Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14904 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14904 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME nato a Formia il DATA_NASCITA; COGNOME NOME nato a Gaeta DATA_NASCITA; COGNOME NOME nato in Gran Bretagna il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 24 marzo 2023 della Corte d’appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; letta la memoria depositata il 12 gennaio 2024, dall’AVV_NOTAIO, nell’interesse degli ex lavoratori della RAGIONE_SOCIALE da lei rappresentati, costituiti parti civili, con la quale si chiede la conferma della penale responsabilit degli imputati e le relative statuizioni civili; lette le memorie depositate 1’8 e il 15 gennaio 2024, dall’AVV_NOTAIO, nell’interesse degli ex lavoratori della RAGIONE_SOCIALE da lui
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rappresentati, costituiti parti civili, con la quale si chiede la conferma della pena responsabilità degli imputati e le relative statuizioni civili; lette le memorie depositate il 12 gennaio 2024, dall’AVV_NOTAIO, nell’interesse degli ex lavoratori della RAGIONE_SOCIALE da lui rappresentati, costituiti parti civili, con la quale si chiede la conferma della pena responsabilità degli imputati e le relative statuizioni civili; uditi gli AVV_NOTAIO, per le parti da lui rappresentate, che h chiesto il rigetto dei ricorsi e la conferma delle statuizioni civili, riportandos conclusioni e alla nota spese già depositata della quale chiede la liquidazione; uditi gli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nell’interesse dei ricorrenti, che insistono per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1. NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME (in concorso con NOME COGNOME, oggi non ricorrente, e con altri imputati giudicati separatamente) venivano tratti a giudizio per rispondere di una pluralità di reati fallimentari (contestati plurimi capi d’imputazione, da A a L, della rubrica) relativi alla gestione di du società fra loro funzionalmente collegate, la RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 14 gennaio 2011) e la partecipata RAGIONE_SOCIALE (dichiarat fallita il 9 giugno 2011).
Oltre alla bancarotta fraudolenta documentale (nelle sue due diverse alternative manifestazioni), venivano contestati anche una pluralità di singoli atti, operazioni dolose e condotte di formazione fittizia di capitale, attraverso le quali, in ipotesi accusatoria, si sarebbe dissipato o distratto il patrimonio societario cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto delle due società.
Sulla scorta degli esiti istruttori, il Tribunale, celebrato il giudizio di p grado, ha ritenuto di affermare la penale responsabilità di tutti i predetti imputat in relazione alla maggior parte delle condotte contestate, condannandoli alla pena ritenuta di giustizia, alle conseguenti pene accessorie fallimentari e al risarcimento dei danni (in termini di condanna generica) in favore delle parti civili costituit liquidando, contestualmente, anche una provvisionale immediatamente esecutiva.
La prospettazione accusatoria (accolta in primo grado nei termini in precedenza sinteticamente descritti) veniva riformata dalla Corte d’appello solo in termini di trattamento sanzionatorio, in accoglimento del concordato proposto da NOME e NOME COGNOME e del relativo motivo d’appello proposto da NOME COGNOME. Venivano, poi, revocate le statuizioni civili disposte a carico dei primi due in relazione alle curatele (che, nelle more, revocavano la loro costituzione) e
ridotte le provvisionali disposte a carico del RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME in relazione alle residue parti civili costituite.
2. Ricorrono per cassazione NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.1. Il ricorso proposto da NOME COGNOME si compone di un unico motivo d’impugnazione, formulato sotto i profili dell’inosservanza di norma processuale (in relazione agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., 132 e 133 cod. pen.) e del connesso vizio di motivazione, a mezzo del quale si censura la concreta quantificazione delle pene accessorie fallimentari, ritenuta eccessivamente afflittiva e incoerente rispetto al ruolo marginale rivestito dal ricorrente e a condotta riparativa da quest’ultimo posta in essere in favore delle curatele.
