Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32716 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32716 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/12/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Firenze ha confermato la pronuncia del Tribunale di Pisa del 22 aprile 2022, con la quale NOME veniva condanNOME alla pena di anni due di reclusione ed euro 1.000, 00 di multa in ordine al reato di cui agli artt. 110, 624 e 625, comma 1, n. 2 cod. pen.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo: a. inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 192, comma 2, e 530, comma 2 cod. proc. pen. in ordine al giudizio di affermazione della responsabilità, per la mancanza di prova certa in ordine alla commissione dei fatti in contestazione; b. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata esclusione della circostanza aggravante del mezzo fraudolento di cui all’art. 625, comma 1, n. 2, nonché alla mancata esclusione della recidiva.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità. Gli stessi, lungi dal confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugNOME, si limitano a reiterare profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte territoriale (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione), altresì afferendo, quanto al secondo motivo, il trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive.
2.1. Il primo motivo di censura, risolvendosi in una difforme interpretazione degli elementi probatori acquisiti rispetto a quella sposata dai giudici di merito, non è consentito dalla legge in sede di legittimità, perché volto a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità e avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali invece correttamente valorizzate dai giudici di merito (si veda, in particolare, pagg.3-4 del provvedimento impugNOME).
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di un’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Sez 6, n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. I, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, a tal fine evidenziando come la prospettazione difensiva, volta a criticare l’individuazione dell’imputato quale autore del furto sul presupposto che, al momento dell’intercettazione da parte della polizia, egli non fosse in possesso della refurtiva, non assuma rilievo dirimente, ben potendo l’imputato essersene disfatto durante la fuga. E che nemmeno può dubitarsi dell’attendibilità del riconoscimento fotografico effettuato dalla persona offesa lo stesso giorno del fatto, tanto più in considerazione del fermo operato dagli agenti di polizia in un luogo prossimo alla commissione del reato, sulla base delle indicazioni fornite dai soggetti presenti in loco, emergendo dal compendio probatorio una ricostruzione univoca ed esaustiva dell’accaduto.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
2.2. Manifestamento infondato si appalesa anche il secondo motivo di ricorso, inerente l’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n.2 cod. pen, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di furto, l’aggravante del “mezzo fraudolento” è configurabile in presenza di qualunque azione insidiosa, improntata ad astuzia o scaltrezza, atta a soverchiare o sorprendere la contraria volontà del detentore della cosa, eludendo gli accorgimenti predisposti dal soggetto passivo a difesa della stessa. (Sez. 5, n. 32847 del 03/04/2019, COGNOME, Rv. 276924 – 01; Sez. 2, n. 43912 del 04/10/2019, Rv. 277713 – 01).
Ne consegue la piena conformità a tale indirizzo della decisione adottata dai giudici del gravame, i quali hanno valorizzato, a tal fine, l’azione posta in essere dal complice dell’odierno imputato, del cui ausilio quest’ultimo si è avvalso per distrarre l’attenzione della persona offesa e sottrarle, così, il denaro custodito nella borsa.
La Corte territoriale ha, infine, offerto una motivazione logica e del tutto congrua, nonché corretta in punto di diritto – e che, pertanto, si sottrae alle proposte censure di legittimità anche in termini di ritenuta recidiva, operando una concreta verifica in ordine alla sussistenza degli elementi indicativi di una maggiore capacità a delinquere. A tal fine ha valorizzato la natura aggravata e le modalità
fraudolenti di realizzazione del reato, nonché le risultanze del certificato del casellario giudiziale, dal quale emergono ben tre precedenti condanne, anche per delitti della stessa specie rispetto a quello oggetto del presente procedimento, senza che l’imputato abbia manifestato alcun segno di resipiscenza.
Ciò ha fatto nel solco dell’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il giudice ha il compito di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838), fermo restando che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva rientra nell’esercizio dei poteri discrezionali del giudice, su cui incombe solo l’onere di fornire adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo che giustifichi l’aumento di pena (Cfr. Corte Cost. sent. n. 185 del 2015 nonché, ex plurimis, sez. 2, n. 50146 del 12/11/2015, caruso ed altro, Rv. 265684).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/09/2025