Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26511 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26511 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato a Nbniamid (Marocco) il giorno DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO – di fiducia avverso la sentenza in data 7/11/2023 della Corte di Appello di Brescia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 7 novembre 2023 la Corte di Appello di Brescia, giudicando a seguito di annullamento senza rinvio disposto dalla Sesta Sezione penale della Corte di cassazione con sentenza in data 10 novembre 2022, ha rigettato l’istanza di revisione avanzata nell’interesse di NOME.
Il RAGIONE_SOCIALE, con sentenza pronunciata dal Tribunale di Milano in data 25 marzo 2010, era stato dichiarato responsabile di una serie di violazioni della legge sugli
stupefacenti commesse tra il mese di aprile 2002 ed il 4 marzo 2003 e condannato alla pena di anni 8 di reclusione (in continuazione con altri fatti giudicati con sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2025 del 29 maggio 2007, per una pena complessiva di anni trenta di reclusione).
La difesa del condannato presentava una prima istanza di revisione che veniva dichiarata inammissibile ex art. 634, comma 1, cod. proc. pen. con ordinanza della Corte di appello di Brescia in data 6 giugno 2022.
Avverso detta ordinanza veniva presentato ricorso per cassazione che, come detto, trovava accoglimento con la citata sentenza in data 10 novembre 2022 della Sesta Sezione penale di questa Corte. In detta sentenza si rilevava che la Corte di appello di Brescia non aveva fatto un corretto uso dei principi secondo i quali esiste una distinzione logico-funzionale tra la fase c.d. rescindente – avente ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, con riferimento alla astratta capacità dennolitoria del giudicato, rilevabile ictu ()culi, da parte del novum dedotto – e quella successiva, c.d. rescissoria, che si instaura mediante la citazione del condannato e nella quale il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio proprie del dibattimento, in attuazione dei principi costituzional del giusto processo.
Nella sentenza di annullamento venivano richiamati i consolidati principi secondo i quali, nel caso in cui la richiesta si fondi sull’inconciliabilità tra giud il controllo giurisdizionale che può condurre alla declaratoria dell’inammissibilità dell’istanza per manifesta infondatezza deve avere ad oggetto la verifica dell’irrevocabilità della sentenza che si vuole abbia introdotto il fatto antagonist e la mera pertinenza di tale decisione ai fatti oggetto del giudizio di condanna, non potendo tale controllo estendersi alla “tenuta” della sentenza oggetto della domanda di revisione rispetto ai contenuti della ulteriore pronuncia, che va obbligatoriamente realizzato in contraddittorio. Il tutto con l’ulteriore precisazion che la valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta, quando abbia ad oggetto “prove nuove”, implica la necessità di una comparazione tra dette prove nuove e quelle già acquisite che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può, quindi, prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, purché, però, essi siano riscontrabili ictu ocu/i, con la conseguenza che deve ritenersi preclusa in limine una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato, invece al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio tra le parti.
La Corte di appello, giudicando ex novo (alla luce di annullamento “senza rinvio”) emetteva in data 7 novembre 2023 la sentenza che in questa sede è oggetto di esame.
Ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza il difensore del condannato, deducendo:
2.1. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonché inosservanza o erronea applicazione dell’art. 630, lett. a), cod. proc. pen. in merito al punto in cui non veniva ravvisata la inconciliabilità di giudicati (a 606, lett. B ed E, cod. proc. pen.).
Rileva la difesa del ricorrente che avrebbe errato la Corte di appello nel ritenere che, nel caso in esame, non emergerebbe una “divergente ricostruzione storica dei fatti” in merito all’identità del soggetto parlatore nella “telefon campione n. 32” tra la sentenza oggetto dell’istanza di revisione e quella di assoluzione pronunciata dalla Corte di appello di Milano e ciò in quanto il Tribunale di Milano “avrebbe operato sulla scorta di una piattaforma probatoria più ampia rispetto a quella a disposizione della Corte di appello”.
