubricate: «Statuizione giudiziale adottata in assenza della prova da parte dell’RAGIONE_SOCIALE dell’esercizio di un’attività economica da parte del contribuente e della natura imprenditoriale della stessa insufficienza del rinvio operato dalla CTR all’assunto erariale, Violazione e/o falsa applicazione degli art. 2697 e 2729 c.c. (360, n. 3 CPC)»; «Errata imputazione al contribuente quale imprenditore commerciale dei versamenti e prelievi effettuati su conti e da conti intestati allo stesso. Violazione degli art. 32, primo comma
n. 2 del DPR n. 600/1973 e 51, secondo comma, n. 2 del D.P.R. n. 633/1972 (360, n. 3 CPC)»; «Difetto di motivazione per relationem dell’avviso di accertamento. Violazione dell’art. 42, secondo comma del D.P.R. n. 600/1973 (Art.360, n. 3 CPC)»; «Rilevanza della sentenza di assoluzione nel giudizio penale da cui risulta come non dimostrata l’attività imprenditoriale asseritamente ricondotta al contribuente» .
Con l’unico articolato motivo il contribuente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto legittima l’imputazione dei movimenti su conti correnti personali e societari e per aver implicitamente condiviso la tesi erariale che il medesimo esercitasse un’impresa commerciale (nella specie una gioielleria) in proprio, pur in mancanza di prova che dette movimentazioni fossero riconducibili a detta attività di impresa. Assume che la tesi non può essere condivisa in quanto con riferimento ai conti societari intestati alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE, non vi era prova che i medesimi fossero riconducibili a lui; ugualmente a dirsi quanto alle movimentazioni sui conti personali; l’accertamento rinviava al contenuto del pvc che, a propria volta, rinviava ad un procedimento penale dal quale nulla risultava sul perché fosse un imprenditore in proprio. Aggiunge, infine, che il tribunale penale di Benevento aveva reso sentenza di assoluzione per i reati tributari ascrittigli affermando che non era stata accertata quale fosse l’attività imprenditoriale non dichiarata.
Con il terzo motivo il contribuente muove tre censure così rubricate: «Statuizione giudiziale adottata in assenza di prova del possesso da parte del contribuente dei versamenti e prelievi effettuati su conti e da conti intestati a società dallo stesso amministrate di diritto e di fatto, assenza di qualsiasi preunzione semplice dotata dei caratteri della precisione, gravità e concordanza. Violazione degli art. 32, primo comma n. 2 del DPR n. 600/1973 e 51, secondo comma, n. 2 del D.P.R. n. 633/1972, degli artt. 2697 e 2 729 c.c. e dell’art. 53 della
Costituzione (360, n. 3 CPC)»; «Difetto di motivazione per relationem dell’avviso di accertamento. Violazione dell’art. 42, secondo comma del D.P.R. n. 600/1973 (Art.360, n. 3 CPC); «Rilevanza della sentenza di assoluzione nel giudizio penale da cui risulta come non dimostrata l’attività imprenditoriale svolta tramite lo schermo societario e la riconducibilità dei conti RAGIONE_SOCIALE società al contribuente».
Il ricorrente ripropone le censure di cui al secondo motivo, riferite, tuttavia, alla riconduzione a ll’attività imprenditoriale esercitata in proprio RAGIONE_SOCIALE movimentazioni eseguite sui conti societari.
Il primo motivo è infondato.
4.1. La C.t.p. aveva escluso che l’Amministrazione finanziaria avesse fornito elementi sufficienti per ritenere che le movimentazioni eseguite su conto correnti intestati a terzi soggetti -ovvero la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE -fossero relative ad un’attività imprenditoriale in proprio del RAGIONE_SOCIALE.
L’Ufficio frapponeva appello avverso detta statuizione evidenziando tutti gli elementi in ragione dei quali poteva ritenersi che i detti conti correnti, ancorché intestati a terzi, fossero riconducibili al contribuente. In sintesi, evidenziava che il COGNOME era socio ed amministratore unico RAGIONE_SOCIALE due società; che la riconducibilità dei conti intestati a queste ultime all’attività svolta in proprio dal COGNOME poteva desumersi dal fatto che la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai avviato l’att ività e non era operativa e, ciononostante, risultavano sui conti numerose movimentazioni; che anche la RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato ricavi pari a zero, così apparendo improbabile che le movimentazioni eseguite sui conti fossero riferibili alla società; che in sede di contraddittorio preventivo il contribuente non aveva fornito alcuna giustificazione in ordine alle movimentazioni contestate.