2.2. L’unico motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, formulato sotto i profili della violazione di legge e del connesso vizio d motivazione, afferisce, invece, al capo relativo alle statuizioni civili e censura mancato accoglimento della richiesta di revoca delle relative (residue) condanne risarcitorie o, comunque, di sospensione e revoca delle provvisionali. Il ricorrente deduce, in particolare, il difetto assoluto di motivazione in ordine alla relati richiesta formulata dalla difesa e la manifesta illogicità e contraddittorietà del motivazione offerta in relazione alla condanna al risarcimento in favore degli ex dipendenti, confermata nonostante la stessa Corte territoriale avesse riconosciuto da un canto l’assenza non solo della prova dell’esistenza di un danno, ma anche di qualsiasi allegazione in merito, e, dall’altro, che i predetti lavoratori sarebbe stati comunque messi in mobilità o licenziati se non fossero stati trasferiti Cosicché si sarebbe giunti, secondo la difesa, ad un’inammissibile inversione dell’onere probatorio, in danno del ricorrente, tenuto a dimostrare l’assenza di un danno risarcibile.
2.3. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si compone di cinque motivi d’impugnazione.
2.3.1. Il primo e il secondo deducono vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle prove acquisite e connessa violazione di legge (in relazione all’art. 530 comma 2 cod. proc. pen.) e sono essenzialmente basati sull’asserita estraneità dell’imputato rispetto ad ogni ruolo gestorio, quanto meno nella fase finale della vita societaria.
L’assunto troverebbe la sua prova documentale nel materiale informatico, detenuto dal pubblico ministero, richiesto dall’imputato, ma mai ottenuto, e in particolare nelle e-nnail di carteggio con NOME che avrebbero dimostrato, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale: 1) che la sua condotta era improntata alla buona fede ed era in pieno disaccordo con le strategie societarie; 2) che solo il NOME aveva il controllo della società e operava in modo
indipendente dal COGNOME; 3) che l’uscita di quest’ultimo fu frutto di una decisione autonoma di NOME; 4) che COGNOME non partecipò al contratto con la RAGIONE_SOCIALE nel 2007; 5) che NOME aveva informato COGNOME della presenza di un investitore esterno che avrebbe pagato la sua buonuscita.
Parallelamente, le argomentazioni offerte dalla Corte territoriale sarebbero tutte manifestamente illogiche o, comunque, carenti in quanto:
pur ponendo l’accento sulle particolari capacità professionali del RAGIONE_SOCIALE, non avrebbero argomentato in ordine alla sua effettiva partecipazione alle vicende societarie e non avrebbero tenuto conto della sua sporadica presenza in RAGIONE_SOCIALE, della sua scarsa conoscenza della lingua italiana e delle conseguenti costanti deleghe decisionali impartite;
il riferimento al progetto predisposto dalla RAGIONE_SOCIALE condurrebbe in direzione opposta a quella prospettata dalla Corte, in quanto questo, pur voluto dal COGNOME, non fu mai realizzato, proprio per la contrarietà mostrata dal COGNOME; contrarietà che condusse, appunto, all’estromissione del primo dalla compagine societaria;
il bilancio consuntivo al 31 dicembre 2016, pur valorizzato dalla Corte per la sua valenza negativa, venne approvato solo il 19 aprile 2017, in un momento in cui il COGNOME era ormai fuoriuscito dalla compagine societaria e, comunque, le relative criticità emersero solo all’esito delle rettifiche operate dai curatori, d anni di analisi contabile e, quindi, non potevano essere immediatamente percepite dal COGNOME;
la sua liquidazione venne determinata autonomamente dal COGNOME e la relativa provvista fornita da un investitore esterno;
i contratti stipulati nel 2004/2005, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, consentirono significativi introiti alla società;
l’assunto per cui lo stato di dissesto della società sarebbe stato percepibile sin dal 2004, sarebbe sfornito di ogni supporto probatorio ed anzi troverebbe esplicita smentita nelle dichiarazioni rese dai testi esaminati in dibattimento quanto alla valutazione dei badwill (la somma riconosciuta a titolo di avviamento negativo riconosciuta per il transito dei lavoratori).
2.3.2. Il terzo, formulato sotto il profilo del vizio di motivazione attiene alla qualificazione dei fatti contestati in termini di bancarotta semplic esclusa apoditticamente dalla Corte territoriale.
2.3.3. Il quarto attiene alla determinazione del trattamento sanzionatorio, anche in relazione al bilanciamento delle circostanze, in ipotesi difensiva sfornito di idonea motivazione.