Secondo la difesa del ricorrente la deduzione contenuta nella sentenza impugnata sarebbe inconferente ed illogica riferendosi ad elementi non concernenti l’identificazione del soggetto parlatore nella telefonata “campione”, unico tema rilevante ai fini della richiesta revisione, ciò in quanto il consulente de Pubblico Ministero ed il perito del Tribunale si sono espressi con riguardo alla somiglianza delle voci di altre telefonate rispetto a quella “campione” ma nulla hanno riferito rispetto all’identità del parlatore di quest’ultima.
2.2. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché inosservanza o erronea applicazione dell’art. 630, lett. c), cod. proc. pen. in merito al punto in cui non veniva ritenuta l’idoneità della prova dedotta (art 606, lett. B ed E, cod. proc. pen.).
Osserva la difesa del ricorrente che avrebbe errato la Corte di appello nel ritenere l’inidoneità della nuova prova dedotta – audizione ex art. 391-ter cod. proc. pen. di NOME – a portare a proscioglimento del NOME.
2.3. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 634, comma 2, cod. proc. pen. (art. 606, comma 1, lett. B, cod. proc. pen.).
Rileva la difesa del ricorrente che la Corte di appello in violazione dei principi dettati in materia dalla Corte di cassazione ha omesso un nuovo giudizio relativo alla fase rescindente, eludendo i principi relativi alla regola del precostituzione del giudice naturale, procedendo direttamente alla fase rescissoria, approfondendo e replicando i temi di merito già irritualmente anticipati con la precedente ordinanza di inammissibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Occorre preliminarmente prendere le mosse dalla questione processuale formulata con il terzo motivo di ricorso.
Deve, al riguardo, essere immediatamente evidenziato, che il dictum di questa Corte evocato dal ricorrente (Sez. 3, n. 43121 del 17/07/2019, Rv. 277176) non è del tutto sovrapponibile alla situazione qui in esame. Il caso preso in considerazione nella sentenza citata, infatti, riguardava un annullamento da parte della Corte di cassazione di un’ordinanza di inammissibilità ex art. 634, comma 1, cod. proc. pen. alla quale aveva fatto seguito, in sede di rinvio, una nuova ordinanza, sempre di inammissibilità, da parte della medesima Corte di appello. In quel caso la difesa del ricorrente sosteneva che la Corte di appello non avrebbe potuto procedere ad una nuova valutazione di inammissibilità ex art. 634, comma 1, cod. proc. pen. mentre avrebbe dovuto disporre la citazione a giudizio del richiedente ai sensi dell’art. 636 cod. proc. pen.
Questa Corte di legittimità, tuttavia, testualmente rilevava nella sentenza appena citata che «diversamente da quanto opinato dal ricorrente, non è applicabile l’art. 634, comma 2, cod. proc. pen., che rileva nel caso di annullamento con rinvio per la trattazione del giudizio rescissorio, mentre, nel caso in esame, invece, gli atti sono stati rimessi alla medesima Corte territoriale per un rinnovato giudizio relativamente alla fase rescindente, avente ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, con riferimento alla astratta capacità demolitoria del giudicato, rilevabile ictu ocuii, da parte del novum dedotto».
Nel caso oggi in esame, invece, la Corte di appello ha direttamente proceduto al giudizio procedendo alla c.d. fase rescissoria.
Per dovere di completezza deve essere, comunque, evidenziato che al punto 4 della parte motiva della sentenza della Corte di cassazione del 10 novembre 2022 che ha portato all’emissione della sentenza della Corte di appello qui in esame si legge testualmente: «all’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato consegue la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Brescia “che procederà ad un nuovo giudizio relativo alla fase rescindente”».
Lo scenario processuale che si è venuto così a determinare richiede l’esame di diverse problematiche.
La prima di esse riguarda la verifica se era necessario che formalmente la Corte di appello procedesse ad una nuova “fase rescindente” (espressamente richiesta dalla sentenza di annullamento) effettuando quindi una preliminare valutazione della permanenza delle condizioni per procedere ad una nuova declaratoria di inammissibilità ex art. 634, comma 1, cod. proc. pen. ovvero se il fatto che è passata direttamente alla c.d. “fase rescissoria” può portare a ritenere
che il vaglio preliminare di ammissibilità della richiesta è stato ritenut (implicitamente) superato.
