Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15083 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15083 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 13/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
NOME COGNOME, nato a Siracusa il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/12/2022 della Corte di appello di Roma
Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
letta la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare il rigetto dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 dicembre 2022 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale della stessa città, ha ridotto le pene inflitte a NOME COGNOME e NOME COGNOME; ha concesso la pena sospesa a NOME COGNOME e revocato la pena accessoria applicata a NOME COGNOME, confermando nel resto.
NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati ritenuti responsabili della detenzione, accertata il 15 ottobre 2015, di 36,6 grammi di marijuana (capo 1); NOME COGNOME anche della detenzione di altri 160 grammi lordi di marijuana, accertata come commessa fino al 31 ottobre 2015 (capo 3), e NOME COGNOME anche del delitto di istigazione alla corruzione con un’offerta – non accettata – di 1.000 euro, commesso nel corso della perquisizione del 15 ottobre 2015 (capo 2).
Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
3.1. Travisamento della prova con specifico riferimento alle dichiarazioni testimoniali del destinatario dell’offerta corruttiva; motivazione carente e illogica e/o meramente apparente in ordine alla sussistenza del reato di cui al capo 2). Secondo la Corte di appello, la frase pronunciata dall’imputato NOME COGNOME e riferita dal teste NOME COGNOME (“facciamo che sono 26.000,00, diciamo che sono 26.000,00 e tagliamo la testa al toro”) avrebbe già significato deponente per l’offerta corruttiva e sarebbe sovrapponibile a quella riferita dagli altri du ufficiali di polizia giudiziaria, ossia a quella ricordata dal teste COGNOME (secondo cui l’imputato aveva riferito “tagliamo la testa al toro, erano 26, basta che non che non me li sequestrate) e dal teste COGNOME (secondo cui l’imputato aveva detto “va bene, facciamo tipo 26 e tagliamo la testa al toro, basta che non me li sequestrate, tipo 1.000 euro…poi ha continuato ..tipo .. in caso vi tenete 1.000 euro voi). Secondo il ricorrente, la Corte di appello non avrebbe svolto un’approfondita analisi circa l’attendibilità e la credibilità degli altri due tes polizia giudiziaria rispetto al presunto destinatario reale dell’offerta e non avrebbe spiegato le ragioni per cui la frase, effettivamente riferita dal teste COGNOME, avesse significato univoco e deponesse per un’istigazione alla corruzione. Peraltro, l’affermazione dei testi NOME e COGNOME non era stata riportata nell’annotazione di servizio redatta. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2. Motivazione carente, illogica o meramente apparente e violazione di legge in relazione al capo 1) dell’imputazione, per non avere la Corte di appello dato risposta al rilievo difensivo sul vulnus probatorio circa elementi dai quali inferire con certezza la riferibilità della sostanza stupefacente ai due COGNOME, considerate la presenza di altri soggetti nell’appartamento e l’assenza di prova circa la sussistenza di contatti tra il via vai di acquirenti e i due COGNOME, che in quell’appartamento vivevano. La Corte di appello non avrebbe spiegato perché non potesse configurarsi l’ipotesi della connivenza non punibile, prospettata dalla difesa sia in sede di discussione che con il primo motivo di appello.
3.3. Motivazione carente, illogica o meramente apparente e violazione di legge in relazione al capo 3) dell’imputazione, per avere la Corte di appello
attribuito a NOME COGNOME la cantina, ove venne rinvenuta la sostanza stupefacente contestata sub capo 3), sulla scorta: a) dell’asserita ma indimostrata riferibilità ai COGNOME degli oggetti ivi contenuti, pur non avendo gli stessi alcuna valenza individualizzante, essendo utensili di uso comune, riferibili, in linea teorica, a uno qualsiasi dei residenti presso il complesso ch INDIRIZZO; b) del fatto che successivamente al 15 ottobre, data del primo intervento della polizia giudiziaria, l’attività di spaccio fosse continuata: circostanza che, tuttavia, non escluderebbe che la sostanza stupefacente, rinvenuta il 30 ottobre in una cantina, facente parte di un complesso di locali a vario titolo occupati e senza segni identificativi, potesse essere di altri soggetti, ivi residenti. Non sarebbe dato comprendere la regola inferenziale di esperienza in forza della quale la presenza nella cantina di un altoparlante, oggetto utilizzabile senz’altro, ma non necessariamente soltanto, per la professione di arrotino, dovesse riferirsi a NOME COGNOME e per tale via anche a NOME COGNOME; né sarebbero state spiegate le modalità attraverso cui fosse stato accertato che NOME, nome scritto sulla cuccia rinvenuta nella cantina, fosse effettivamente il cane di NOME COGNOME. Un salto logico vi sarebbe anche nell’affermazione della Corte di appello secondo cui la diversità di caratteristiche fra la sostanza sequestrata il 15 ottobre e quella sequestrata il 31 ottobre non potesse escludere la riconducibilità del quantitativo rinvenuto il 31 ottobre 2015 a NOME COGNOME.