4.2. La RAGIONE_SOCIALEt.r. , dopo aver riportato testualmente lo stralcio dell’atto di appello contenente le argomentazioni dell’Ufficio in ordine alla
riconducibilità all’attività svolta in proprio dal COGNOME RAGIONE_SOCIALE movimentazioni sui conto correnti societari, ha ritenuto condivisibile la ricostruzione dell’Ufficio , affermando, di conseguenza, che la motivazione resa dalla C.t.p. , ovvero che l’Amministrazione finanziaria non aveva fornito la prova della fittizietà RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate, era errata in quanto contraria alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale «il recupero a tassazione RAGIONE_SOCIALE singole operazioni finanziarie è legittimo ove il contribuente non giustifica che tali operazioni sono correlate con le attività economiche di cui lo stesso trae il proprio credito».
4.3. Questa Corte, a Sezioni Unite, ha chiarito che nel processo tributario, così come in quello civile, non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte, eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né RAGIONE_SOCIALE modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato. Si è precisato, infatti, che una volta assunta la decisione ed individuate le ragioni, giuridiche e di fatto, che la sostengono, deve riconoscersi al giudice la possibilità di esporle nel modo che egli reputi più idoneo purché in lingua italiana, succintamente ed in maniera chiara, univoca ed esaustiva – perciò anche (se lo ritiene) attraverso le «voci» dei soggetti che hanno partecipato al processo (parti, periti). E può farlo sia richiamando i relativi atti sia direttamente riportandoli (in tutto o in parte) nella sentenza. (Cass. Sez. U. 16/01/2015, n. 642).
4.4. Nel caso di specie, la sentenza della C.t.r. risponde a detti requisiti in quanto, motivando con specifico riferimento ai conti correnti intestati alle due società, ha fatto riferimento, riproducendoli testualmente, agli elementi in fatto dedotti dall’Amministrazione a sostegno della tesi che anche detti ultimo fossero riconducibili ad un’attività in proprio; per l’effetto , così valutando tra i fatti e le prove addotte quelle che potevano ritenersi corrette e verificate, ha tratto l’autonoma conclusio ne, che costituisce il proprium dell’attività decisionale, che la RAGIONE_SOCIALE avesse errato nel ritenere inadeguata la prova offerta.
Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
5.1. Si è detto che l’avviso di accertamento oggetto di impugnazione riconduceva all’attività imprenditoriale del COGNOME, in proprio, numerose movimentazioni bancarie transitate su conti corrente personali, e su conti, ritenuti allo stesso riconducibili, intestati a terze società.
5.2. Per costante giurisprudenza di questa Corte, in virtù della presunzione stabilita dall’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, -che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici -sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente vanno considerati come elementi positivi di reddito se questo non dimostra che ne ha tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito (Tra le più recenti, Cass. 28/04/2022, n. 13236, Cass. 23/09/2021, n. 25812, Cass. 03/03/2021, n. 5788).
A propria volta, il contribuente che voglia superare la presunzione ha l’onere di fornire, non una prova generica, bensì una prova analitica ,
idonea a dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione. Tale prova può essere data in due modi: o dimostrando che ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni; oppure dimostrando che si sia trattato di movimenti non fiscalmente rilevanti, in quanto non riferiti a operazioni imponibili (Cass. 30/06/2020, n. 13112, Cass. 18/09/2013, n. 21303).
Quanto alle modalità tramite le quali assolvere all’onere probatorio, si è precisato che è onere del contribuente indicare e dimostrare la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (Cass. 30/12/2015, n. 26111).
