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Reimpiego di utilità illecite: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43781/2024, ha confermato una misura cautelare per il reato di reimpiego di utilità illecite. Il caso riguarda l’utilizzo di ‘diritti all’aiuto’ agricoli provenienti da truffe. La Corte ha stabilito che, per configurare tale reato, non è necessario che la condotta abbia un effetto dissimulatorio, ovvero che sia idonea a nascondere l’origine illegale dei beni. La semplice immissione di tali beni nel circuito economico è sufficiente a ledere il bene giuridico tutelato, cioè la genuinità del mercato.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reimpiego di Utilità Illecite: Non Serve Nascondere l’Origine dei Beni

Con la recente sentenza n. 43781/2024, la Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione interpretativa in materia di reimpiego di utilità illecite, il reato previsto dall’art. 648-ter del codice penale. La Corte ha stabilito un principio chiave: per commettere questo reato non è necessario che l’autore ponga in essere condotte finalizzate a nascondere l’origine illegale dei beni. La semplice immissione nel circuito economico di capitali sporchi è sufficiente a configurare il delitto.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale del riesame che confermava una misura cautelare interdittiva nei confronti di un soggetto. L’accusa era quella di aver reimpiegato beni di provenienza illecita. Nello specifico, l’imputato, legato da stretti vincoli familiari a un individuo autore di numerose truffe ai danni dell’Unione Europea, aveva acquistato e utilizzato dei cosiddetti ‘diritti all’aiuto’, ovvero titoli per ottenere fondi agricoli. Secondo l’accusa, tali diritti costituivano il provento delle attività fraudolente del parente.

La Tesi Difensiva

La difesa del ricorrente si basava su due argomenti principali:

1. Mancanza di consapevolezza: Si sosteneva che l’imputato, al momento dell’acquisto dei titoli (tra il 2018 e il 2019), non potesse essere a conoscenza della loro provenienza illecita, poiché l’indagine che aveva svelato le truffe era diventata nota solo successivamente, con un’ordinanza del gennaio 2020. L’acquisto sarebbe quindi avvenuto in buona fede.
2. Assenza di condotta dissimulatoria: La difesa evidenziava che l’operazione di acquisto e utilizzo dei titoli non presentava alcuna caratteristica idonea a ostacolare l’accertamento della loro provenienza. Di conseguenza, mancando un ‘effetto dissimulatorio’, la condotta non poteva integrare il reato di reimpiego.

Le Motivazioni della Cassazione sul Reimpiego di Utilità Illecite

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Le motivazioni della Corte si concentrano sui due punti sollevati dalla difesa, offrendo chiarimenti fondamentali sulla struttura del reato di reimpiego di utilità illecite.

Sulla Consapevolezza dell’Origine Illecita

La Corte ha ritenuto che la valutazione del Tribunale del riesame sulla consapevolezza dell’imputato fosse logica e ben motivata. Gli Ermellini hanno sottolineato che la conoscenza dell’origine delittuosa dei beni può essere desunta non solo da prove dirette, ma anche da elementi indiziari, come lo stretto legame familiare con l’autore del reato presupposto e altre circostanze fattuali che rendevano l’ignoranza poco credibile.

Sulla Non Necessità dell’Effetto Dissimulatorio

Questo è il cuore della decisione. La Cassazione ha aderito all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, secondo cui il reato di cui all’art. 648-ter c.p. non richiede, a differenza dei delitti di riciclaggio (art. 648-bis) e autoriciclaggio (art. 648-ter.1), che la condotta sia ‘idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni’.

La lettera della norma è chiara: punisce chiunque ‘impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto’. Non vi è alcun riferimento alla necessità di un occultamento. La ratio della norma, spiega la Corte, è quella di proteggere il libero mercato da ogni forma di inquinamento derivante dall’utilizzo di capitali illeciti. L’impiego di tali utilità è di per sé sufficiente a ledere questo bene giuridico, a prescindere da qualsiasi manovra per mascherarne l’origine.

Il delitto di reimpiego rappresenta l’anello finale della catena criminale, successivo all’eventuale riciclaggio, e sanziona l’investimento produttivo dei proventi illeciti. Pertanto, la sua struttura è volutamente diversa e più semplice rispetto a quella del riciclaggio.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di notevole importanza pratica: per essere accusati del reato di reimpiego di utilità illecite, è sufficiente investire consapevolmente fondi di provenienza criminale in un’attività economica o finanziaria. Non è richiesto alcun sotterfugio o complessa operazione di ‘pulizia’ del denaro. Questa interpretazione estensiva rafforza gli strumenti di contrasto alla criminalità economica, colpendo direttamente la fase in cui i profitti illeciti vengono reintrodotti nell’economia legale, alterandone le regole e la concorrenza.

Per configurare il reato di reimpiego di utilità illecite è necessario che la condotta nasconda l’origine dei beni?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il reato previsto dall’art. 648-ter c.p. non richiede l’idoneità della condotta a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni. Il semplice impiego di tali beni in attività economiche o finanziarie è sufficiente.

Qual è la differenza principale tra il reato di reimpiego (art. 648-ter c.p.) e quello di riciclaggio (art. 648-bis c.p.) secondo questa sentenza?
La differenza fondamentale evidenziata è che le norme sul riciclaggio e sull’autoriciclaggio (artt. 648-bis e 648-ter.1 c.p.) richiedono espressamente che la condotta sia idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni. Il reato di reimpiego, invece, sanziona la mera condotta di impiego dei proventi illeciti, a prescindere da un effetto dissimulatorio.

Come può essere provata in giudizio la consapevolezza dell’origine illecita dei beni?
La sentenza conferma che la consapevolezza può essere desunta non solo da prove dirette, ma anche da elementi indiziari e dal contesto fattuale. Nel caso di specie, lo stretto legame familiare con l’autore del reato presupposto è stato considerato un elemento rilevante per inferire tale consapevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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