2.3.4. Il quinto, in ultimo, attiene alle statuizioni civili e deduce difetto di motivazione quanto all’esistenza di un nesso eziologico tra la condotta
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asseritamente posta in essere dal RAGIONE_SOCIALE e i danni in ipotesi patiti dalle part civili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
Il ricorrente, per come si è detto, censura esclusivamente la concreta determinazione, sotto il profilo motivazionale, delle pene accessorie (quantificate dalla Corte territoriale alla luce del ruolo assunto nelle vicende societari contestata e della parallela determinazione della pena principal
La censura è infondata.
La Corte ha motivato la sua decisione evidenziando, coerentemente ai principi elaborati da questa Corte (Sez. 5, n. 36256 del 22/10/2020, Bertoli, Rv. 280488; Sez. 5, n. 12052 del 19/01/2021, Rv. 280898), il ruolo svolto all’interno delle vicende societarie oggetto di contestazione e la concreta determinazione della pena principale, facendo riferimento, quindi, ad un dato fattuale indicativo della capacità a delinquere dell’imputato e, indirettamente, a tutti i criteri di cui artt. 132 e 133 cod. pen. utilizzati per la determinazione della pena principale.
Ebbene, involgendo la determinazione anche delle pene accessorie un necessario apprezzamento in fatto, la valutazione di tali criteri è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito che, sotto il profilo motivazionale, è tenut solo a dar conto degli elementi che, nell’esame complessivo, sono stati ritenuti prevalenti e di dominante rilievo (così, in motivazione, in relazione alla determinazione della pena principale, Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, COGNOME; Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, COGNOME).
L’intensità di tale onere motivazionale, logicamente, varia in ragione della concreta determinazione della pena, divenendo tanto maggiore, quanto più questa si discosta dal minimo edittale (Sez. 5, n. 11329 del 09/12/2019, dep. 2020, Rv. 278788; Sez. 5, n. 1947 del 03/11/2020, dep. 2021, Rv. 280668). Cosicché, ove la pena sia stata determinata in una misura prossima al minimo (come in concreto è avvenuto, essendo stata determinata la durata delle pene accessorie in tre anni, a fronte dei dieci previsti nella forbice edittale), l’obbligo di motivazione del giud si attenua e diviene sufficiente anche l’esclusivo riferimento clausole generiche del tipo “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento” (Sez. 3, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464; Sez. 1, n. 1059 dei 14/02/1997, COGNOME; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, COGNOME). Cosicché, la motivazione offerta dalla Corte territoriale non solo non è manifestamente illogica o contraddittoria (e, quindi, non sindacabile in sede di legittimità), ma è anche sovrabbondante, alla luce di quanto in precedenza osservato.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è ugualmente infondato.
Le censure attengono esclusivamente alle statuizioni civili quanto, in particolare, al profilo motivazionale sotteso alla pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile e alla connessa liquidazione di una provvisionale esecutiva.
Le censure sono l’una infondata e l’altra indeducibile.
Per come si è detto, il primo profilo oggetto di contestazione si risolve nella perimetrazione del quantum probatorio necessario ai fini di una pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno.
Ebbene, nonostante quale pronuncia di segno contrario (che ritiene necessario provare, sia pure con modalità sommaria e valutazione probabilistica, la portata dannosa della condotta, senza la quale il diritto al risarcimento, di cui si chied anticipatamente la tutela, non potrebbe essere configurato: Sez. 2, n. 31574 del 09/05/2023, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284954; Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418), la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, COGNOME, Rv. 281997; Sez. 6, n. 28216 del 25/09/2020, Rv. 279625; Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Rv. 281997; Sez. 4, n. 12175 del 03/04/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270386; Sez. 6, n. 9266 del 26/04/1994, COGNOME, Rv. 199071), alla quale questo Collegio ritiene di aderire, è da tempo assestata in senso contrario, ritenendo sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, postulando l’accertamento solo della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza – desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità – di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizi (anche solo morale) lamentato.
È pur vero, come rilevato dalle decisioni di senso contrario, che il danno generato dalla condotta illecita non è presunto, né può intendersi dimostrato con il semplice riconoscimento della ipotetica, astratta, lesione prospettata all’atto della costituzione, ma deve essere provato secondo le consuete regole civilistiche regolanti la materia e dettate, più in particolare, dagli artt. 2043 e 1223 cod. civ così come richiamate dall’art. 185 cod. pen., per cui la sussistenza del danno del quale si invoca il risarcimento deve essere oggetto di allegazione e prova nel corso del processo. Tanto, però, può ben avvenire nella successiva fase della liquidazione, quando, accertata la sola ingiustizia dell'(eventuale) danno, si deve provvedere alla verifica della sua concreta esistenza e alla conseguente determinazione.