3.4. Violazione dell’obbligo di motivazione, per avere la Corte d’appello omesso di specificare le ragioni a sostegno dell’aumento a titolo di continuazione e per avere applicato un trattamento sanzionatorio sperequatc tra i due imputati (quattro mesi per COGNOME e due mesi di reclusione e C 2.000 di multa per NOME COGNOME).
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati limitatamente ai reati di cui ai capi 1) e 3) mentre vanno rigettati nel resto.
Il primo motivo, concernente il reato di cui al capo 2), è infondato.
La Corte di appello ha sottolineato che tutti e tre i testi avevano reso deposizioni sostanzialmente sovrapponibili. In particolare, l’assistente di polizia NOME COGNOME aveva riferito che, nel corso della perquisizione effettuata il 15 ottobre 2015, quando egli aveva fatto riferimento a parecchio denaro che era all’interno dell’abitazione e a 27.000,00 euro rinvenuti, NOME COGNOME aveva detto: “Facciamo che sono 26.000, diciamo che sono 26.000 e tagliamo la testa al toro”.
Tale frase era stata confermata anche dagli altri testi presenti e secondo la Corte di appello «il suo senso era univoco, anche epurato dell’invito a non sequestrare la somma o dell’offerta di una piccola mancia sul totale della somma che sarebbe rimasta nella disponibilità del NOME».
Siffatta valutazione della Corte territoriale, secondo cui la frase deponeva nel senso di una offerta del ricorrente, potenzialmente idonea a indurre l’agente NOME COGNOME a compiere un atto contrario ai doveri di ufficio, non presta il fianco a censure.
Al GLYPH riguardo GLYPH deve GLYPH ricordarsi GLYPH che GLYPH questa GLYPH Corte (Sez. 5, n. 13912 del 25/02/2015, Ascone, Rv. 263270 01; Sez. 5, n. 492 del 25/01/2000, NOME, Rv. 216042 – 01) ha già avuto modo di precisare che, quando il giudizio penale richieda l’interpretazione di fatti comunicativi, le regole del linguaggio e della comunicazione costituiscono il criterio di inferenza (premessa maggiore) che, muovendo dal testo della comunicazione (premessa minore), consente di pervenire alla conclusione interpretativa, sicché le valutazioni del giudice del merito in proposito sono censurabili solo quando si fondino su criteri interpretativi inaccettabili ovvero applichino scorrettamente tali criteri. La stessa individuazione del contesto comunicativo, che contribuisce a definire il significato di un’affermazione, invero, comporta una selezione dei fatti e delle situazioni rilevanti, che è propria del giudizio di merito.
Nel caso in esame, posto che i vizi della motivazione rilevanti in questa sede sono solo quelli evidenti, di manifesta illogicità, non può certo dirsi che la Corte di appello, tenuto conto anche del contesto in cui la frase è stata pronunciata, abbia utilizzato criteri interpretativi inaccettabili o abbia applicato tali crite modo scorretto.
Ne consegue che il primo motivo dei ricorsi deve essere disatteso.
A diversa conclusione deve pervenirsi con riguardo al :secondo e al terzo motivo dei ricorsi.
Costituisce ius receptum (ex multis: Sez. 4 6779 del 18/12/2013, Rv. 259316) il principio secondo cui, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte nella sentenza di primo grado, oppure prospetta c:ritiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relatíonem; quando, invece, sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere le
deduzioni proposte con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie.
Nel caso in esame, con l’atto di appello gli imputati avevano dedotto censure specifiche in relazione alla motivazione posta a fondamento della sentenza di condanna per i reati di cui ai capi 1) e 3); censure sostanzialmente riprodotte nel ricorso per cassazione, come riassunte ai paragrafi 3.2. e 3.3.
Al cospetto di siffatti, specifici rilievi la Corte territoriale, benché onerata, omesso di dare risposta, limitandosi a fare rinvio alle argomentazioni del giudice di primo grado.
Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi 1) e 3) con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia, che effettuerà nuovo giudizio in ordine ai suddetti reati.
I ricorsi, assorbite le residue censure sul trattamento sanzionatorio, devono essere rigettati nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi 1) e 3) con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta i ricorsi nel resto.
Così deciso il 13/3/2024