Ricorso Inammissibile: Quando l’Accordo in Appello Diventa Definitivo
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18805 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale della procedura penale: i limiti all’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di un ‘concordato in appello’. La decisione chiarisce che, una volta raggiunto un accordo sulla pena, non è più possibile lamentarne la semplice eccessività, a meno che non si configuri un’ipotesi di palese illegalità. Questa pronuncia offre spunti cruciali sull’importanza degli accordi processuali e sulle conseguenze di un ricorso inammissibile.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato condannato per un reato legato agli stupefacenti (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90). In sede di appello, la difesa e l’accusa avevano raggiunto un accordo, ai sensi dell’art. 599 bis del codice di procedura penale, per rideterminare la pena in un anno, quattro mesi e venti giorni di reclusione e 3.333,33 euro di multa. Nonostante l’accordo, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo che la pena fosse eccessiva e che la Corte d’Appello avrebbe potuto ridurla ulteriormente d’ufficio.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto categoricamente le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una netta distinzione tra la valutazione dell’eccessività di una pena e la sua illegalità. Poiché la sanzione era stata il frutto di un patteggiamento tra le parti ed era pienamente conforme ai limiti edittali previsti dalla legge, non vi era alcuno spazio per una rivalutazione nel merito da parte della Cassazione. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: la natura vincolante del ‘concordato in appello’ e il concetto di pena illegale
Il cuore della motivazione della Corte risiede nella natura dell’istituto previsto dall’art. 599 bis c.p.p. Questo strumento processuale permette alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado, deflazionando il carico giudiziario e garantendo una certa prevedibilità della decisione. Una volta che il giudice ratifica tale accordo, la sentenza può essere impugnata in Cassazione solo per motivi molto specifici.
La Corte chiarisce che un ricorso è ammissibile solo se si lamenta una ‘pena illegale’. Tale illegalità si verifica in due situazioni principali:
1. Illegalità quantitativa o qualitativa: quando la pena applicata, per tipo (es. arresto invece di reclusione) o per durata/importo, non corrisponde a quella astrattamente prevista dalla norma incriminatrice.
2. Illegalità dovuta alla fonte normativa: quando la pena è determinata sulla base di una cornice edittale dichiarata incostituzionale o individuata in violazione del principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole.
Nel caso di specie, la pena concordata era perfettamente legale, poiché rientrava nei limiti stabiliti per il reato contestato. La doglianza del ricorrente, incentrata sulla mera ‘eccessività’, esulava quindi dai motivi per cui è possibile presentare ricorso avverso una sentenza di patteggiamento in appello. La volontà delle parti, cristallizzata nell’accordo, preclude una successiva rinegoziazione del trattamento sanzionatorio.
Le Conclusioni: le implicazioni pratiche della pronuncia
L’ordinanza in esame rafforza la stabilità e la definitività degli accordi processuali. La decisione invia un messaggio chiaro: il ‘concordato in appello’ è un patto serio e vincolante. Le parti devono ponderare attentamente la convenienza dell’accordo, poiché una volta concluso, le vie di impugnazione si restringono drasticamente. Non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione come un terzo grado di merito per tentare di ottenere uno sconto ulteriore sulla base di una valutazione soggettiva di ‘eccessività’. Questa pronuncia, inoltre, funge da monito contro i ricorsi pretestuosi, sottolineando che la declaratoria di inammissibilità comporta conseguenze economiche significative per il ricorrente, come la condanna alle spese e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende.
È possibile contestare una pena concordata in appello perché ritenuta troppo alta?
No, secondo questa ordinanza non è possibile. Se la pena è il risultato di un accordo tra le parti (ex art. 599 bis c.p.p.) e rientra nei limiti previsti dalla legge, la sua presunta ‘eccessività’ non è un motivo valido per un ricorso in Cassazione.
Cosa si intende per ‘pena illegale’?
Una pena è considerata illegale quando non corrisponde, per specie o quantità, a quella prevista dalla legge per il reato in questione, oppure quando è determinata sulla base di una norma dichiarata incostituzionale o di una legge penale più sfavorevole non applicabile al caso.
Quali sono le conseguenze se un ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La persona che ha presentato il ricorso (il ricorrente) viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18805 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18805 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/06/2023 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’unico motivo al quale è stato affidato il ricorso presenta nell’interesse di NOME NOME nei confronti della sentenza della Corte d’appello di Ba indicata in epigrafe, con la quale è stato rideterminato il trattamento sanzionator conformemente all’accordo raggiunto dalle parti ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen. con cui è stata lamentata l’eccessività del trattamento sanzionatorio, sostenendo che lo stesso avrebbe potuto essere ulteriormente ridotto d’ufficio dalla Corte d’appello, inammissibile, in quanto la pena è stata rideterminata sulla base dell’accordo delle parti entro i limiti edittali stabiliti per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R addebitato all’imputato, in un anno, quattro mesi e venti giorni di reclusione e 3.333,3 euro di multa, cosicché non è dato rilevare alcuna illegalità della pena, che è ravvisabil quando la pena, per specie ovvero per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, così collocandosi fuori dal sist sanzionatorio come delineato dal codice penale, o che, comunque, è stata determinata dal giudice attraverso un processo di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, perché dichiarata costituzionalmente illegittima o perché individuata violazione del principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole, e qui rilievi proposti esulano da quelli proponibili avverso sentenze rese ai sensi dell’art. bis cod. proc. pen.
Rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente