Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32711 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32711 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/03/2025 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di Appello di Lecce ha confermato la pronuncia del Tribunale di Taranto del 6 dicembre 2023, con la quale COGNOME NOME veniva condannato alla pena di anni uno di reclusione ed euro 400,00 di multa, in ordine al reato di cui agli artt. 624 e 625, n. 2 e 7, 99 comma 4, cod. pen.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con due motivi di ricorso: a. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena con riferimento alla mancata disapplicazione della recidiva di cui all’art. 99, comma 4, cod. pen.; b. violazione dell’art. 20 bis cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla mancata sostituzione della pena detentiva.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Quanto al primo motivo, afferente la ritenuta recidiva, lo stesso – come si evince dall’atto di appello depositato il 3 maggio 2024, in atti – non ha costitui oggetto di specifica doglianza dinanzi al giudice del gravame del merito, cui si è devoluta solo la questione dell’eccessività della pena e del diniego della sanzione sostitutiva, per cui non poteva essere proposto in questa sede, conformemente al dictum secondo cui «non può dedursi per la prima volta con il ricorso per cassazione la mancanza dei presupposti per la contestazione della recidiva, quando, in fase di appello, sia stato proposto un motivo incentrato unicamente sulla valutazione dei precedenti penali e sulla loro valenza quali indici di maggiore pericolosità, in quanto non possono essere sollevate davanti al giudice di legittimità questioni sulle quali il giudice di appello non si sia pronunciato, perché non devolute alla sua cognizione» (Sez. 2, n. 26721 del 26/04/2023, Bevilacqua, Rv. 284768 – 02).
La giurisprudenza di questa Corte Suprema è pacifica nel ritenere che non possano essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 4, n. 27110 del 15/9/2020, COGNOME, Rv. 279958, in motivazione, pag. 12; conf. Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269632; Sez. 2, n. 13826 del 17/2/2017, COGNOME, Rv. 269745; Sez. 2, n. 29707 del 8/3/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 5, n. 48416 del 6/10/2014, COGNOME, Rv. 261029; Sez. 5, n. 25814 del 23/4/2013, COGNOME NOME, Rv. 255577; Sez. 2, n. 22362 del 19/4/2013, COGNOME, Rv. 255940).
Ciò in quanto si deve evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello. (così Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316 – 01 che ha ritenuto inammissibile il dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, atteso che la relativa questione non era stata prospettata in appello, ove il ricorrente si era limitato a dolersi dell’illegittimo diniego all’imputato del beneficio della pena sospesa).
In altra pronuncia, condivisibilmente, è stato ritenuto inammissibile il motivo di impugnazione con cui venga dedotta una violazione di legge che non sia stata eccepita nemmeno con l’atto di appello, non avendo l’intervenuta trattazione della questione da parte del giudice di secondo grado efficacia sanante “ex post” (Sez. 3, n. 21920 del 16/5/2012, NOME, Rv. 252773).
E di recente è stato ulteriormente specificato – con un’affermazione che ben si attaglia I caso che ci occupa – che è inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione che deduca una questione che non ha costituito oggetto dei motivi di appello, tale dovendosi intendere anche la generica prospettazione nei motivi di gravame di una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione (Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306 – 01).
2.2. Il secondo motivo di ricorso, invece, lungi dal confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, si limita a reiterare profili di censura già adeguatamente e correttamente vagliati e disattesi dalla Corte di appello (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione), altresì censurando il trattamento sanzionatorio, benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive.
Il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
Per i giudici di appello è evidente che alcuna delle pene sostitutive invocate dalla difesa risulterebbe idonea alla rieducazione del condannato, avendo l’imputato mostrato, a più riprese, la propria insensibilità all’ordinamento penale. Dalla lettura del certificato del suo casellario giudiziale emerge, infatti, che l’imputato
ha continuato a delinquere nonostante avesse già beneficiato due volte della sospensione condizionale della pena, successivamente revocata dal Gip del Tribunale di Taranto nel 2016, perseverando nella commissione di reati anche dopo i fatti oggetto del presente procedimento e non mostrando alcun rispetto per gli obblighi dell’autorità giudiziaria, tanto che il giudice di prime cure ha disposto la revoca dell’ordinanza del processo per messa alla prova, non essendosi l’imputato mai presentato presso la sede ove avrebbe dovuto svolgere l’attività programmata per sei mesi. Ebbene, nel provvedimento sottoposto all’esame del Collegio, il giudice di secondo grado ha valutato in modo attento la negativa prognosi, parametrandola agli indicatori previsti dall’art. 133 cod. pen. e, nella specie, in particolare, a comportamento dell’imputato successivamente alla commissione del reato, quali fattori di convincimento razionale dell’ostacolo a prevedere un favorevole esito dell’applicazione di una delle pene sostitutive richieste.
Deve invero affermarsi che, anche successivamente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150 del 2022, la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in considerazione, tra l’altro, la gravità del fatto per il quale è intervenuta condanna, le sue modalità di commissione e la personalità del condannato, per come risulti anche dai precedenti penali. I “fondati motivi” che impongono la non sostituzione della pena, ai sensi dell’art. 58, comma primo, seconda parte, I. n. 689 del 1981, esprimono la necessità di soppesare adeguatamente il giudizio di bilanciamento, in chiave prognostica, tra le istanze volte a privilegiare l’adozione di forme sanzionatorie più corrispondenti e consone alla finalità rieducativa – le pene sostitutive – e l’obiettivo di assicurare effettività alla pena, risolvendosi in un obbligo di adeguata e congrua motivazione per il giudice. Infine, in tema di sanzioni sostitutive, l’accertamento della sussistenza delle condizioni che consentono di applicare una delle sanzioni sostitutive della pena detentiva breve, previste dall’art. 53, legge 24 novembre 1981, n. 689, costituisce un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se motivato in modo non manifestamente illogico, così come accaduto nel caso sottoposto al Collegio (Sez. 1, n. 35849 del 17/5/2019, NOME, Rv. 276716). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle a mende.
Così deciso in Roma il 17/09/2025