La condanna generica, in altri termini, è una mera declaratoria juris, da cui esula ogni accertamento relativo non solo alla misura, ma anche alla stessa esistenza del danno; un provvedimento che produce il solo effetto di precludere la possibilità che, nel successivo giudizio di liquidazione, si possa affermare che “il
pregiudizio dal fatto accertato con la prima sentenza non è risarcibile perché non è ingiusto” (Cass. civ., Sez. 3, n. 14752 del 14/11/2000, Rv. 541671). Cosicché, il giudicato formatosi su tale accertamento non impedisce che il giudice chiamato a liquidare il danno possa, nel caso concreto, negarne l’esistenza (Cass. civ. Sez. 2, n. 8729 del 28/03/2023, Rv. 667320; Cass. Sez. 2, n. 12257 del 03/12/1997, Rv. 510670). Ed in questi termini anche la recente pronuncia delle Sezioni Unite Civili (n. 29862 del 12/10/2022, Rv. 665940), massimata sul punto.
D’altronde, il principio trova implicita conferma nell’efficacia del giudica penale di condanna limitato, nel parallelo giudizio civile per la restituzione e risarcimento del danno, al solo accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità e all’affermazione che l’imputato l’ha commesso (Cass. civ. n. 30992 del 07/11/2023, Rv. 669626).
Cosicché, rilevando la sola “potenzialità dannosa” del fatto illecito, la censura sollevata dal ricorrente può ritenersi infondata.
La seconda censura è, invece, inammissibile.
È principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la statuizione che assegna la provvisionale abbia, tra le proprie caratteristiche, quelle della precarietà (essendo destinata ad essere travolta o assorbita dalla decisione conclusiva del processo e quindi insuscettibile di passare in giudicato: ex multis Sez. 4, n. 36760 del 04/06/2004, COGNOME, Rv. 230271); della discrezionalità nella determinazione dell’ammontare senza obbligo di specifica motivazione (Sez. 5, n. 32899 del 25/05/2011, COGNOME, Rv. 250934; Sez. 6, n.49877 dell’11/11/2009, COGNOME, Rv. 245701; Sez. 5, n. 40410 del 18/03/2004, COGNOME, Rv. 230105); della non impugnabilità con il ricorso per cassazione (Sez. 4, n.34791 del 23/06/2010, COGNOME, Rv. 248348; Sez. 4, n.36760 del 04/06/2004, COGNOME, Rv. 230271; Sez. 5, n.40410 del 18/03/2004, COGNOME, Rv. 230105; Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep.1991, COGNOME, Rv. 186722), essendo la relativa determinazione riservata insindacabilmente al giudice di merito (Sez. 4, n. 31544 del 22/06/2023; Sez. 4, n. 20318 del 10/01/2017 Rv. 269882).
Ne consegue che, in ragione della natura discrezionale della statuizione (meramente delibativa, non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiv liquidazione dell’integrale risarcimento), la relativa censura è indeducibile in questa sede.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è, complessivamente, infondato.
3.1. I primi due motivi sono chiaramente indeducibili in quanto integralmente versati in fatto e, comunque, manifestamente infondati.
Va premesso che i giudici hanno esplicitamente escluso che il COGNOME abbia rivestito la qualità di mera “testa di legno”, riconoscendogli, invece, il ruolo consapevole ed attivo amministratore, che ha collaborato in via diretta ed anche in posizione dominante, con NOME COGNOME, nella gestione della società poi fallita. Assunto ampiamente argomentato e sostenuto dai plurimi elementi istruttori acquisiti nel processo ed evidenziati dalla Corte territoriale, che vanno anche oltre i significativi ruoli formali rovestiti dal RAGIONE_SOCIALE nelle società coinvolte, d stesso fondate (tentando di replicare l’esperienza estera) e partecipate per quote maggioritarie. In particolare:
l’elevata caratura imprenditoriale dell’imputato, al quale erano riferibil plurime realtà aziendali in ambito internazionale, confermata proprio dalla scansione cronologica delle rivende societarie: la sua capacità di fuoriuscire dalla società da lui stesso fondata appena poco prima che la catastrofe divenisse evidente; di farsi liquidare quote, quasi ormai prive di valore, per la notevole somma accertata; di essere riuscito a trattenere per sé proprio il controllo quei rami di attività del gruppo che avevano conservato una migliore capacità economica ed erano ancora in bonis, e cioè le “RAGIONE_SOCIALE estere”;
l’esplicita dichiarazione del COGNOME, che ha affermato di “aver fatto partecipare” NOME e NOME al progetto con una partecipazione ciascuno al 24%, trattenendo per sé il 62% delle quote, di modo che gli interessi di entrambi costoro fossero “allineati” al proprio;
la decisione del COGNOME di inviare personalmente il direttore finanziario di entrambe le fallite nel Regno Unito, da RAGIONE_SOCIALE in conseguenza di significative vicende societarie;
il coinvolgimento della RAGIONE_SOCIALE, ipotizzato e realizzato dallo stesso COGNOME (che prese contatti con la banca); progetto successivamente osteggiato dal COGNOME (che sarebbe stato relegato in una posizione non più prominente nella nuova e più ampia realtà ideata dal RAGIONE_SOCIALE);
l’ideazione del sistema illecito stigmatizzato dai giudici di primo grado, finalizzato a reperire liquidità (per dissimulare lo stato di già avanzata decozione della società) attraverso acquisizioni di mera manodopera “dismessa” da grandi RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in cambio di sostanziose somme a titolo di “avviamento negativo” (i cc.dd. badwill). Fu proprio il COGNOME, nota la Corte (desumendo il dato dal verbale del consiglio di amministrazione del 15 settembre 2004), a proporre e illustrare l’opportunità di procedere alla prima acquisizione di ramo d’azienda da RAGIONE_SOCIALE (condotta contestata al capo C) ed i vantaggi che da tale operazione sarebbero derivati. E fu sempre il COGNOME ad attribuirsi esplicitamente tanto l’operazione con RAGIONE_SOCIALEcia del 2004, quanto quella analoga con RAGIONE_SOCIALE dell’anno 2005 (contestata al capo D);
l’inconferenza, quanto al periodo successivo, oggetto del capo E) dell’imputazione (inerente alle ulteriori acquisizioni di manodopera da RAGIONE_SOCIALE) delle allegazioni difensive, volte a dedurre il sostanziale allontanamento del COGNOME dalle dinamiche gestionali a far data dall’estate 2006. Affermazione non solo rimasta allo stato di mera allegazione e contraddetta dal dato formale (COGNOME dismise ogni partecipazione solo nell’aprile 2007), ma logicamente incompatibile con la necessaria esistenza di trattative antecedenti alla conclusione del contratto (siglato il 30 gennaio 2007) e con la posizione di preminenza fino ad allora assunta. Cosicché l’abbandono della compagine societaria ben potrebbe essere spiegata, secondo la Corte territoriale, come una decisione giustificata dagli esiti infausti del suo progetto e dall’avvicinarsi dell’impossibilità di occultare o le perdite;
la natura dei contratti stipulati con le RAGIONE_SOCIALE: non accordi di cessione di rami d’azienda per lo sviluppo della produzione, bensì mere cessioni di manodopera in surplus (peraltro pur sempre utilizzate di fatto dalle RAGIONE_SOCIALE cedenti), accettate dalla fallita dietro compenso erogato nella forma di “avviamento negativo” (c.d. badwill), somme consapevolmente appostate in modo del tutto scorretto onde occultare le perdite d’esercizio e largamente insufficienti a colmare la differenza fra fatturato conseguito dalla società fatturato “di pareggio” e, comunque, non integralmente corrisposte;
le esplicite relazioni dei curatori del consulente del Pubblico Ministero, che hanno evidenziato come la RAGIONE_SOCIALEpharma versasse in condizioni di dissesto sin dal 2004, anno in cui il capitale sociale risultava già interamente perduto;
l’assoluta incongruità della somma ricevuta a titolo di liquidazione alla luce delle plurime operazioni contestate nel capo B), delle valutazioni basate sulle perizie di stima effettuate dal consulente tecnico d’ufficio e delle operazion (analiticamente indicate nella sentenza di primo grado) che consentirono a COGNOME di non pagare, con il proprio patrimonio societario, i cinque milioni di euro quale contropartita delle quote che egli acquisiva dal COGNOME (occultando il fatto che tale costo fosse stato illecitamente sostenuto dalla fallita, dal cui patrimonio er fuoriuscito).