Questa Corte di legittimità ha al riguardo già avuto modo di precisare che «In tema di revisione, non è necessario esternare la decisione di ammissibilità della richiesta mediante l’adozione di un’espressa ordinanza, stante l’assenza di una puntuale previsione di legge e di una distinzione tra la fase rescindente e la fase rescissoria» (Sez. 6, n. 7374 del 20/01/2015, Rv. 262395; v. anche Sez. Un., n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Rv. 220443, in motivazione).
In detta prospettiva, si è invero affermato che nell’attuale sistema normativo, diversamente dal regime delineato nel sistema del codice di rito abrogato, non è propriamente ravvisabile nel procedimento di revisione una distinzione tra fase rescindente e fase rescissoria, non soltanto perché il giudizio positivo circa l’ammissibilità della richiesta non comporta interventi di alcun tip sulla decisione denunciata, ma anche perché la seriazione procedimentale descritta dall’art. 629 e seguenti cod. proc. pen. segnala l’esistenza di una progressione che – sia pure attestata ai “casi” tassativamente previsti dall’art. 630 – implica, ove il giudizio di ammissibilità abbia esito positivo, una continuità tr due momenti, tale da incentrare nel giudizio di revisione stricto sensu inteso il segmento cruciale della procedura in questione.
L’accertamento dell’ammissibilità della richiesta si presenta, infatti, sia sul piano strutturale che su quello funzionale, non dissimile dalla necessaria verifica demandata al giudice dell’impugnazione in ordine all’esistenza delle condizioni prescritte dalla legge per l’instaurazione (subordinata, appunto, all’ammissibilità del gravame) dell’ordinario giudizio di impugnazione, il tutto come confermato in via generale da questa Corte allorquando ha chiarito che «In tema di impugnazioni, non è previsto che la preliminare verifica dei requisiti di ammissibilità del gravame si concluda con un provvedimento che esterni formalmente la ritenuta ammissibilità del mezzo, ricavandosi ciò dall’esame nel merito dell’impugnazione da parte del giudice (Sez. 3, n. 37982 del 02/03/2017, Rv. 270687).
Non essendo, quindi, più immanente nel sistema la frammentazione del giudizio in due fasi distinte, secondo lo schema delineato nel regime del codice abrogato, si è dissolta la valenza della procedura rescindente, non realizzandosi, nel caso di giudizio positivo in ordine all’ammissibilità della richiesta di revision alcun effetto demolitorio sulla decisione denunciata.
Tutto ciò, secondo le Sezioni Unite, giustifica la ragione per la quale il nuovo legislatore non ha ritenuto necessario prescrivere l’esternazione della pronuncia di ammissibilità della richiesta di revisione, postulando esclusivamente – e, per di più, sulla base di un summatim cognoscere la verifica delle condizioni stabilite
dalla legge perché il presidente della corte emetta, a norma dell’art. 636, il decreto di citazione a giudizio ai sensi dell’art. 601. La legge, infatti, prevede la s declaratoria di inammissibilità “quando la richiesta è proposta fuori delle ipotesi previste dagli artt. 629 e 630 o senza l’osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 631, 632, 633 e 641 ovvero risulta manifestamente infondata”, declaratoria che va adottata con ordinanza da notificare al condannato e a colui che ha proposto la richiesta, i quali possono ricorrere per cassazione.
Ne discende che la delibazione in ordine all’ammissibilità della richiesta di revisione non diverge dall’accertamento che il giudice dell’impugnazione è tenuto ad effettuare, e con valenza meramente incidentale, sull’ammissibilità dell’impugnazione stessa; tanto che, solo se l’impugnazione risulti inammissibile, l’inammissibilità deve essere dichiarata, nessuna esplicita dichiarazione di ammissibilità essendo, invece, contemplata dalla legge. In tal senso va dunque riaffermata l’applicabilità del principio stabilito dal comma quarto dell’art. 591 cod proc. pen., da ritenere norma generale, riferibile ad ogni mezzo di impugnazione e, quindi, anche alla revisione.
In secondo luogo, deve rilevarsi una sostanziale carenza di interesse da parte del ricorrente a far valere la questione proposta atteso che l’originaria doglianza dello stesso circa l’erronea pronuncia di inammissibilità del ricorso ex art. 634, comma 1, cod. proc. pen. ha trovato puntuale applicazione e che la fase rescissoria che ne è seguita è stata certamente più garantita per l’odierno ricorrente in quanto ivi ha potuto far valere in contraddittorio le proprie istanz difensive.
