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Ricorso inammissibile: i limiti del patteggiamento

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato contro una sentenza di appello che aveva rideterminato la pena sulla base di un accordo tra le parti. La Corte ha stabilito che la mera ‘eccessività’ della pena non è un motivo valido per impugnare una sentenza basata sul ‘concordato in appello’ (art. 599 bis c.p.p.), a meno che la pena non sia palesemente illegale, ovvero al di fuori dei limiti previsti dalla legge.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando l’Accordo in Appello Diventa Definitivo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18805 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale della procedura penale: i limiti all’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di un ‘concordato in appello’. La decisione chiarisce che, una volta raggiunto un accordo sulla pena, non è più possibile lamentarne la semplice eccessività, a meno che non si configuri un’ipotesi di palese illegalità. Questa pronuncia offre spunti cruciali sull’importanza degli accordi processuali e sulle conseguenze di un ricorso inammissibile.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato condannato per un reato legato agli stupefacenti (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90). In sede di appello, la difesa e l’accusa avevano raggiunto un accordo, ai sensi dell’art. 599 bis del codice di procedura penale, per rideterminare la pena in un anno, quattro mesi e venti giorni di reclusione e 3.333,33 euro di multa. Nonostante l’accordo, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo che la pena fosse eccessiva e che la Corte d’Appello avrebbe potuto ridurla ulteriormente d’ufficio.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto categoricamente le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una netta distinzione tra la valutazione dell’eccessività di una pena e la sua illegalità. Poiché la sanzione era stata il frutto di un patteggiamento tra le parti ed era pienamente conforme ai limiti edittali previsti dalla legge, non vi era alcuno spazio per una rivalutazione nel merito da parte della Cassazione. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni: la natura vincolante del ‘concordato in appello’ e il concetto di pena illegale

Il cuore della motivazione della Corte risiede nella natura dell’istituto previsto dall’art. 599 bis c.p.p. Questo strumento processuale permette alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado, deflazionando il carico giudiziario e garantendo una certa prevedibilità della decisione. Una volta che il giudice ratifica tale accordo, la sentenza può essere impugnata in Cassazione solo per motivi molto specifici.

La Corte chiarisce che un ricorso è ammissibile solo se si lamenta una ‘pena illegale’. Tale illegalità si verifica in due situazioni principali:

1. Illegalità quantitativa o qualitativa: quando la pena applicata, per tipo (es. arresto invece di reclusione) o per durata/importo, non corrisponde a quella astrattamente prevista dalla norma incriminatrice.
2. Illegalità dovuta alla fonte normativa: quando la pena è determinata sulla base di una cornice edittale dichiarata incostituzionale o individuata in violazione del principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole.

Nel caso di specie, la pena concordata era perfettamente legale, poiché rientrava nei limiti stabiliti per il reato contestato. La doglianza del ricorrente, incentrata sulla mera ‘eccessività’, esulava quindi dai motivi per cui è possibile presentare ricorso avverso una sentenza di patteggiamento in appello. La volontà delle parti, cristallizzata nell’accordo, preclude una successiva rinegoziazione del trattamento sanzionatorio.

Le Conclusioni: le implicazioni pratiche della pronuncia

L’ordinanza in esame rafforza la stabilità e la definitività degli accordi processuali. La decisione invia un messaggio chiaro: il ‘concordato in appello’ è un patto serio e vincolante. Le parti devono ponderare attentamente la convenienza dell’accordo, poiché una volta concluso, le vie di impugnazione si restringono drasticamente. Non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione come un terzo grado di merito per tentare di ottenere uno sconto ulteriore sulla base di una valutazione soggettiva di ‘eccessività’. Questa pronuncia, inoltre, funge da monito contro i ricorsi pretestuosi, sottolineando che la declaratoria di inammissibilità comporta conseguenze economiche significative per il ricorrente, come la condanna alle spese e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende.

È possibile contestare una pena concordata in appello perché ritenuta troppo alta?
No, secondo questa ordinanza non è possibile. Se la pena è il risultato di un accordo tra le parti (ex art. 599 bis c.p.p.) e rientra nei limiti previsti dalla legge, la sua presunta ‘eccessività’ non è un motivo valido per un ricorso in Cassazione.

Cosa si intende per ‘pena illegale’?
Una pena è considerata illegale quando non corrisponde, per specie o quantità, a quella prevista dalla legge per il reato in questione, oppure quando è determinata sulla base di una norma dichiarata incostituzionale o di una legge penale più sfavorevole non applicabile al caso.

Quali sono le conseguenze se un ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La persona che ha presentato il ricorso (il ricorrente) viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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