Ricorso Patteggiamento: Quando l’Impugnazione è Inammissibile
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie alternative al dibattimento nel processo penale italiano. Tuttavia, la scelta di questo rito speciale comporta precise conseguenze, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di contestare la decisione del giudice. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce i rigidi limiti entro cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento, confermando che non tutti i motivi di doglianza sono ammessi.
I Fatti di Causa
Il caso in esame ha origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di merito. L’imputato, condannato secondo l’accordo raggiunto con la pubblica accusa ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, ha deciso di impugnare la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione. Il motivo principale del suo ricorso si fondava sulla presunta mancata valutazione, da parte del giudice di primo grado, dei presupposti per un proscioglimento immediato secondo quanto previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento secondo la Cassazione
La Suprema Corte ha esaminato il motivo del ricorso e lo ha dichiarato inammissibile. La decisione si basa su una chiara interpretazione normativa, in particolare sull’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma elenca tassativamente i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. Il ricorso patteggiamento è consentito solo per contestare:
* L’espressione della volontà dell’imputato.
* Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
* L’erronea qualificazione giuridica del fatto.
* L’illegalità della pena applicata.
Il motivo sollevato dal ricorrente, relativo alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., non rientra in questo elenco. Pertanto, la Corte ha concluso che il ricorso non era consentito dalla legge.
Le Motivazioni della Decisione
Nelle motivazioni, la Corte di Cassazione ha ribadito che i limiti all’impugnazione delle sentenze di patteggiamento sono volti a garantire la stabilità e la definitività di un accordo processuale liberamente scelto dalle parti. Consentire un’ampia facoltà di ricorso snaturerebbe la funzione deflattiva del rito. La censura relativa alla mancata valutazione dei presupposti per il proscioglimento immediato (art. 129 c.p.p.) esula dal perimetro dei motivi ammessi, rendendo l’impugnazione manifestamente infondata. La Corte ha inoltre utilizzato la procedura semplificata prevista dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., decidendo de plano (cioè senza udienza formale) data l’evidente inammissibilità del ricorso. Come conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa dei profili di colpa ravvisati nella proposizione di un ricorso privo dei requisiti di legge.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento è una decisione ponderata che limita significativamente le successive possibilità di impugnazione. Chi accede a questo rito deve essere consapevole che potrà contestare la sentenza solo per i vizi specificamente indicati dalla legge. Tentare di introdurre motivi di ricorso diversi, come la mancata assoluzione ex art. 129 c.p.p., non solo non porterà a una riforma della sentenza, ma esporrà il ricorrente a sanzioni economiche per aver avviato un’azione giudiziaria palesemente inammissibile.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’impugnazione è consentita solo per i motivi tassativamente elencati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come ad esempio un errore nella qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si basava sulla presunta mancata valutazione delle condizioni per un proscioglimento immediato (art. 129 c.p.p.), un motivo che non rientra nell’elenco di quelli consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa nel proporre un ricorso non consentito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14823 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14823 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MOTTOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/07/2023 del TRIBUNALE di TARANTO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi di ricorso,
OSSERVA
Ritenuto che il motivo di ricorso non è consentito, in quanto censura la mancata valutazione dei presupposti di cui all’art. 129 cod. proc. pen. in relazione a sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. con riguardo alla quale valgono i limiti di cui all’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen.;
Ritenuto in conclusione che il ricorso è inammissibile, ciò che può dichiararsi de plano ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen., conseguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei sottesi profili di colpa, a quello della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende,
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
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