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Accertamento bancario: onere della prova del Fisco

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18495/2024, ha ribadito un principio fondamentale in materia di accertamento bancario: l’onere della prova per giustificare la provenienza dei versamenti su conti correnti spetta al contribuente. Nel caso specifico, un imprenditore non è riuscito a fornire prove analitiche e specifiche per dimostrare che i fondi non costituissero reddito imponibile, portando la Corte a confermare la legittimità della ripresa a tassazione operata dall’Agenzia delle Entrate. La sentenza ha anche chiarito che gli investimenti esteri non dichiarati si presumono fruttiferi.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Bancario: la Prova dei Versamenti è a Carico del Contribuente

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale nel diritto tributario: in caso di accertamento bancario, spetta al contribuente dimostrare che i versamenti sui propri conti correnti non costituiscono reddito imponibile. Questa decisione sottolinea l’importanza di una documentazione precisa e puntuale per difendersi dalle presunzioni legali utilizzate dal Fisco.

I Fatti del Caso: Un Contribuente Sotto la Lente del Fisco

L’Agenzia delle Entrate aveva notificato a un contribuente un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2010, rideterminando il suo reddito imponibile sulla base di tre elementi:
1. Oltre 250.000 euro per versamenti non giustificati sui suoi conti correnti personali.
2. 32.000 euro per accrediti su conti esteri, ritenuti provento di finanziamenti a una società rumena.
3. Interessi su depositi esteri, soggetti a imposta sostitutiva.

Il contribuente aveva impugnato l’atto, ottenendo inizialmente ragione in primo grado. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale aveva ribaltato la decisione, confermando la legittimità dell’operato dell’Agenzia. Di qui, il ricorso in Cassazione.

Le Argomentazioni del Ricorrente

Il contribuente ha basato il suo ricorso su due motivi principali. In primo luogo, sosteneva che l’accertamento bancario fosse illegittimo in assenza di altri elementi di evasione, dato che il suo reddito dichiarato era congruo. Affermava inoltre che i versamenti derivavano dalla sua attività di socio in due società di persone e che egli si limitava a incassare i proventi per poi distribuirli agli altri soci. In secondo luogo, contestava la presunzione che i finanziamenti erogati alla sua società estera fossero fruttiferi, cioè produttori di interessi.

L’Onere della Prova nell’Accertamento Bancario

La Corte di Cassazione ha respinto il primo motivo, chiarendo la portata dell’art. 32 del d.P.R. 600/1973. Questa norma introduce una presunzione legale relativa: i versamenti su un conto corrente si presumono redditi, a meno che il contribuente non offra una prova contraria. Tale prova, però, non può essere generica.

Il contribuente ha l’onere di dimostrare, in modo analitico e specifico per ogni singola operazione contestata, che le somme non sono riferibili a operazioni imponibili. Non è sufficiente affermare che i fondi provengono dall’attività di una società o che il reddito dichiarato è “congruo”. Serve una prova documentale che colleghi in modo inequivocabile ogni versamento a una fonte non tassabile.

La Presunzione di Redditività degli Investimenti Esteri

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La legge (d.l. n. 167/1990) stabilisce una presunzione di fruttuosità per gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero e non dichiarate nel quadro RW della dichiarazione dei redditi. Spetta al contribuente dimostrare che tali attività non sono produttive di reddito. Nel caso di specie, il ricorrente non solo non aveva compilato il quadro RW, ma non aveva fornito alcuna documentazione con data certa per provare la natura infruttifera dei finanziamenti, rendendo le sue affermazioni inopponibili all’Amministrazione Finanziaria.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha sottolineato che l’accertamento bancario si fonda su dati oggettivi, ovvero le movimentazioni dei conti. Questo determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente. La prova contraria deve essere rigorosa, non generica, e può essere fornita anche tramite presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Le giustificazioni del contribuente nel caso esaminato sono state ritenute “assolutamente generiche ed indimostrate”, poiché non vi era alcun collegamento provato tra i versamenti personali e i proventi delle società di cui era socio. Per quanto riguarda i fondi all’estero, la mancata compilazione del quadro RW e l’assenza di prove documentali valide hanno reso pienamente operativa la presunzione legale di redditività, qualificando correttamente le somme come redditi di capitale.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma un orientamento consolidato e rappresenta un monito per tutti i contribuenti. La gestione dei flussi finanziari, sia personali che societari, deve essere trasparente e supportata da una documentazione ineccepibile. Di fronte a un accertamento bancario, non bastano spiegazioni verbali o giustificazioni generiche. È indispensabile fornire prove analitiche che traccino l’origine di ogni singolo versamento, dimostrandone la natura non reddituale. In caso contrario, la presunzione legale a favore del Fisco prevarrà, con la conseguente ripresa a tassazione delle somme contestate.

In caso di accertamento bancario, a chi spetta dimostrare la natura dei versamenti sul conto corrente?
L’onere della prova spetta interamente al contribuente. Egli deve dimostrare, con prove analitiche e specifiche per ogni singola operazione, che i versamenti contestati non costituiscono reddito imponibile o che derivano da redditi già tassati.

Una giustificazione generica, come l’affermazione che i fondi provengono dall’attività di una società, è sufficiente per vincere la presunzione del Fisco?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che affermazioni generiche e non supportate da prove documentali specifiche che colleghino ogni versamento alla sua fonte non sono idonee a superare la presunzione legale. La prova deve essere analitica e non basata su valutazioni per categorie o gruppi.

Cosa accade se un contribuente non dichiara investimenti o attività finanziarie detenuti all’estero nel quadro RW?
In assenza della dichiarazione nel quadro RW, la legge presume che tali attività siano produttive di reddito (fruttifere), in misura pari al tasso di riferimento vigente in Italia. Spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando che tali attività non hanno generato reddito, attraverso documentazione valida e con data certa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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