Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43781 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43781 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME NOME, nato a Sant’Agata di Militello il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 21/3/2024 emessa dal Tribunale di Messina visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, il quale chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il ricorrente ha impugnato l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame confermava la misura cautelare interdittiva disposta nei suoi confronti in relazione al reato di cui all’art. 648-ter cod. pen.
Il Tribunale riteneva che NOME, legato da stretti vincoli familiari a COGNOME NOME, autore di plurime truffe ai danni della comunità europea, aveva impiegato i beni di provenienza illecita costituiti dai cosiddetti “diritti all’aiut acquistati dalle società di fatto gestite da RAGIONE_SOCIALE e poi utilizzati nelle domande uniche di pagamento.
Nell’interesse del ricorrente è stato formulato un unico motivo di impugnazione, per violazione di legge e vizio di motivazione.
La tesi difensiva è volta a dimostrare che NOMENOME al momento dell’acquisto dei titoli costituiti dai “diritti all’aiuto”, non aveva alcuna consapevolezza della lor provenienza illecita, posto che questa sarebbe emersa solo a seguito dell’indagine, denominata “Nebrodi 1”, nell’ambito della quale venivano contestati i reati di truffa aggravata nei confronti di COGNOMECOGNOME
Posto che la predetta indagine diveniva nota a seguito dell’ordinanza custodiale del 15 gennaio 2020, si assume che NOME avesse agito in assoluta buona fede, avendo acquisito i “diritti all’aiuto” nel periodo compreso tra aprile 2018 e maggio 2019.
Peraltro, nel processo celebrato nei confronti di COGNOME e dei suoi presunti prestanome, gli imputati venivano assolti con riguardo a plurime imputazioni di truffa, sicchè il Tribunale non avrebbe potuto che prendere atto dell’insussistenza della gravità indiziaria per l’utilizzo di titoli per i quali era stato escluso il r presupposto.
Evidenzia la difesa come la sequenza temporale e l’accertata legittimità dell’acquisto dei diritti all’aiuto, sia pur con riguardo ai soli titoli per i quali processo a carico di COGNOME e dei prestanome, era intervenuta l’assoluzione, avrebbe dovuto indurre il Tribunale ad escludere in toto la gravità indiziaria in relazione al reato di cui all’art. 648-ter cod. pen.
La condotta realizzata non sarebbe neppure astrattamente idonea a integrare il reato ipotizzato, posto che la reimnnissione nel circuito economico dei beni di provenienza illecita era avvenuto senza l’adozione di modalità tali da ostacolarne l’accertamento della provenienza illecita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
L’impostazione difensiva si fonda, essenzialmente, sulla affermazione della
buona fede in capo all’imputato, il quale, nel momento in cui aveva acquistato dallo zio – NOME COGNOME (amministratore di fatto di plurime società formalmente gestite da altri stretti congiunti) – non avrebbe potuto avere alcuna consapevolezza circa la provenienza illecita di tali titoli, in quanto l’indagine che disvelava le truffe era successiva rispetto agli acquisti.
Si tratta di una prospettazione in punto di fatto alternativa rispetto a quella recepita dal Tribunale del riesame che, tuttavia, risulta basata su un congruo apparato motivazionale.
Nell’ordinanza impugnata, infatti, si dà atto non solo delle diverse compagini sociali utilizzate da COGNOME per vedersi riconosciuto, sulla base di false attestazioni, i titoli denominati “diritto all’aiuto”, ma si chiarisce anche come l’intera vicenda si fondi sull’apporto dei più stretti congiunti di COGNOME.
In tale contesto si inserisce anche la condotta del ricorrente, nei cui confronti la consapevolezza della provenienza illecita viene desunta non solo dallo stretto legame familiare, ma anche da altri elementi, quali la costituzione delle società che acquistavano i diritti all’aiuto in epoca di poco precedente alla stipula dei contratti.
Il contesto fattuale che viene descritto, pertanto, è pienamente compatibile con una piena e pregressa conoscenza della provenienza illecita dei titoli, a prescindere dall’accertamento di tali condotte in ambito giudiziario.
L’ulteriore argomento difensivo dedotto dal ricorrente attiene alla ritenuta necessità che il reato di reimpiego di utilità di provenienza delittuosa avvenga con modalità idonee a ostacolare l’accertamento della provenienza del bene.
