Violenza Privata: Quando una Reazione Eccessiva Costa Caro in Cassazione
L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 14284 del 2024 offre un importante spunto di riflessione sul reato di violenza privata e sui limiti del giudizio di legittimità. Il caso analizzato riguarda una reazione sproporzionata a un evento banale, che ha portato a una condanna penale confermata in tutti i gradi di giudizio. Questa decisione ribadisce principi fondamentali in materia di elemento soggettivo del reato e di valutazione delle prove, chiarendo perché una condotta aggressiva e incongrua non possa beneficiare di istituti premiali come la particolare tenuità del fatto.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria trae origine da una condanna per tentata violenza privata (artt. 56 e 610 c.p.) emessa dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Palermo. L’imputata era stata ritenuta responsabile di aver reagito in modo irrazionale e aggressivo nei confronti di un uomo ultrasettantenne a seguito di una banale collisione stradale. La sua condotta, caratterizzata da toni di incomprensibile aggressione, è stata qualificata come un tentativo di costringere la vittima, con violenza o minaccia, a un determinato comportamento.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
Sentendosi ingiustamente condannata, l’imputata ha proposto ricorso per Cassazione, articolando diversi motivi di doglianza:
1. Violazione di legge sulla responsabilità penale: La difesa sosteneva un’errata affermazione della colpevolezza.
2. Insussistenza dell’elemento soggettivo: Si contestava la presenza del dolo necessario a configurare il reato.
3. Vizio di motivazione: Veniva criticata l’attendibilità della deposizione della persona offesa e la valutazione delle prove testimoniali.
4. Mancata applicazione di benefici: Si lamentava il diniego della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), delle attenuanti generiche e una pena ritenuta eccessiva.
5. Errata applicazione di un’aggravante: Si contestava l’applicazione di un’aggravante legata alle modalità dell’azione.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla violenza privata
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione si fonda su una rigorosa applicazione dei principi che regolano il giudizio di legittimità. I giudici hanno ritenuto che la maggior parte dei motivi di ricorso non fossero altro che una riproposizione di argomenti già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello, privi della necessaria specificità e finalizzati a ottenere una nuova, e non consentita, valutazione dei fatti. La Cassazione, infatti, non è un terzo grado di merito, ma un giudice della legittimità, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non ricostruire l’accaduto.
Le Motivazioni
La Corte ha smontato punto per punto le censure della ricorrente. Ha chiarito che per il reato di violenza privata è sufficiente il dolo generico, ovvero la semplice coscienza e volontà di costringere qualcuno a fare, tollerare o omettere qualcosa, senza che sia richiesto un fine particolare. La motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata logica e priva di vizi giuridici.
Inoltre, la richiesta di rivalutare la credibilità dei testimoni è stata respinta in quanto esula dai poteri della Cassazione. La valutazione delle prove è riservata in via esclusiva al giudice di merito.
Di particolare rilevanza è il ragionamento sul mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto e delle attenuanti. La Corte ha sottolineato come la reazione dell’imputata sia stata “irrazionale ed incongrua” e “sproporzionata” rispetto alla banalità della causa scatenante (una lieve collisione). Questa aggressione incomprensibile verso una persona anziana ha legittimato la decisione dei giudici di merito di negare qualsiasi beneficio, ritenendo la condotta non meritevole di clemenza.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame è un monito chiaro: la reazione a un evento, anche se percepito come un torto, deve rimanere entro i confini della legalità e della proporzionalità. Una condotta aggressiva e sproporzionata non solo integra il reato di violenza privata, ma preclude anche l’accesso a istituti di favore come la non punibilità per tenuità del fatto. La decisione riafferma con forza che il giudizio di Cassazione non può essere trasformato in un’ulteriore istanza per ridiscutere i fatti, ma serve a garantire l’uniforme interpretazione della legge e il rispetto delle regole processuali.
Qual è l’elemento soggettivo richiesto per il reato di violenza privata?
Per la configurazione del reato di violenza privata è sufficiente il cosiddetto ‘dolo generico’. Ciò significa che è richiesta la coscienza e la volontà di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare o omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare o di uno scopo ulteriore.
La Corte di Cassazione può riesaminare l’attendibilità dei testimoni?
No, la Corte di Cassazione non può procedere a una nuova valutazione delle prove, come l’attendibilità di una testimonianza. Tale attività è riservata in via esclusiva ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il compito della Cassazione è verificare che la motivazione della sentenza impugnata sia logica, coerente e non in contrasto con la legge.
Perché in questo caso non è stata applicata la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La causa di non punibilità non è stata applicata perché la reazione dell’imputata è stata giudicata irrazionale, incongrua e sproporzionata rispetto all’evento scatenante (una banale collisione). L’incomprensibile aggressione verso una persona ultrasettantenne è stata considerata di gravità tale da escludere la particolare tenuità del fatto, che presuppone un’offesa minima.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14284 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14284 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MARSALA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/05/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
-Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Palermo in data 10 maggio 2023 ha confermato la pronunzia di condanna del Tribunale cittadino in ordine al reato di violenza privata tentata di cui agli artt. 56 e 610 comma primo e secondo cod. pen.
-Ritenuto che il primo motivo di ricorso – con cui la ricorrente deduce la violazione di legge in punto di affermazione della penale responsabilità dell’imputata è reiterativo di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte territoriale, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso ( pag. 2 laddove si evidenzia che la deposizione della persona offesa si è rivelata coerente ed immune da censure e confermata dalle altre prove testimoniali raccolte).
-Ritenuto che il secondo motivo di ricorso con cui la ricorrente denunzia la violazione di legge in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo è versato interamente in fatto, volto ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento richiamando la giurisprudenza di questa corte secondo cui ai fini della configurazione dell’art. 610 cod. pen. è sufficiente la coscienza e la volontà di costringere taluno con violenza o minaccia a fare, tollerare o omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare; il dolo è pertanto generico.
-Ritenuto che il terzo motivo di ricorso con cui la ricorrente lamenta vizi di motivazione in punto di attendibilità della deposizione resa dalla persona offesa e di valutazione delle risultanze testimoniali è generico e tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (pag. 3) esulando, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944).
-Ritenuto che il quarto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso, qui riuniti con cui la ricorrente eccepisce la mancata applicazione, ex art 131 bis cod. pen., della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto; il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e l’eccessiva afflittività del trattamento sanzionatorio riservatole sono manifestamente infondati GLYPH non confrontandosi con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le
circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si vedano, in particolare pag. 3 e 4 della sentenza impugnata in cui la Corte spiega il diniego dell’applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. in ragione della irrazionale ed incongrua reazione alla banale collisione, espressa in toni di incomprensibile aggressione avverso un ultrasettantenne. Tale sproporzionata reazione ha di conseguenza escluso la concessione delle attenuanti o comunque la possibile graduazione più lieve della pena);
-Ritenuto che il quinto motivo di ricorso – con cui la ricorrente violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’ applicazione della circostanza aggravante ex art. 339 cod. pen. si risolve nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (pag. 3 in cui viene evidenziato che il teste ha dichiarato che la donna maneggiava un bastone);
-Rilevato, pertanto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 31/01/2024