5.3. Secondo questa Corte, inoltre, l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito quali prove presuntive di maggiori ricavi o operazioni imponibili, ai sensi dell’art.32 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 e dell’art 51 d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633, non è subordinata alla previa dimostrazione che il contribuente rivesta la qualifica di imprenditore: infatti, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta di impresa (o arte o professione), sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari non sono fiscalmente rilevanti (Cass. 23/09/2021, n. 25812, Cass. 28/02/2017, n. 5135; Cass. 13/10/2011, n. 21132, Cass. 23/04/2007, n. 9573).
In quest’ottica si è altresì precisato che la norma in esame stabilisce in maniera chiara ed incondizionata che i dati e gli elementi risultanti dai conti sono posti a base RAGIONE_SOCIALE rettifiche e degli accertamenti, sia ai fini del quantum che ai fini dell ‘an . La ricostruzione della qualifica del contribuente non costituisce necessariamente un prius rispetto alla quantificazione della materia imponibile; tanto più ove si consideri che
l’onere di provare che gli elementi acquisiti non si riferiscono ad operazioni imponibili grava sul contribuente, per espressa disposizione. Il legislatore, infatti, ha stabilito una presunzione di inerenza dei movimenti risultanti dai conti ad operazioni imponibili, che può essere superata soltanto dalla prova contraria offerta dal contribuente.
Questa conclusione non contrasta con l’art. 2697 cod. civ. in quanto l’emersione di movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del contribuente è un fatto in relazione al quale solo quest’ultimo può dimostrare che i conti stessi non siano fiscalmente rilevanti o che, comunque, non diano luogo a recuperi (Cass. 19/02/2001, n. 2435).
5.4. Infine, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972 autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari, tra i quali può assumere rilievo decisivo la mancata risposta del contribuente alla richiesta di chiarimenti rivoltagli dall’Ufficio in ordine ai medesimi conti, e senza che l’utilizzabilità dei dati dagli stessi risultanti trovi ostacolo nel divieto di doppia presunzione, attenendo quest’ultimo alla correlazione tra una presunzione semplice ed un’altra presunzione semplice, e non già al rapporto con una presunzione legale, quale è quella che ricorre nella fattispecie in esame (Cass. 16/06/2017, n. 15003, Cass. 01/02/2016, n. 1898, Cass, 21/12/2007, n. 27032). Per altro, la prova inferenziale che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna RAGIONE_SOCIALE quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, fa sì che il fatto noto attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto ignorato, il quale cessa
pertanto di essere tale divenendo noto, ciò che risolve l’equivoco logico che si cela nel divieto di doppie presunzioni (Cass. 07/12/2020, n. 27982).
Si è precisato, in proposito che la disposizione non limita l’acquisizione della documentazione ai soli conti bancari formalmente intestati al contribuente sottoposto ad accertamento, sicché si deve ritenere estesa anche ai conti correnti intestati a terzi soggetti, ma alla condizione che, pur in mancanza della formale titolarità, il conto sia nella disponibilità di fatto del contribuente sottoposto a verifica fiscale. L’onere probatorio relativo alla presenza di tali condizioni formale intestazione ovvero disponibilità di fatto del conto -compete all’Ufficio, ed al suo assolvimento consegue l’operatività della presunzione legale stabilita dall’art. 32, primo comma, n. 2, secondo cui i versamenti e i prelievi devono essere considerati proventi dell’attività svolta dall’interessato, con spostamento dell’onere probatorio sul contribuente, al quale spetta fornire la prova contraria, dimostrando che si tratti di somme comprese nella determinazione del reddito o che non abbiano rilevanza reddituale. Pertanto, in caso di conti bancari di cui sia formalmente titolare il contribuente, la presunzione che gli importi versati siano compensi è immediatamente applicabile; nel caso di conti intestati a terzi, l’Ufficio, al fine di avvalersi della presunzione legale in oggetto, deve fornire la previa prova, anche per presunzioni (purché qualificate), che il conto bancario intestato a terzi sia nell’effettiva disponibilità del contribuente, al quale pertanto sono attribuibili le movimentazioni fiscalmente rilevanti (Cass. 31/08/2022, n. 25663, Cass. 20/12/2018, n. 32974; Cass. 13/04/2012, n. 5849; Cass. 12/01/2009, n. 374).