A fronte di ciò, le censure sollevate, oltre a riprodurre gli stessi argomenti già prospettati nell’atto di appello, si limitano a richiamare parti di singoli elementi prova, senza considerare che la valutazione del compendio istruttorio impone di considerare ogni singolo fatto e il loro insieme non in modo parcellizzato e avulso dal AVV_NOTAIO contesto probatorio, ma nel loro vicendevole rapporto, all’interno di una costruzione logica, armonica e consonante (Sez. 2, n. 33578 del 20/05/2010, Rv. 248128). D’altronde, non tengono conto che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, essendo limitato
al solo riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’intrinseca adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento e senza poter sovrapporre il proprio apprezzamento delle risultanze processuali a quella compiuta dai giudici del merito (Sez. 6, n. 18081 del 14/04/2011).
Né può darsi rilievo ad asserite corrispondenze informatiche, delle quali nulla si allega nonostante in ipotesi intrattenute tra lo stesso ricorrente e il COGNOME e quindi, intrinsecamente nella disponibilità di entrambe le parti. Cosicché, anche a prescindere da un (inesistente) parallelo obbligo dell’organo di pubblica accusa, trovandosi tali atti nella disponibilità del ricorrente, questi non può dolersi del loro mancata acquisizione non avendoli egli stesso versati (né la sopravvenuta indisponibilità del carteggio può essere imputata all’organo della pubblica accusa)
3.2. Quanto al terzo motivo, è sufficiente ribadire come non sia necessario che ogni specifica deduzione prospettata con l’impugnazione trovi esplicita e compiuta argomentazione, ben potendo le ragioni fondanti la decisione assunta rinvenirsi all’interno del complesso motivazionale che sorregge la sentenza (Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, Caniello, Rv. 256340). E la Corte, nel rispondere ai plurimi profili evidenziati dal ricorrente ha dato conto, per come si è detto, di tutti i profili oggettivi e soggettivi dei reati contestati che, logicam escludono la loro qualificazione in termini di bancarotta semplice.
3.3. Quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio, è sufficiente ribadire quanto evidenziato in precedenza in relazione al ricorso di NOME COGNOME: la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142). E sotto tale profilo, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. p (Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258410).
E ciò tanto più per il giudizio di bilanciamento, che costituisce esercizio di un potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato.
Ebbene, la Corte territoriale ha adeguatamente spiegato le ragioni che giustificano la concessione delle attenuanti generiche (valorizzando da un canto il contributo ricostruttivo offerto in sede dibattimentale e, dall’altro, il te trascorso, l’età dell’imputato e la sua incensuratezza), implicitamente chiarendo anche perché tali attenuanti non potessero essere attribuite con giudizio di prevalenza sulle aggravanti.
Del resto, non basta che la difesa abbia chiesto le attenuanti con giudizio di prevalenza perché sia necessaria una specifica motivazione, occorrendo anche l’indicazione di circostanze di fatto tali da legittimare la richiesta stessa (cfr. 7, n. 11210 del 20/10/2017, dep. 2018, Rv. 272460 – 01). E tutte le circostanze evidenziate dalla difesa (il tempo trascorso, il ruolo svolto all’interno della socie e il successivo allontanamento dalla compagine societaria) sono circostanze ampiamente vagliate dalla Corte territoriale all’interno del bilanciamento operato.
3.3. Quanto alle censure afferenti alle statuizioni civili, si rinvia a quan osservato con riferimento alla posizione di COGNOME NOMENOME
In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati a pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Condanna COGNOME NOME e COGNOME NOME, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate, quanto a quelle difese dall’AVV_NOTAIO COGNOME, nella misura complessiva di euro 34.330 oltre accessori di legge; quanto a quelle difese dall’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME NOME, nella misura complessiva di euro 19.440 oltre accessori di legge; quanto a quelle difese dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, nella misura complessiva di euro 11.100, oltre accessori di legge; quanto a quelle difese dall’AVV_NOTAIO, nella misura complessiva di euro 14.760 oltre accessori di legge.
Così deciso il 18 gennaio 2023
Il Presidente