Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16337 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16337 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
nato a omissis il
NOME COGNOME
omissis avverso l’ordinanza del 19/07/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME ricorre avverso l’ordinanza del 19 luglio 2023 del Tribunale di sorveglianza di Milano, che ha revocato a far data dal 27 giugno 2023 la misura alternativa della detenzione dell’affidamento in prova in casi particolari, precedentemente a lui concessa ai sensi dell’art. 94 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 con ordinanza del 20 dicembre 2022 relativamente alla pena di anni quattro di reclusione di cui alla sentenza del G.i.p. di Milano del 13 luglio 2021, definitiva il 6 luglio 2022, in ordine al reato di produzione, traffico e detenzione illecita d sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 T.U. stup.
Il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che COGNOME NOME COGNOME il 27 giugno 2023 era stato arrestato in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere del G.i.p. del Tribunale di Milano del 6 giugno 2023, che lo aveva ritenuto gravemente indiziato del reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, commesso fino ai primi mesi del 2021, e del reato di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, commesso nel 2020.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, perché il Tribunale di sorveglianza avrebbe omesso di considerare che i fatti contestati nell’ordinanza applicativa della misura cautelare erano precedenti alla concessione della misura alternativa alla detenzione in esame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Giova in diritto evidenziare che, ai sensi dell’art. art. 94, comma 6, T.U. stup., la misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova in casi particolari è revocata qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.
È la stessa conformazione normativa dell’istituto a richiedere, dunque, la costante verifica della effettività del percorso di risocializzazione, in rapporto a quale le condotte illecite o violatrici delle prescrizioni – compiute dal soggetto ammesso – possono comportare la revoca della misura, essenzialmente in rapporto alla rivalutazione della prognosi favorevole originariamente formulata.
Va, infatti, ricordato che la misura alternativa alla detenzione implica la formulazione di una prognosi favorevole in tema di prevenzione dal pericolo di
commissione di ulteriori reati e di esito positivo del percorso di risocializzazione (Sez. 1, n. 1088 del 14/02/1997, Cordelli, Rv. 207214).
In rapporto a tale costruzione normativa è del tutto evidente che anche una singola condotta – ove ne sia apprezzata la gravità – possa far emergere, con valutazione in fatto ed autonoma, non essendo necessario attendere il giudicato (Sez. 1, n. 25640 del 21/05/2013, COGNOME, Rv. 256066), la sopravvenuta carenza dei presupposti per la prosecuzione della prova.
Giova in diritto, altresì, evidenziare che la causa che giustifica la revoca della misura non deve verificarsi necessariamente in epoca successiva alla sua concessione, perché la revoca del beneficio penitenziario non è collegata al momento dell’insorgenza del comportamento che la produce, bensì alla natura negativa – ai fini della permanenza della misura premiale – del comportamento stesso, il quale può essere sconosciuto, e perciò non valutabile dal Tribunale di sorveglianza, al momento della concessione della misura, per essersi verificato prima della relativa decisione (Sez. 1, n. 774 del 06/02/1996, Sfragara, Rv. 203979).
Si tratta di un’affermazione di principio coerente alla natura e alla funzione dei benefici penitenziari in esame, che non costituiscono oggetto di un diritto soggettivo del condannato, essendo la possibilità di espiare la pena in modo diverso dalla detenzione in carcere subordinata a una valutazione discrezionale (ma pur sempre ancorata alla sussistenza dei presupposti previsti dalla legge) affidata al Tribunale di sorveglianza, il quale è investito del potere-dovere dì valutare la compatibilità della misura alternativa con la duplice finalità di contribuire alla rieducazione del reo e dì assicurare la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
Il provvedimento concessivo del beneficio è perciò naturalmente connotato da una stabilità relativa, allo stato degli atti (Sez. 1, n. 636 del 01/02/1993, dep 1994, COGNOME, non mass. sul punto), non assimilabile al giudicato ma suscettibile di revoca o modifica in presenza di elementi di novità, destinati a incidere in misura determinante sulla sussistenza delle condizioni che legittimano la misura alternativa e la sua permanenza in funzione delle finalità perseguite: elementi di novità che possono essere sia sopravvenuti che preesistenti, sempreché – in questo secondo caso – non siano conosciuti dal Tribunale di sorveglianza, che non ha potuto tenerne conto nella sua decisione.
Nel caso in esame, nel ricorso non si contesta il dato di fatto che il Tribunale di sorveglianza, nel momento in cui aveva ammesso il condannato al beneficio, non fosse a conoscenza della commissione da parte dello stesso delle condotte penalmente rilevanti, ai sensi degli artt. 73 e 74 T.U. stup., commesse in precedenza.
P)”
Il Tribunale di sorveglianza, quindi, con l’ordinanza oggi impugnata, offrendo sul punto una motivazione ineccepibile, ha evidenziato che, dall’analisi dell’ordinanza cautelare, erano emerse condotte di estrema gravità, perdurate nel tempo e denotanti estrema pericolosità, che giustificavano la revoca della misura alternativa alla detenzione sin dal giorno della notifica della stessa ordinanza cautelare.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/2003, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso il 26/01/2024