5.5. La RAGIONE_SOCIALE si è attenuta a questi principi.
Con riferimento alle movimentazioni sui conto correnti societari, come già esposto a proposito del primo motivo di ricorso, ha esposto,
riportando l’atto di appello, gli elementi in fatto per i quali poteva ritenersi che i medesimi fossero riconducibili all’attività in proprio del contribuente ed ha rilevato che questi non aveva fornito alcuna giustificazione RAGIONE_SOCIALE movimentazioni ivi rilevate; con riferimento ai conti personali, ugualmente, ha ritenuto non plausibile quanto affermato dal contribuente in odine all’impossibilità di fornire giustificazioni sulle movimentazioni ivi eseguite a causa dell’inadempimento degli istituti di credito p resso i quali erano accesi i conti rilevando che nulla era stato prodotto in giudizio. La RAGIONE_SOCIALE, pertanto, con motivazione esauriente ha ritenuto provata la riconducibilità di tutti le movimentazioni ad una attività imprenditoriale in proprio ed ha escluso che il contribuente avesse fornito la prova contraria che le movimentazioni si riferissero ad operazioni non imponibili.
5.6. Deve aggiungersi, quanto alla rilevanza della sentenza penale, che, in primo luogo, non risulta il passaggio in giudicato; in ogni caso, la sentenza irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula «perché il fatto non sussiste», non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare (Cass. 27/06/2019, n. 17258).
5.7. Per il resto, il ricorrente mira a una rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito, a ritenere riconducibili alla sua attività in proprio tutte le movimentazioni eseguite sia su conti personali che intestati a società terze. Così facendo, tuttavia, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di
legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che vorrebbe demandarsi a questa Corte non è l’analisi e l’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme, bensì l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315).
6. Le ulteriori censure sono tutte inammissibili.
6.1. Il giudizio d’appello, per come ricostruito nella sentenza impugnata, non risulta aver avuto ad oggetto la ulteriori questioni cui si fa riferimento nel ricorso, ovvero la motivazione dell’avviso di accertamento solo per relationem al pvc che, a propria volta rinviava agli atti di un procedimento penale. La RAGIONE_SOCIALEt.rRAGIONE_SOCIALE riferisce in sentenza che con l’appello il contribuente aveva contestato con il primo motivo la mancata indicazione della metodologia di accertamento applicata e la contraddittorietà della motivazione in relazione all’esercizio in proprio dell’attività di gioielliere. Dalla stessa ricostruzione del giudizio di primo e di secondo grado proposta in ricorso non risulta che le fasi di merito abbiano avuto ad oggetto le questioni prospettate.
Va evidenziato, infatti, che si deve distinguere la questione relativa all’esistenza della motivazione dell’atto impositivo, quale requisito formale di validità dell’avviso di accertamento, ex art. 7 legge n. 212 del 2000, dalla questione, oggetto di precedente esame, attinente, invece, all’indicazione ed effettiva sussistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, che non è richiesta quale elemento costitutivo della validità dell’atto impositivo e che rimane disciplinata d alle regole processuali proprie dell’istruzione probatoria
che trovano applicazione nel giudizio introdotto dal contribuente (Cass. 05/04/2013, n. 8399).
6.2. Ciò posto, è noto che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste RAGIONE_SOCIALE parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità. Pertanto, secondo il costante insegnamento di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa: ciò che, nel caso di specie, non è accaduto. tra le più recenti (Cass. 24/01/2019, n. 2038).
Si è, altresì, aggiunto con specifico riferimento al processo tributario in Cassazione che il ricorrente, pur non essendo tenuto a produrre nuovamente i documenti, in ragione dell’indisponibilità del fascicolo di parte che resta acquisito, ai sensi dell’art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, al fascicolo d’ufficio del giudizio svoltosi dinanzi alla commissione tributaria – del quale è sufficiente la richiesta di trasmissione ex art. 369, comma 3, cod. proc. civ. – deve rispettare, a pena d’inammissibilità del ricorso, il diverso onere di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati
necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass. 15/01/2019, n. 777).
7. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.200,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2024.