Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30053 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30053 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a SAN DONACI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/03/2024 del TRIB. LIBERTA’ di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Lecce, in sede di riesame cautelare, ha parzialmente confermato il provvedimento del G.I.P. dello stesso Tribunale che aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME, in relazione ai reati in materia di stupefacenti a l ascritti nell’imputazione provvisoria.
Ricorre per cassazione l’indagato, a mezzo del difensore, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen quanto segue.
Nullità dell’ordinanza impugnata per insufficienza e carenza nella motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, per difetto dei presupposti per disporre le intercettazioni telefoniche per assenza di gravi indizi di reato e per durata superiore a 15 giorni. Errata applicazione della normativa di cui all’art. 13 d.lgs. n. 152/1991. L’autorizzazione alla intercettazione è stata concessa per sufficienti indizi di reato in relazione all’art. 353 cod. pen. per l durata di 40 giorni, ma nel caso non si ravvisano delitti di criminalità organizzata o reati contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblici servizi, trattandosi dell’ipotesi di partecipazione ad un tentata estorsione finalizzata alla turbativa d’asta. Il Tribunale non ha verificat la legittimità delle intercettazioni telefoniche, genericamente sostenendo che per tutti i decreti ricorrono i requisiti di cui all’art. 270 cod. proc. pen.
Deduce che la motivazione che sorregge le autorizzazioni è apparente e comunque insufficiente, riportando in maniera pedissequa e acritica la richiesta del PM. La correlazione tra l’indagine a carico di NOME COGNOME ed i fratelli NOME e NOME COGNOME è meramente congetturale, basata su ipotesi che non hanno nessun minimo riscontro obiettivo con fatti specifici. Labile è il collegamento ulteriore tra i fatti oggetto di indagine per i quali si dispone l’intercettazione a carico di NOME COGNOME (turbativa d’asta) e COGNOME NOMENOME coinvolto nell’ipotesi accusatoria solo perché fratello di NOMENOME Il decreto autorizzativo impugNOME si profila come mezzo esplorativo di ricerca di notitia criminis eventuale da addebitare a NOME COGNOME.
II) Vizio di motivazione sulle esigenze cautelari e sulla adeguatezza della custodia cautelare in carcere.
Deduce che per fatti connessi alla presente indagine il ricorrente fu tratto in arresto in data 19.10.2022 e sottoposto (prima alla custodia in carcere e poi) agli arresti domiciliari fino al 13.6.2023, quando tale misura fu sostituita con quella dell’obbligo di dimora. Nella specie, il Tribunale esclude erroneamente che
i fatti rientrino nell’alveo della norma di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 trattandosi di circa 40 episodi di spaccio, commessi nell’arco di 6 mesi, afferenti quantità imprecisata di sostanza stupefacente. La motivazione sulle esigenze cautelari non tiene conto della ridotta offensività dei fatti, dell’assenza precedenti penali specifici a carico del prevenuto, dell’interruzione dell’attivit criminosa dal 19.10.2022, della già avvenuta sottoposizione dell’indagato alla misura degli arresti domiciliari (idonea all’interruzione dell’attività illec rendendo viziata la motivazione in punto di attualità e concretezza delle ravvisate esigenze cautelari. Difetta anche la motivazione in ordine alle ragioni per le quali la misura degli arresti donniciliari sarebbe inadeguata per tutelare il pericolo di reiterazione.
III) Inefficacia della misura in relazione all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione della retrodatazione dei termini di custodia.
Deduce che il ricorrente è già stato sottoposto a misura custodiale per fatti connessi a quelli per cui si procede, con ordinanza del 21.10.2022, ma il Tribunale ha erroneamente ritenuto che nel caso non fosse ravvisabile il requisito della desumibilità dagli atti dei fatti di cui alla seconda ordinanza al momento del rinvio a giudizio per il primo procedimento (avvenuto in data 14.2.2023). In realtà, al momento della applicazione della prima ordinanza custodiale risultavano, dagli atti, tutti gli elementi per giustificare la seconda ordinanza, no potendosi ciò escludere dalla circostanza che l’informativa di PG sia stata formata e depositata il 24.7.2023.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
La difesa del ricorrente ha depositato memoria scritta con cui insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è fondato e assorbente delle residue censure.
La doglianza appare fondata, là dove pone il problema della utilizzabilità delle intercettazioni disposte sulla base di decreti autorizzativi le cui motivazioni non appaiono rispettose dei presupposti normativi ivi richiamati.
In particolare, nei decreti autorizzativi in questione, debitamente allegati dalla difesa ricorrente in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, vien evocata – sin dal primo decreto emesso in data 1.4.2022 – la previsione normativa di cui al combiNOME disposto degli artt. 13 d.l. n. 152/1991 (convertito dalla I. n. 203/1991) e 6 d.lgs. n. 216/2017. Ciò al fine di giustificare presupposto dei “sufficienti indizi” del reato oggetto di indagine, individuato in quello previsto dall’art. 353 cod. pen. (turbata libertà degli incanti), nonché per fissare la durata delle operazioni, stabilita in 40 giorni. Le ulteriori prorogh sempre alla luce del combiNOME disposto degli artt. 13 e 6 cit., sono state autorizzate per ulteriori periodi di 20 giorni, ivi compreso il provvedimento di proroga emesso in data 30.5.2022, nel quale figura, per la prima volta, l’ipotesi di reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 nei confronti dell’odierno ricorrente, quale è sottoposto a misura custodiale per tale reato proprio sulla scorta degli esiti delle autorizzate operazioni di intercettazione di cui si è detto.