3.1. In ordine alla idoneità dissimulatoria della condotta di reimpiego sussiste un contrasto giurisprudenziale.
Si è sostenuto che il reato di reimpiego di denaro, beni o utilità di provenienza delittuosa, previsto dall’art. 648-ter cod. pen., è un delitto a forma libera realizzabile attraverso condotte caratterizzate da un tipico effetto dissimulatorio e finalizzate ad ostacolare l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità che si intendono occultare (Sez.2, n. 26796 del 10/6/2021, COGNOME, Rv. 281552-03; Sez.2, n. 33076 del 14/7/2016, COGNOME, Rv. 267691; Sez.6, n. 13085 del 3/10/2013, dep. 2014, Amato, Rv.259477; Sez.2, n.39756 del 5/10/2011, Ciacinnino, Rv. 251194).
Secondo un diverso orientamento, invece, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 648-ter cod. pen. non è necessario che la condotta di reimpiego presenti connotazioni dissimulatorie volte ad ostacolare l’individuazione o l’accertamento della provenienza illecita dei beni, in quanto tale delitto tutela, in
via residuale rispetto a quelli di riciclaggio e autoriciclaggio, la genuinità del libero mercato da qualunque forma di inquinamento proveniente dall’utilizzo di beni di provenienza illecita (Sez.2, n. 24273 del 18/2/2021, COGNOME, Rv. 281626; Sez. 2, n. 9026 del 5/11/2013, dep.2014, COGNOME, Rv. 258525; Sez.2, n. 37678 del 17/6/2015, COGNOME, Rv. 264466; Sez.2, n. 43387 dell’8/10/2019, COGNOME, Rv. 277997-03).
Quest’ultima soluzione è quella maggiormente rispettosa del dato letterale della norma incriminatrice e pienamente coerente al rapporto con l’affine fattispecie di riciclaggio.
Per quanto attiene al primo aspetto, è agevole osservare come l’art. 648-ter cod. pen. sanzionati la mera condotta di colui che «impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto», senza che sia in alcun modo richiesta la idoneità della condotta all’occultamento della provenienza illecita dei beni.
La struttura della norma, pertanto, è del tutto diversa rispetto alle previsioni dettate agli artt. 648-bis e 648-ter.1 cod. pen. che, con riguardo alle figure del riciclaggio e dell’autoriciclaggio, richiedono espressamente che la condotta sia idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni.
Al di là del già significativo dato letterale, vi è un motivo di ordine logicosistematico in virtù del quale il reato di impiego di utilità di provenienza illecita non richiede la idoneità dissimulatoria della condotta, ricollegato allo specifico spazio di operatività che il legislatore ha inteso riconoscere alla fattispecie delittuosa in parola.
La previsione in esame è destinata a coprire una fase successiva a quella del riciclaggio, e cioè l’anello terminale sfociante nell’investimento produttivo dei proventi di origine illecita, tant’è che la norma contiene la clausola di riserva «Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli artt. 648 e 648-bis … », rendendo palese che il reimpiego è fattispecie alternativa rispetto a quelle di ricettazione o riciclaggio.
L”innpiego di utilità aventi illecita provenienza è di per sé idoneo a ledere il bene-interesse tutelato (in questi termini Sez. II, 5 novembre 2013, n. 9026/14, COGNOME e altro, Rv. 258525) che è quello di impedire l’inquinamento del mercato attraverso la consapevole immissione nel circuito economico di beni di provenienza delittuosa, a prescindere dalla concreta idoneità dissimulatoria dell’operazione.
Argomenta in tal senso anche Sez. un., 27 febbraio 2014, n. 25191, COGNOME, (non massimata sul punto), che, dopo aver ribadito il carattere residuale che il legislatore ha inteso imprimere alla fattispecie in esame, rispetto ai delitti di ricettazione e riciclaggio, di cui si è già detto, rileva che il reato di
all’art. 648-ter cod. pen. (che letteralmente non richiama la necessità della dissimulazione), pur avendo natura plurioffensiva, privilegia la tutela dell’ordine economico, che deve essere preservato da ogni attività di reimpiego di capitale illecito, idonea, anche quando non assuma carattere dissimulatori°, ad inquinare il mercato e il fisiologico sviluppo delle dinamiche economiche.
3.2. Una volta recepita la tesi secondo cui il reato di cui all’art. 648-ter cod. pen. non richiede l’idoneità dissimulatoria della condotta, ne consegue che l’utilizzo da parte del ricorrente di titoli che, sia pur in parte, risultano provento di truffa, dà luogo alla sussistenza del fumus commissi delicti legittimante l’adozione del sequestro preventivo.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 9 ottobre 2024