In terzo luogo, deve affrontarsi la problematica – di fatto solo accennata ma non debitamente approfondita nel ricorso – relativa al fatto che, secondo parte ricorrente, sarebbe stata elusa “la regola della precostituzione del giudice naturale” avendo la Corte di appello di Brescia proceduto direttamente alla fase rescissoria.
In realtà questa Corte di legittimità nella propria sentenza di annullamento, facendo applicazione del principio condiviso anche dall’odierno Collegio secondo il quale «In tema di revisione, la regola di cui all’art. 634, comma 2, cod. proc. pen. – per la quale la Corte di cassazione, se accoglie il ricorso avverso l’ordinanza di inammissibilità della richiesta, rinvia il giudizio ad una diversa corte d’appello non si applica nel caso di annullamento senza rinvio e conseguente devoluzione al giudice di merito di un nuovo giudizio relativo alla fase rescindente, con riferimento alla preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta in rapporto all’astratta idoneità del “novum” dedotto a demolire il giudicato» (Sez. 3, n. 43121 del 17/07/2019, Rv. 277176), ha rinviato per il nuovo giudizio sempre alla Corte di appello di Brescia.
Y
Siccome nel caso in esame non vi è stato un formale annullamento con rinvio per la fase rescissoria che avrebbe determinato ex art. 634, comma 2, cod. proc. pen. la individuazione per il giudizio di revisione di altra Corte di appello individuata secondo i criteri di cui all’art. 11 cod. proc. pen. e siccome non v’è incompatibilità tra il giudice che ritiene ammissibile (come detto implicitamente) la richiesta di revisione e quello che procede al successivo giudizio ex art. 636 cod. proc. pen., nessuna violazione del principio di precostituzione del giudice naturale risulta violato.
A ciò si aggiunge che non ha segnalato la difesa del ricorrente di avere dedotto innanzi alla Corte di appello di Brescia una questione di incompetenza della stessa a celebrare la fase rescissoria e, del resto, non v’era ragione per la quale predetta la Corte di merito alla quale era stato demandato il nuovo giudizio da parte della Corte di cassazione si limitasse a ritenere “ammissibile” l’istanza di revisione e, poi – d’ufficio – rilevasse la propria incompetenza trasmettendo gli att ad altra Corte individuata ex art. 11 cod. proc. pen.
Quanto appena esposto rende non fondato in tutte le sue declinazioni il terzo motivo di ricorso.
Passando ora, all’esame, degli altri due motivi di ricorso, che appaiono meritevoli di trattazione congiunta, deve rilevarsi che gli stessi non sono fondati.
La Corte di appello con motivazione congrua e non manifestamente illogica ha ricostruito le ragioni per le quali, attraverso i vari incroci probatori di all’originaria fase del giudizio di merito ha ritenuto che l’autore della c “telefonata campione n. 32” fosse il NOME ed ha anche illustrato le ragioni per le quali il diverso esito finale del successivo processo (quello di cui alla sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2025 del 29 maggio 2007) e le prove ivi raccolte non incidono sulla decisione di condanna di cui al corrente giudizio di revisione.
Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo del motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudi del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova
disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta – giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probator del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
Analoghe considerazioni valgono anche per la “prova nuova” costituita dalle dichiarazioni COGNOME NOME, raccolte a distanza di tempo ex art. 391-ter cod. proc. pen., che ha affermato che il fratello COGNOME NOME (coimputato dell’odierno ricorrente), le dichiarazioni del quale rese in sede di incidente probatorio erano state ritenute nel giudizio di merito come riscontranti le altre emergenze probatorie a carico del COGNOME, “probabilmente” in sede di incidente probatorio aveva detto “nomi a caso” per poter uscire dal carcere.
Anche in questo caso la Corte di appello ha affermato che detta prova non è idonea, anche se valutata unitamente a quelle già espletate, a portare al proscioglimento del COGNOME.
Da quanto sopra, stante la non fondatezza dei motivi proposti, consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25 giugno 2024.