Il ricorrente ha correttamente evidenziato che la richiamata disciplina di cui agli artt. 13 e 6 cit. consente di superare la normativa ordinaria in materia di intercettazioni (artt. 266 e 267 cod. proc. pen.) solo allorché si proceda ad indagini per delitti di criminalità organizzata o commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblici servizi contro la pubblica amministrazione. Per contro, nei decreti autorizzativi in disamina non è dato riscontrare alcuna specifica argomentazione in proposito, atteso che le relative motivazioni si limitano ad indicare il reato di turbata libertà degli incanti – tipico reato commesso da privati contro la pubblica amministrazione – senza neanche ipotizzare, nella vicenda concreta, il possibile coinvolgimento di pubblici ufficiali o incaricati pubblici servizi.
Ne discende che non soltanto non possono ritenersi idonei i “sufficienti indizi” di reato (in luogo degli ordinari “gravi indizi” di cui all’art. 267 cod. pen.) per autorizzare le suindicate intercettazioni, ma anche l’iniziale termine di 40 giorni e le successive proroghe di 20 giorni per procedere con le relative operazioni tecniche sono state disposte oltre i termini ordinari previsti dal codice di rito (15 giorni, prorogabili di 15 giorni, come previsto dall’art. 267 cod. pro pen.).
A questo punto, però, occorre dare conto del principio per cui, in materia di intercettazioni telefoniche o ambientali, il decreto formalmente qualificato “di proroga”, intervenuto dopo la scadenza del termine originario o già prorogato, può avere natura di autonomo provvedimento di autorizzazione all’effettuazione delle suddette operazioni, se dotato di autonomo apparato giustificativo, che dia
conto della ritenuta sussistenza delle condizioni legittimanti l’intromissione nella altrui sfera di riservatezza (Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015 – dep. 2016, Rv. 265746 – 01). Inoltre, in subiecta materia è stato anche affermato il principio per cui non compete al giudice per le indagini preliminari la fissazione della durata delle operazioni, sicché l’erroneità di tale fissazione non determina la nullità, né l’inutilizzabilità dell’attività di captazione, in quanto al limite fiss sostituisce quello predetermiNOME per legge (Sez. 6, n. 34657 del 29/09/2020, Rv. 280112 – 01; fattispecie relativa alla proroga di intercettazioni telefoniche, autorizzata, in ordine a reati contro la pubblica amministrazione, per un termine inferiore a quello di 20 giorni previsto dal combiNOME disposto artt. 6 del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 e 13, comma 2, del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 13 luglio 1991, n. 203).
Il Tribunale non si è posto il problema di verificare l’utilizzabilità del disposte autorizzazioni di intercettazione in rapporto al contenuto motivazionale dei relativi provvedimenti, al fine, appunto, di stabilire se i detti provvediment siano conformi alle disposizioni di legge che legittimano, per periodi predeterminati, l’intromissione nell’altrui sfera di riservatezza, essendosi limitato a constatare la presenza in atti di tutti i decreti autorizzativi, secondo le obiezion che in sede di riesame erano state sollevate dalla difesa dell’indagato. Tuttavia, la doglianza in ordine alla inutilizzabilità degli esiti delle operazioni captat derivante dalla mancanza o apparente motivazione dei decreti di autorizzazione e di proroga non eccepita dinanzi al Tribunale del riesame, può essere dedotta dalle parti per la prima volta nel giudizio di cassazione e rilevata d’ufficio anche dal giudice di legittimità ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 22808 del 17/07/2020, Rv. 279566 – 01; in motivazione, la Corte ha precisato che l’inosservanza dell’obbligo di motivazione dei decreti autorizzativi integra una inutilizzabilità del risultato delle intercettazioni di carattere assolu e dunque non sanabile, perché derivante dalla violazione dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione). Ciò vale, evidentemente, anche per l’eccezione di inutilizzabilità delle conversazioni intercettate per mancanza di idonea copertura autorizzativa, in quanto disposta per periodi temporali superiori rispetto a quelli previsti dalla legge.
Alla luce, pertanto, della fondatezza della censura attinente alla (quantomeno parziale) mancanza di legittima copertura temporale delle conversazioni intercettate, con conseguente inutilizzabilità delle relative intercettazioni, come tali inidonee a dare riscontro alla gravità indiziaria dei reat in materia di stupefacenti oggetto di indagine, deve essere disposto
l’annullamento con rinvio del provvedimento impugNOME, poiché il Tribunale, nella sede di merito cautelare propria, dovrà, fra le altre cose, effettuare una serie di verifiche necessarie per valutare la tenuta della misura sotto il profilo dell gravità indiziaria.
In particolare, il Tribunale dovrà:
-valutare l’adeguatezza e conformità alla legge del contenuto motivazionale dei decreti autorizzativi delle disposte intercettazioni;
-verificare i periodi temporali entro i quali possono ritenersi debitamente autorizzate le operazioni di intercettazione, alla luce dei presupposti e dei termini di durata delle operazioni (non superiori a 15 giorni) previsti dal codice di rito, anche tenuto conto dei principi dianzi richiamati in ordine alla autonoma validità autorizzativa dei provvedimenti di proroga;
-individuare quali conversazioni intercettate siano utilizzabili perché rientranti nei periodi debitamente autorizzati e quali, invece, debbano essere dichiarate inutilizzabili perché captate al di fuori di tali period traendo le relative conclusioni in termini di sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza, relativamente ai reati oggetto di imputazione provvisoria.
Va, infine, disposto che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Lecce competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, cod. proc. pen. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 29 maggio 2024
Il Consi COGNOME re estensore COGNOME
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